Perché tornare a parlare delle ultime politiche nonostante siano state archiviate? Errare humanum est, perseverare diabolicum. E, invece, i due maggiori partiti che potrebbero contrastare Fratelli d’Italia non sono riusciti a trovare che un accordo parziale per le prossime elezioni regionali di Lazio e Lombardia, ed hanno preferito lasciare alla destra via libera per conquistare la regione della capitale. In preparazione di quel momento, la situazione è da preaffondamento del Titanic.
S’ode a destra uno squillo di tromba, a sinistra vorremmo altro squillo. E invece…
L’esperienza delle elezioni politiche è entrata a far parte del passato. Il pronubo della sconfitta elettorale, con occhi questa volta di mansueto felino, l’ha archiviata attribuendola a un “fuoco amico” e non ha ripresentato la sua candidatura alla segreteria del partito.
Forse meglio sarebbe stato riconoscere che quel risultato fu, se non determinato, favorito dalla pervicacia nell’ignorare che la legge elettorale obbligava a un’alleanza ampia e non preclusiva. Tre anni fa, quando nacque Italia viva, il capogruppo del PD alla Regione Liguria, Luca Garibaldi, aveva ricordato una frase di Camillo Prampolini, “Divisi siamo niente, uniti siamo tutto”, aggiungendo che la sinistra fa fatica ad apprendere questa lezione. Molto prima, in altro contesto, Montanelli aveva invitato a turarsi il naso e votare DC. Il sistema elettorale era allora proporzionale. Con la legge attuale, non allearsi era, ed è stato, suicida e, se ci fosse stato da turarsi il naso, pazienza.
Legge elettorale pessima? Certo, ma la si conosceva e se ne potevano prevedere le conseguenze. Sarebbe bastato analizzare i dati delle elezioni politiche del 2018. Allora il Centrodestra ottenne poco più del 37% dei voti, mentre il Movimento 5 stelle, la coalizione di Centrosinistra e LEU, pur totalizzando una volta e mezzo i voti della coalizione di Centrodestra, per la loro divisione, ebbero un vantaggio in seggi molto minore. Esempio di scuola, naturalmente, in quanto in quel momento ovviamente una tale alleanza sarebbe stata politicamente impossibile, però istruttivo sul rapporto tra voti ricevuti e seggi ottenuti.
Perché tornare a parlare delle ultime politiche nonostante siano state archiviate?
Errare humanum est, perseverare diabolicum. E invece i due maggiori partiti che potrebbero contrastare Fratelli d’Italia non sono riusciti a trovare che un accordo parziale per le prossime elezioni regionali di Lazio e Lombardia, ed hanno preferito lasciare alla destra via libera per conquistare la regione della capitale. Superfluo ricordare che la legge elettorale in questo caso è chiarissima.
Tra qualche mese, dopo che sarà stato eletto presidente della Regione Lazio il candidato della destra, rivedremo probabilmente un film che riecheggia quando, alla fine della Reconquista, l’ultimo califfo di Granada pianse lasciando la città per l’esilio, e fu rimbrottato da sua madre Aisha: «Non piangere come una donna ciò che non hai saputo difendere come un uomo».
In preparazione di quel momento, l’affascinante dibattito è se per l’elezione del nuovo segretario si possa usare il voto elettronico o si debba usare il presenziale. Situazione da preaffondamento del Titanic.
Il tema opposizione unita o divisa viene ignorato o considerato improponibile. Eppure…
Invalidare lo slogan “La izquierda unida jamás será vencida” richiese un colpo di stato che diede origine a quasi venti anni di dittatura. Se invece che unita la sinistra è divisa, è facilmente sconfitta. Lo dovrebbe insegnare l’esperienza di cento anni fa e, in quel caso, seguirono venti anni di dittatura.
Dissennatamente, il ricorrente spirito rifondatore della Sinistra, incurante di quanto sta succedendo oggi in Italia, preferisce guardare a un futuro in cui questa situazione migliori. Il PD, come araba fenice, spera di risorgere già alle elezioni europee del 2024, come risultato di un nuovo corso, per altro da definire. Il M5S di capitalizzare la sua crescita. I piccoli partiti di avvataggiarsi dal meccanismo proporzionale.
