fbpx
venerdì, Ottobre 18, 2024
spot_imgspot_img
HomeApprofondimentiVilla Wolkonsky: autobiografia di un partigiano

Villa Wolkonsky: autobiografia di un partigiano

Franco Napoli si descrive in questa sorta di autobiografia “Villa Wolkonsky”, raccontando della guerra, della resistenza, della liberazione di Roma e soprattutto dei suoi compagni.di Bruno Gemelli

Villa Wolkonsky è un capitolo di storia mai chiuso. Dal 1933 al 1944 il sito è stato un vero lager dove perirono circa 50mila persone. Nella memoria collettiva la storia di Villa Wolkonsky, che si trova a Roma immersa in una proprietà che copre quasi cinque ettari della collina dell’Esquilino, rappresenta tre cose.

Prima cosa. Fu la sede dell’Ambasciata tedesca a Roma sino all’8 settembre 1943. A seguito della caduta di Mussolini, il 25 luglio 1943, l’Ambasciatore tedesco in Italia, von Mackensen, fu richiamato in Patria, accusato da Hitler di non esser stato in grado di preavvertire Berlino del “colpo di Stato” ai danni del duce del fascismo e sostituito da Rudolf Rahn. Nonostante il precedente del 25 luglio, tuttavia, né Rahn, né il Console tedesco a Roma, Eitel Moellhausen furono in grado di anticipare la notizia dell’armistizio italiano dell’8 settembre. L’attonito Rahn ricevette la notizia direttamente dal ministro degli esteri di Badoglio, Raffaele Guariglia, che gliela comunicò personalmente solo attorno alle 19:45 dell’8, quasi in coincidenza con la diffusione via radio dell’annuncio della fine delle ostilità verso gli angloamericani. Guariglia illustrò personalmente e francamente la situazione ai suoi interlocutori tedeschi i quali, avendo di conseguenza un chiaro quadro della portata dell’evento, senza indugi trassero drastiche conclusioni e, informata Berlino dello straordinario evento, chiesero ed ottennero il permesso di lasciare al più presto la capitale italiana. Fu pertanto avviata in gran fretta la distruzione di pratiche e documenti segreti e sensibili dell’ambasciata; quindi il personale, grazie anche all’aiuto di amici italiani e di colleghi di altre legazioni, provvide nel giro di poche ore a liquidare ogni pendenza, dalla chiusura dei conti correnti bancari alla risoluzione di contratti d’affitto. Il ministero degli Esteri italiano, dando prova di quell’organizzazione e freddezza che la sera dell’8 settembre parvero del tutto mancare al Quirinale e a Palazzo Baracchini (sede del Ministero della Guerra), fece preparare alla stazione Termini un treno speciale per rimpatriare i Diplomatici tedeschi.

Seconda cosa. Oggi Villa Wolkonsky è la residenza ufficiale dell’Ambasciatore britannico in Italia.

Terza cosa. È il titolo del libro di Franco Napoli: “Villa Wolkonsky” (autoedizione del 1996). E proprio di quest’ultimo personaggio, Franco Napoli (nome di battaglia: “Felice), parliamo. Di questa figura della guerra partigiana, in particolare della liberazione di Roma che, nel frattempo, era diventata “città aperta”, come la battezzò Roberto Rossellini nel suo esordio al neorealismo cinematografico. Di Franco Napoli si sa poco perché non esiste una biografia e neppure una foto. Ci sono scampoli di notizie sui libri di storia, racconti orali che lo citano come socialista, nato a Gerace, che fu protagonista, in vario modo, della Resistenza romana. Facendo un passo indietro si narra che già negli anni trenta Franco Napoli fosse arrestato per un tentativo di attentato a Mussolini in Calabria. Per la cronaca: il Duce collezionò ufficialmente ben sette tentativi di attentato. La mente della banda cosiddetta rossa operante a Roma era proprio questo Napoli, legato al gruppo trotzkista “Bandiera Rossa”. A rendere ancora più complessa la situazione si racconta che Napoli organizzò (senza darne attuazione) un assalto alle carceri di via Tasso insieme al suo amico Sandro Pertini.

