L’Università “Dante Alighieri” di Reggio Calabria potrebbe essere salvata da un imprenditore, membro del consiglio di amministrazione di e-Campus, Vincenzo Diano che da bambino, all’età di 10 anni. è stato rapito dalla ‘ndrangheta e liberato dopo 72 giorni di prigionia. Un’esperienza che ha sicuramente lasciato cicatrici nella sua anima, ma che lo ha anche aiutato a temprare il suo carattere.
L’Università per Stranieri “Dante Alighieri” è un’università privata legalmente riconosciuta di Reggio Calabria, istituita con decreto ministeriale del 17 ottobre 2007. Oggi, l’ateneo reggino è al bivio, a causa di un milionario buco del bilancio. Tuttavia, non tutto è perduto, perché l’ateneo potrebbe essere salvato da un imprenditore proprio di Reggio Calabria. Si tratta di Vincenzo Diano, membro del consiglio di amministrazione di e-Campus, figlio di Cesare Diano, ex presidente Provinciale degli industriali di Reggio e di Confindustria Calabria, scomparso nel 2021. Da evidenziare come il gruppo e-Campus è, oggi, nel mondo dell’education il più importante d’Italia, al suo interno gravitano università e accademie prestigiose con sedi dislocate su tutto il territorio nazionale ed estero. Pertanto, l’Università Dante Alighieri verrebbe proiettata in un contesto ampio e diffuso su tutto il territorio nazionale e soprattutto internazionale, fattore di rilevante importanza considerati i corsi di lingua italiana per stranieri erogati dallo stesso ateneo. La volontà sarebbe quella di costruire un’offerta formativa ampia, che rispecchi le esigenze del mercato del lavoro contestualizzato al territorio.
L’imprenditore, nel suo passato, ha vissuto un’esperienza molto difficile da dimenticare, infatti, all’età di dieci anni è stato rapito dalla ‘ndrangheta e liberato dopo 72 giorni. Un incubo con il lieto fine, superato soltanto con il passare degli anni.
Ripercorriamo la storia di quel sequestro.
Vincenzo Diano, nel 1984, all’età di 10 anno è stato sequestrato dalla ‘ndrangheta, a Lazzaro, una località sulla costa ionica a pochi chilometri da Reggio Calabria, mentre giocava con sua sorella vicino casa. Una macchina ha iniziato a sbandare verso di lui, fino a colpirlo con il paraurti per isolarlo contro una recinzione. Quattro uomini travestiti con parrucche sono scesi dall’auto e lo hanno preso, mentre lui cercava di avvinghiarsi disperatamente all’unico baluardo che gli restava. Da lì iniziò il suo inferno. Una volta fatto salire in macchina, gli hanno coperto il viso con una busta di plastica, fino a quando non è giunto in un loculo di mattoni e legno, ricavato dentro una casetta, stretto e buoi, lungo quanto basta per contenere un bambino. Lì trova una vecchia coperta, un antico pentolone da usare per i suoi bisogni, un piccolo materassino di gomma. La sua unica compagnia i topi. Ogni giorno mangiava un pezzo di pane vecchio e un bicchiere di latte, oppure un po’ di pasta. E così sarà per 72 giorni. Vincenzo sarà rilasciato la sera del 7 ottobre del 1984, in località Santa Trada, a pochi chilometri da Reggio Calabria. In quei giorni, papa Giovanni Paolo II si trovava in città e tutte le forze di polizia avevano sospeso le ricerche, così i sequestratori approfittarono di questo momento per agire. Il bambino fu tirato fuori dal suo nascondiglio e costretto a camminare per i boschi dell’Aspromonte per diversi giorni, per eludere qualsiasi rischio di essere catturati dalle forze di polizia. Alla fine, fu spinto fuori da una macchina e gli fu ordinato di contare fino a mille prima di togliere il bendaggio. Egli era certo che lo avrebbero sparato, invece il colpo non arrivò. Alla fine, liberò gli occhi e fermò un’auto sul ciglio della strada e, finalmente l’incubo finì. In un’intervista ha dichiarato: “Possiamo decidere come affrontare ciò che ci accade. O ci lasciamo andare o cerchiamo di trarne un valore, un senso, che renda migliore noi, la nostra vita e quella di chi ci sta accanto”.
Vincenzo Diano ha, sicuramente, vissuto un’esperienza che ha lasciato cicatrici nella sua anima, ma che ha anche aiutato a temprare il suo carattere e ora si appresta a diventare il salvatore dell’ateneo reggino.