Come si amava prima dei social? Dove ci si vedeva, come ci si conosceva, con quali parole ci si dichiarava? Se si fa a meno dei siti e si evitano le chat, rimane … la poesia!
“Amore che fuggi, da me tornerai”
A noi abitanti del XXI secolo sembra praticamente impossibile vivere senza social, specialmente se si sta in coppia: coi social ci si manda un cuore per augurarsi il buongiorno, si va offline per dimostrare che si è arrabbiati, si fa una videochiama quando ci si manca. Prima degli smartphone, vi chiederete, non era possibile fare queste cose? Certo che sì: amori, gelosie, tradimenti e ripicche sono ampiamente documentati – persino in modo orecchiabile – nelle canzoni popolari.
Che amore di folklore!
Il popolo è sempre stato un grande artigiano di passioni: i valori più profondi nascono con l’epica, gli amori più duraturi con le canzoni, i sogni più dorati con le fiabe. Ognuno di questi generi letterari è antico quasi come il linguaggio stesso e, proprio come il linguaggio, si è sviluppato sulla bocca della gente molto prima di essere messo nero su bianco. Perciò non bisogna stupirsi se, tra gli esempi più raffinati di poesia, ci sono quei semplici, completi, armoniosi, musicali versi messi a punto dalle sapienti mani del folklore. Del popolo, in fondo, sono le passioni; il popolo, quindi, sa raccontarle meglio di chiunque altro.
E quale passione, fra quelle che turbano l’umanità sin dalla notte dei tempi, infiamma l’animo delle persone? Ma l’amore, naturalmente, in tutte le sue forme e fasi, dal corteggiamento al tradimento, dal desiderio alla rottura.
Prima fase: l’innamoramento
Da che mondo è mondo, innamorarsi piace a tutti. Gli innamorati hanno una loro storia personale, che comincia con il colpo di fulmine; hanno una loro geografia, che li vede viaggiare dalle proverbiali nuvole al balcone dell’amata; hanno una loro narcisistica filosofia, con cui interpretano la realtà come se il mondo fosse stato creato apposta per loro. Ma soprattutto, gli innamorati hanno una loro letteratura: fiumi di inchiostro sono stati usati per cercare di descrivere l’amore senza mai dare dell’amore una vera rappresentazione. Forse hanno agito bene i poeti calabresi, che hanno dato all’amore i tratti della loro amata e hanno raccontato il loro desidero come se fosse una storia. Un notevole esempio è in questa magnifica stanza di canzone, che in Calabria è famosa al punto da essere stata ripresa e musicata:
D’acula di Palermo hai lu sprenduri, /O stilla di li quattru cantuneri; / Quandu nescisti tu nesciu lu suli, / Nesciru novi rrai e deci speri; / Tu si’ la rosa ed eu sugnu lu hjuri, / Tu si’ lu spassu di tutti li peni.
D’altra parte c’erano gli innamorati sfortunati, che non potevano neppure parlare con la loro bella, né avevano alcuna occasione di incontrarla o dedicarle qualche verso. Perfino loro, però, trovavano il modo di sperare, e se proprio non potevano conversare con l’amata, si accontentavano del suo cane, come ha fatto un altro malcapitato poeta:
O cagnolinu chi la guardia fai / Vanti la porta di la bella mia, / ti pregu nu favuri mu mi fai: /mi fai n’abbajiu, quandu vidi a mia; / Cà ihja affaccia all’abbaju chi fai: / “Cu ndi ha minatu a la cagnola mia?” / O cagnolinu t’arringraziu assai / Cà cu l’abbaju toi, vitti la Ddia!
Non vi aspettate che, dati i tempi, i corteggiatori siano solo maschietti. Anche le donne avevano occhi per guardare, cuore per innamorarsi e bocca per cantare! Esistono dei componimenti che sembra siano stati scritti da ragazze innamorate, che hanno reso onore a Nosside di Locri e alla romantica Saffo, la prima poetessa a parlare d’amore. L’esempio che riportiamo di seguito è degno della poesia greca degli albori e recita così:
Giuvani bellu, sapuritu e scertu, / O facci di na luna naturali, / E ‘n chi ti vitti mi tremau lu pettu, / Li visciari mi ntisi cunturbari. / Supra lu liri mi consu lu lettu / E pe’ lenzola 1′ unda di lu mari.
Seconda fase: la gelosia
I calabresi sono famosi per tre cose: la ‘nduja, la testardaggine e la gelosia; anche se fossero dei cliché, bisognerebbe comunque ammettere che nascondono un’oncia di verità. Sarebbe simpatico approfondire la questione della ‘nduja, ma oggi parleremo di gelosia. È lecito che gli innamorati siano gelosi? Quanto in là possono spingersi prima di risultare eccessivi? Qual è la giusta misura della gelosia? Tutti interrogativi scottanti, di cui però ai nostri poeti non importava assolutamente niente: loro erano gelosi, fine della storia! Se non ci credete, leggete il testo di questa canzone popolare:
L’ acqua a li setti hjumi mi mbivia. / Mi m’ arrifrisca stu cori ahjumatu: / Ma non mi la passau la mia paccia, / Chi mi faci pariri stralunatu. / A Rruma santa ieu mi ndi iarria, / Me mi sana lu Papa lu me statu: / Ma criu ca lu Papa diciarria: / «Figghiu, tu si’ di gelusia malatu»
C’erano anche dei casi in cui la gelosia era motivata e si trasformava in rabbia verso la donna amata, ormai ritenuta una traditrice. È successo a uno dei nostri anonimi poeti: come abbia fatto a scoprire l’adulterio senza Instagram o Telegram non si sa, certo è che sembrava molto disilluso, come dimostrano i versi che seguono.
Quandu si vitti mai stu grandi orruri, / Mi cerchi ad atri, mentri amavi a mmia? /Ddunca lu cori toi fu tradituri, / E lu pacciu fua ieu chi ti cridia.
Terza fase: la vendetta
Chi d’amore ferisce, d’amore perisce: è il ciclo della vita, e nessun amante che si fosse reso colpevole di causare la sofferenza altrui poteva evitare, a sua volta, sofferenze. Alcuni versi ci fanno capire che un rifiuto o un tradimento potevano essere pagati a caro prezzo, anche se a farne le spese era una persona che si amava qualche giorno prima. Un esempio è in questa breve canzone che ha il sapore della vendetta, con una punta finale di orgoglioso risentimento:
Tu mi mandasti a diri ca su nanu : / Si longa siti vui no mi ndi curu. / L’omani no si pisanu a cantàru, / Cà vannu a grammi comu l’oru finu.
A questo punto della storia, i lettori vorranno sapere che ne è dei versi piacevoli, quelli che raccontano del matrimonio, dei figli, del sentimento che lega per la vita. Ci dispiace dire che dovranno rimanere a bocca asciutta: di quella fase dell’amore non ci è rimasto niente.