Una riflessione sulla tragedia di San Luca, quando il paese è stato costretto a dire Addio ad Elisa, Antonella, Teresa e Domenico, quattro giovani morti nel drammatico incidente del 6 gennaio, a Montauro.
Annamaria Delfino
In quei giorni di dolore immenso il paese di Alvaro sembrava immobile, paralizzato, il fumo dei caminetti avvolgeva le case salendo dalle prime curve, un velo di lacrime trasparente e lugubre appoggiato sulle case del “petto” proteggeva il dolore dai curiosi.
Come un nefasto presagio Corrado Alvaro scriveva “……..se dovrai scrivere alla mia casa, Dio salvi mia madre e mio padre …. non dire alla povera madre che sono morto solo…di loro che la mia fronte è stata bruciata la dove mi baciavano , e che fu lieve il colpo che mi pare fosse il bacio di tutte le sere .Di loro che c’era un gran sole pel campo e tanto grano …….”
Invece, pioveva quel giorno di festa, quattro anime strappate alla terra volate via in un attimo.
Anime di un paese già martoriato, anime che in quell’epifania andavano per maledette vie a dare conforto a propri cari reclusi.
Chi siamo noi per giudicare, chi può alzarsi a puntare il dito contro un congiunto che compie con amore un atto che dia sollievo e “unguento” alle piaghe di un carcerato?
Monsignor Oliva nella toccante e cruda omelia dice “….. lungo la strada spesso viviamo anche l’esperienza del buon samaritano che soccorre chi ha bisogno.
E lungo la strada si è consumata la vita di quattro giovani che erano in viaggio non per svago ……..ogni volta che diamo da mangiare ad un affamato, che visitiamo un ammalato o un carcerato lo facciamo a lui “.
Le parole del presule scaturiscono da scritti e pensieri esternati da certa stampa nell’immediatezza della tragedia, come se la morte fosse dovuta in alcuni casi, come se un dolore e uno strazio di figli strappati alle madri e madri con le braccia vuote, fossero minori o giustificabili dalla vicinanza o meno ad alcune famiglie, a nomi e condanne altisonanti come se andare a fare una vista in carcere fosse reato più di quelli imputati ai reclusi.
La morte non guarda nessuno, la morte non arriva punitiva e feroce su mamme innocenti e se la implori e la chiami è sorda lei va dove vuole e non segue un percorso stabilito.
Quella mattina in cui i magi sostavano accompagnati dalla stella cometa Elisa, Antonella, Teresa e Domenico si sono fatti compagnia hanno lasciato i piccoli a casa seguendo la loro cometa verso un destino duro e inaccettabile si sono avviati verso la vita eterna, insieme cosi come erano partiti.
A questi giustizialisti che non vivono il paese, la calda accoglienza i sorrisi degli anziani che ricordano come un’anagrafe chi sei e a “cu pparteni”, le porte aperte con i bimbi su i gradini, l’odore di pane caldo e anche il dolore di quella Chiesa che ha visto tanti morti giovani, dove a differenza delle altre Chiese i dipinti sull’altare raffigurano una Madonna che assiste i suoi figli morti nella crudeltà della vita, a questi che hanno disertato anche i funerali chiedo se hanno pensato a quei bambini che cosi piccoli che ricorderanno la mamma solo dai racconti e dalle foto.
A quei giustizialisti che non vogliono farsi fotografare a quel tipo di funerale additato a questi avidi e spregiudicati che vedono solo il cartello “SAN LUCA” crivellato di colpi che colpiscono Caino senza pensare che anche lui è una vittima del suo destino e della mala sorte ,predestinato figlio di un contesto e di una società che non ha perdono.
E mentre il dolore è forte, le lacrime accompagnano le bare verso la Chiesa in quella salita lastricata di pietra, mentre l’uomo non perdona per il suo animo malvagio la natura orna le colline del paese fa festa la natura benigna per quei nuovi fiori in cielo.
Prati innevati di meravigliosi narcisi dal profumo che sa di paradiso accolgono i morti che tornano a casa in quel grigio nefasto sembra una festa per quelle anime benedette tutto quel fiorire.
Giungendo ai piedi del paese ti accorgi che sono fiori che innevano i prati che, quella che da lontano sembra neve, non è altro che un cumolo disordinato portato qua e la dal vento di petali profumatissimi.
E mi viene a mente Fabrizio De Andre’ che nell’immaginario di ognuno ha consegnato alla memoria per sempre il soldato che “…. dormi sepolto in un campo di grano non hai la rosa non hai il tulipano che ti fan veglia dall’ombra dei fossi ma sono mille papaveri rossi”. Così Antonella, Teresa, Elisa e Domenico che hanno avuto fiori preziosi per il loro ultimo saluto saranno identificati per quei narcisi che ogni anno e per sempre ci ricorderanno quando sono volati via.
Quella terra così martoriata ci fa riflettere dal sangue e dal dolore sono sbocciati quei fiori profumati, la cornice ad un paese cosi bistrattato, cosi dilaniato e divorato dal pensiero comune.
Li, in quei campi di narcisi, riposano le anime dei quattro giovani e di tutti quelli che sono andati via troppo presto, la loro lapide è scolpita qui ai piedi del paese a vegliare su quelli che restano sui figli rimasti, sulla speranza che non deve morire, sepolti sotto mille narcisi bianchi a ricordo di un’eterna primavera.