Segnali preoccupanti sono sotto gli occhi di tutti. La tendenza nelle intenzioni di voto mostra un rafforzamento di FdI, passato in cinque mesi dal 23 al 30.6 %. A spese dei suoi alleati è vero, ma con ragionevoli prospettive che l’ondivago e bicefalo Terzo polo, che ha assorbito la perdita di +Europa, possa essere disponibile per una riforma costituzionale presidenzialista.
Dopo le elezioni politiche di qualche mese fa, sia il vincitore Lollobrigida che la sconfitta Serracchiani hanno usato la stessa parola: responsabilità, sia pure declinandola con significati distinti. L’onorevole Serracchiani ci ha assicurato che il PD farà un’opposizione responsabile. L’onorevole, e futuro ministro, Lollobrigida ci ha garantito che i vincitori saranno responsabili. Lontano il tempo in cui Previti non voleva fare prigionieri? Lo speravamo, ma…
Molti, troppi, episodi recenti dovrebbero preoccupare, nonostante la situazione attuale non sia totalmente confrontabile con quella di cento anni fa, e nemmeno con quella di un periodo vicino in cui pure la nostra democrazia fu in pericolo.
Alcuni episodi che in qualche maniera pretendono, pur non riconoscendolo, “Buone esperienze” del fascismo sono marginali e folcloristici. Ultima trovata quella del senatore Di Priamo, che, troppo giovane per poter essere stato egli stesso figlio della lupa, vuole offrire questa possibilità alle future generazioni, Figli d’Italia.
Strano nome. Altra appropriazione dell’inno di Mameli (“I bimbi d’Italia si chiaman balilla”), intrecciata, minimizzandolo, col fatto che i figli della lupa, organizzazione parte dell’Opera Nazionale Balilla, agli otto anni divenivano balilla.
Come “Una rosa con qualsiasi altro nome avrebbe lo stesso profumo”, così il nuovo nome non può nascondere l’idea totalitaria di voler organizzare i giovani in strutture statali-partitiche, mentre allo stesso tempo la premier conferma questa visione totalitaria, negando che la libertà di insegnamento garantita ai professori dalla Costituzione possa permettere loro di “indottrinare” i giovani. Succedeva anche ad Atene, ma 2500 anni fa.
Certo, la proposta del senatore Di Priamo può far sorridere pensando ai problemi che, se attuata, porrebbe. I Figli d’Italia saranno solo maschi e in parallelo ci saranno le Figlie d’Italia? Avranno una divisa? Quale? Come rimpiazzare il fez, oggi non attuale perché potrebbe parere un pericoloso cedimento a culture non nazionali? Come convincere le future piccole italiane, pardon le future Figlie d’Italia, a sostituire le scarpe da tennis eventialmente griffate con scarpette nere con laccio abbottonato?
Ma poi, saranno figli d’Italia anche quel 20% di giovani nati in Italia ai quali si nega la cittadinanza? O ci saranno anche i figliastri d’Italia? Ipotesi poi non tanta peregrina, se si ricorda la cittadinanza speciale concessa agli arabi libici.
Già, la cittadinanza, problema un po’ più serio. Per essa, dopo i decreti sicurezza, si richiede una conoscenza dell’italiano a un livello avanzato. Riappare la retorica della rivalutazione della lingua, pendant dell’italianizzazione dei cognomi, toponimi e parole straniere.
L’italiano deve entrare nella Costituzione, con buona pace delle nostre minoranze linguistiche. La premier invita a usarla di più, il ministro Sangiuliano invidia Francia e Spagna per le loro Académie de la Langue francaise e Real Academia de la lengua, mentre da noi l’Accademia della Crusca, pur fondata trenta anni prima della francese e 130 prima della spagnola, è carente di strumenti giuridici. E su questo tema, come allora, il consenso è trasversale, con il mito dello jus culturae.
Alcune altre esternazioni sono più vistose. Il presidente del Senato, un sottosegretario della Difesa tessono le lodi di un movimento politico intorno al quale ha proliferato una galassia di movimenti eversivi. Lo hanno fatto accompagnandolo con appello a affetti familiari, cui, trattandosi della seconda carica della Repubblica nata dalla Resistenza, non si può guardare con comprensione.
