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venerdì, Novembre 22, 2024
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Svimez: salari, lavoro povero e emigrazione giovanile, ecco i dati sconcertanti

La dinamica del PIL italiano nel biennio 2021-2022 si è mostrata uniforme su base territoriale. L’economia del Mezzogiorno è cresciuta del 10,7%, più che compensando la perdita del 2020 (–8,5%). Nel Centro-Nord, la crescita è stata leggermente superiore (+11%), ma ha fatto seguito a una maggiore flessione nel 2020 (–9,1%).

La novità di una ripartenza allineata tra Sud e Nord sconta però l’eccezionalità del contesto post-Covid per il tenore straordinariamente espansivo delle politiche di bilancio e la diversa composizione settoriale della ripresa.

Fatto 100 il dato di crescita cumulata del valore aggiunto extra-agricolo nel biennio, i servizi hanno contribuito per 71,1 punti nel Mezzogiorno e 63,6 nel Centro-Nord. Il contributo delle costruzioni si è spinto 7 punti oltre la media del Centro-Nord (18,9 contro 11,9), grazie all’impatto espansivo esercitato dal Superbonus 110%.

Viceversa, il contributo dell’industria è stato limitato nel Mezzogiorno: 10 punti contro i 24,5 del Centro-Nord, in virtù anche del consistente assottigliamento della base produttiva subìto tra il 2007 e il 2022: quasi –30% di valore aggiunto, contro una flessione del 5,2% nelle regioni centro-settentrionali. Il confronto europeo rivela tuttavia il ritardo accumulato anche dall’industria del Centro-Nord: negli stessi anni il valore aggiunto industriale dell’UE a 27 è aumentato di quasi il 14%, quello della Germania di oltre il 16%.

Doppio al Sud l’impatto dell’inflazione sui redditi delle famiglie

L’accelerazione dell’inflazione del 2022 ha eroso soprattutto il potere d’acquisto delle fasce più deboli della popolazione.

Sono state colpite con maggiore intensità le famiglie a basso reddito, prevalentemente concentrate nelle regioni del Mezzogiorno. Nel 2022 l’inflazione ha eroso 2,9 punti del reddito disponibile delle famiglie meridionali, oltre il doppio del dato relativo al Centro-Nord (–1,2 punti).

Rispetto alle altre economie europee, in Italia la dinamica inflattiva si è ripercossa in maniera significativa sui salari reali italiani, che tra il II trimestre 2021 e il II trimestre 2023 hanno subìto una contrazione molto più pronunciata della media UE a 27 (–10,4% contro –5,9%), e ancora più intensa nel Mezzogiorno (–10,7%) per effetto della più sostenuta dinamica dei prezzi. Questa dinamica si colloca in una tendenza di medio periodo delle retribuzioni lorde reali per addetto, anch’essa particolarmente sfavorevole al Mezzogiorno: –12% le retribuzioni reali rispetto al 2008 (–3% nel Centro-Nord).

La ripresa dell’occupazione al Sud non argina il disagio sociale

Rispetto al pre-pandemia la ripresa dell’occupazione si è mostrata più accentuata nelle regioni meridionali: +188 mila nel Mezzogiorno (+3,1%), +219 mila nel Centro-Nord (+1,3%).

In tema di precarietà del lavoro, nella ripresa post-Covid dopo il «rimbalzo» occupazionale è tornata a inasprirsi la precarietà. Dalla seconda metà del 2021, è cresciuta l’occupazione più stabile, ma la vulnerabilità nel mercato del lavoro meridionale resta su livelli patologici. Quasi quattro lavoratori su dieci (22,9%) nel Mezzogiorno hanno un’occupazione a termine, contro il 14% nel Centro-Nord. Il 23% dei lavoratori a temine al Sud lo è da almeno cinque anni (l’8,4% nel Centro-Nord). Tra il 2020 e il 2022 è calata la quota involontaria sul totale dei contratti part time in tutto il Paese, ma il divario tra Mezzogiorno e Centro-Nord resta ancora molto pronunciato: il 75,1% dei rapporti di lavoro part time al Sud sono involontari contro il 49,4% del resto del Paese.

L’incremento dell’occupazione non è in grado di alleviare il disagio sociale in un contesto di diffusa precarietà e bassi salari.

Nonostante la crescita dell’occupazione, nel 2022 la povertà assoluta è aumentata in tutto il Paese. La povertà ha raggiunto livelli inediti. Nel 2022, sono 2,5 milioni le persone che vivono in famiglie in povertà assoluta al Sud: +250.000 in più rispetto al 2020 (–170.000 al Centro-Nord).

La crescita della povertà tra gli occupati conferma che il lavoro, se precario e mal retribuito, non garantisce la fuoriuscita dal disagio sociale. Nel Mezzogiorno, la povertà assoluta tra le famiglie con persona di riferimento occupata è salita di 1,7 punti percentuali tra il 2020 e il 2022 (dal 7,6 al 9,3%). Un incremento si osserva tra le famiglie di operai e assimilati: +3,3 punti percentuali. Questi incrementi sono addirittura superiori a quello osservato per il totale delle famiglie in condizioni di povertà assoluta.