Una sorta di biografo non ufficiale di Franco Napoli è stato l’ex parlamentare del Pdup, Silviero Corvisieri, che, nel suo saggio “Il Re, Togliatti e il Gobbo” (edizioni Odradek, 1998), racconta le vicende del Gobbo del Quarticciolo (al secolo Giuseppe Albano di Gerace, come Franco Napoli che fece il suo tutore) che fu il capo riconosciuto dei giovani guerriglieri di Centocelle e Quarticciolo, anche se il vero responsabile della banda fu, appunto, lo stesso Napoli. Fu ancora quest’ultimo che negli ultimi giorni di agosto del 1943, in una riunione clandestina in una scuola di Piazza Vittorio, diede vita alla citata banda partigiana che assunse – secondo i documenti ufficiali dell’ANPI – il nome di “banda Napoli”. Mentre Franco Napoli, “il gobbo” e altri erano impegnati nella zona dei Castelli, la frazione della banda che operava nella zona romana di Monte Mario, congiuntamente ai partigiani del gruppo trotzkista “Bandiera Rossa”, assaltò, il 30 novembre, Forte Bravetta liberando alcuni militanti dello stesso gruppo trotzkista che stavano per essere fucilati dai fascisti della PAI (Polizia Africa Italiana). Il gruppo di “Bandiera Rossa” era diretto formalmente da Vincenzo Guarnera, nome di battaglia “Tommaso Moro”, un ex fascista fervente divenuto poi uno dei più valorosi partigiani romani. Anche Napoli, Albano e gli altri rientrati a Roma, lasciarono il presidio del territorio dei Castelli al gruppo dei Ferracci.

A Roma, dopo un fallito tentativo di alleanza col Partito Comunista, che non vedeva troppo bene questo gruppo di partigiani eroici ma troppo “autonomi” e spesso provenienti dalla “mala” di borgata – il PCI aveva smanie legalitarie già durante l’occupazione nazista – Franco Napoli aggregò la banda all’organizzazione militare del PSI, agli ordini di due futuri presidenti della Repubblica, Sandro Pertini e Giuseppe Saragat. Sandro Pertini e Franco Napoli avevano organizzato, per il 24 marzo 1944, un assalto al carcere di via Tasso, dove i prigionieri politici venivano sistematicamente torturati e spesso uccisi dai nazisti. Contemporaneamente i partigiani dei Gap del PCI dovevano svolgere l’azione contro i tedeschi in via Rasella. I rastrellamenti e la rappresaglia delle Fosse Ardeatine che ne seguirono impedirono l’azione di via Tasso il giorno successivo. Nei rastrellamenti fu arrestato anche Franco Napoli che, per una questione di pura casualità, non fu anche lui inserito tra i giustiziati delle Ardeatine. In via Tasso fu torturato lui e, in sua presenza, fu torturata anche l’anziana madre. Alle Ardeatine morirono comunque otto membri della banda Napoli, precedentemente catturati. Erano: Leonardo Butticè, Carlo Camisotti, Giuseppe Celani, Domenico Ricci, Filippo Rocchi e Paolo Frascà. Quest’ultimo era di Gerace, iniziato alla politica dallo stesso Franco Napoli. E ancora: Raul Pesach e Franz Schira (due disertori tedeschi unitisi ai partigiani). Dopo lo smarrimento causato dalla rappresaglia tedesca, che colpirà in modo particolare i partigiani di “Bandiera Rossa” (un centinaio di fucilati sui totali 335 martiri delle Ardeatine), soltanto la sotto-banda Napoli rimarrà in piedi come gruppo organizzato su base cittadina, con cellule a Centocelle-Quarticciolo, Quadraro, Ponte Milvio, Salario, Trastevere, Tufello, Pietralata, Garbatella e Tuscolano, mentre il gruppo di Monte Mario, pur mantenendo i contatti con la banda, passerà quasi in blocco nelle file di “Bandiera Rossa” ufficiale.

L’archivio storico “Benedetto Petrone” (Benedetto Petrone  – militante comunista di 18 anni – fu ucciso a Bari il 28 novembre 1977 in un agguato compiuto da militanti del Movimento Sociale Italiano)  scrive: «Mentre Napoli, “il gobbo” e altri erano impegnati nella zona dei Castelli, la frazione della banda che operava nella zona romana di Monte Mario, congiuntamente ai partigiani del gruppo trotzkista “Bandiera Rossa”, assalta il 30 Novembre Forte Bravetta e libera alcuni militanti dello stesso gruppo trotzkista che stavano per essere fucilati, come detto, dai fascisti della PAI. Il gruppo di “Bandiera Rossa” era diretto formalmente da Vincenzo Guarnera».

- Spazio disponibile -
- Spazio disponibile -
- Spazio disponibile -
ARTICOLI CORRELATI

Le PIU' LETTE