La stampa degli ultimi giorni è stata doviziosa di citazioni che negano la loro ricostruzione edulcorata della storia repubblicana. Una prova della ricchezza di casi cui attingere è che i nomi che portai a conferma in un articolo di qualche giorno fa e quelli citati, in un articolo analogo su La Repubblica, dall’assessore alla cultura del Comune di Roma, Miguel Gotor, sono diversi e altri sarebbero potuti essere menzionati.
La presa di distanza dal fascismo si limita a ridurne la critica alle leggi razziali, sì volute da Mussolini, però firmate dal re-imperatore.
Matteotti? I fratelli Rosselli? I gas in Africa Orientale? La repressione in Cirenaica? Il primo bombardamento di Guernica? I confinati? Il carcere di Gramsci?
Niente rispetto alla bonifica delle paludi pontine, al gioiello diplomatico di Monaco, all’IRI, alle attività sociali che assicurarono al regime un appoggio popolare che sarebbe continuato tra quei milioni di italiani che, non scossi dalla sconfitta militare, secondo quella riscrittura della storia repubblicana, grazie al MSI, avrebbero potuto partecipare democraticamente alla politica del Paese, rispettando la Repubblica e la sua Costituzione. Chi, come me, ricorda la “visita” di Almirante all’Università di Roma alla fine degli anni ’60, ha ancora nelle orecchie la canzonaccia sul 25 aprile dei giovani che lo accompagnavano.
Melina per distrarre da problemi maggiori.
All’italiano medio importano di più i problemi quotidiani, l’inflazione all’11%, unariforma fiscale iniqua e diseguale, un sistema sanitario inefficiente, con prenotazioni a mesi, a volte più di un anno, di distanza, un costo dell’energia aumentato per cause che, quando spariscono, non si riflettono in una diminuzione.
Intanto il Governo va diritto per la sua strada, spoils system altro che merit system, sovranismo che gioca col fuoco in Europa, politica di migranti sostenuta da una narrativa che ingigantisce le poche decine di migliai che effettivamente riceviamo quando altri paesi, come la Polonia ne hanno ricevuti milioni.
Non è certo l’introduzione dell’italiano il cambiamento costituzionale all’orizzonte più preoccupante. La premier insiste nel volere il presidenzialismo e, di rincalzo, il partito che anni fa richiedeva la secessione richiede una autonomia differenziata. Regioni di serie A e di serie B, con uno stravolgimento del senso dell’articolo 119 della Costituzione, che pone implicitamente in dubbio anche i principi informatori enunciati nell’articolo 118. Il ministro Calderoli giura che lo fa per il Sud, i cui sindaci e presidenti di regione sfortunatamente paiono non comprenderlo.
Ma la meta della premier è il cambiamento in senso presidenzialista, che ella persegue dicendo che porterà avanti il suo programma, senza porsi il problema di quanto possa accadere alle prossime politiche.
Questa affermazione è ben diversa da quanto fu detto il 16 novembre del 1922, secondo cui “in un primo momento” non si era voluto stravincere, pur potendolo fare.
Lo spoils system di cui parlavamo può farne dubitare, e l’ipotesi di un patito unico della destra è sul tappeto.
Nella XXVI legislatura del Regno d’Italia, quella in cui “egli” non aveva voluto stravincere, fu varata la legge elettorale che tanto contribuì, in un secondo momento, al successo del ’24.
Se si pone da parte la continuità con il Regno di Sardegna quella legislatura fu in effetti la XIX del Regno d’Italia e, speriamo sia coincidenza accidentale, l’attuale è la XIX della Repubblica Italiana.
Che sorprese ci riserverà? Solamente l’italiano lingua della Nazione (che non è sinonimo di Paese o Repubblica) e i Figli d’Italia? O anche di ben altro impatto?
Il compiacimento con cui alcuni hanno commentato la “stilettata” forse implicita nel discorso di fine anno del presidente Mattarella ci sembra purtroppo ottimista.
Difendere la struttura della Repubblica della Costituzione del 1948 è oggi cruciale e questo compito non permette divisioni.
Galileo Violini