Nel 2023 Pil a +0,7% con +0,4% nel Mezzogiorno, +0,8% nel Centro-Nord.

La crescita del PIL italiano è stimata dalla SVIMEZ a +0,7% nel 2023: +0,4% nel Mezzogiorno, +0,8% nel Centro-Nord. La riapertura del divario di crescita Nord-Sud è imputabile al calo dei consumi delle famiglie (–0,5%), che non dovrebbe osservarsi nel Centro-Nord (+0,4%). Dinamica sfavorevole causata da una contrazione del reddito disponibile delle famiglie meridionali (–2%), doppia rispetto al Centro-Nord come nel 2022.

Gli investimenti dovrebbero essere interessati da una dinamica positiva, ma in forte decelerazione rispetto al 2022: +5% dal +9,8 dell’anno precedente nel Mezzogiorno, +3,3% dopo il +9,1 del 2022 nel Centro-Nord.

La componente in macchine, attrezzature e mezzi di trasporto è stimata in crescita a tassi sostanzialmente allineati nelle due ripartizioni (+5,1% nel Mezzogiorno e +4,9 nel Centro-Nord). In deciso rallentamento rispetto al 2022, soprattutto al Centro-Nord, gli investimenti in costruzioni: +5,1% dal +13,1 dell’anno precedente nel Mezzogiorno, +1,7% dal +11 nel Centro-Nord. Il rallentamento riflette l’indebolimento dell’effetto Superbonus e lo slittamento temporale degli interventi del PNRR. Un contributo positivo, viceversa, dovrebbe venire, soprattutto al Sud, dallo stimolo indotto dalla spesa di fine ciclo della programmazione europea 2014-20.

 

Variazioni % del PIL 2023 e 2024

Regioni e ripartizioni 2023 2024
Emilia Romagna 1,0 1,1
Friuli V.G. 0,6 0,4
Lazio 0,7 0,5
Liguria 0,4 0,3
Lombardia 1,1 1,0
Marche 0,6 0,4
Piemonte 0,7 0,5
Trentino A.A. 0,6 0,8
Toscana 0,8 0,6
Umbria 0,5 0,3
Val d’Aosta 0,6 0,2
Veneto 0,7 0,8
Abruzzo 0,7 0,9
Basilicata 0,5 0,4
Calabria 0,2 0,3
Campania 0,6 0,7
Molise 0,3 0,6
Puglia 0,3 0,6
Sardegna 0,2 0,5
Sicilia 0,4 0,4
Mezzogiorno 0,4 0,6
Centro-Nord 0,8 0,7
Nord-Ovest 0,9 0,8
Nord-Est 0,8 0,9
Centro 0,7 0,5
Italia 0,7 0,7

Fonte: SVIMEZ, modello NMods

Nel 2024 Nord e Sud allineati, nel 2025 si riapre il divario

Nel 2024 si stima che il PIL aumenti dello 0,7% a livello nazionale, per effetto del +0,7 del Centro-Nord e del +0,6 del Mezzogiorno. Al Sud la crescita dei consumi delle famiglie dovrebbe tornare in positivo, sia pure mantenendosi al di sotto della media del Centro-Nord (+0,8 contro +1,3%), grazie al recupero del reddito disponibile reso possibile dal rientro dell’inflazione. Gli investimenti dovrebbero crescere in maniera più pronunciata nel Mezzogiorno, accelerando rispetto al 2023 soprattutto grazie alla dinamica molto favorevole della componente in costruzioni (+9,7% contro +2,2% nel Centro-Nord).

Nel 2025, la crescita nazionale dovrebbe attestarsi sul +1,2%. La crescita del PIL meridionale è stimata 4 decimi di punto al di sotto del dato del Centro-Nord: +0,9% a fronte del +1,3 La crescita del PIL meridionale continua invece a beneficiare degli effetti espansivi degli investimenti, rispetto all’anno precedente, anche nella componente in macchine, attrezzature e mezzi di trasporto per effetto del PNRR.

Crescita vincolata all’attuazione del PNRR nel 2024-25

Sulla dinamica territoriale del PIL 2024-2025 incidono gli effetti espansivi degli interventi finanziati dal PNRR, per la concentrazione nel biennio del massimo sforzo di realizzazione infrastrutturale. La SVIMEZ ha stimato in 2,2 punti percentuali l’impatto cumulato sul PIL nazionale nel biennio nell’ipotesi di completo e tempestivo utilizzo delle risorse disponibili: +2,5 nel Mezzogiorno e +2% nel Centro-Nord. Secondo le stime della SVIMEZ, il PNRR eviterà la recessione al Sud in entrambi gli anni di previsione: –0,6% e –0,7% il PIL del Mezzogiorno nel 2024 e nel 2025 “senza PNRR”. Anche il Centro-Nord beneficia dello stimolo, grazie al quale l’area evita una sostanziale stagnazione nel biennio: –0,2% e crescita piatta nel Centro-Nord Mezzogiorno nel 2024 e nel 2025 nello scenario “senza PNRR”.

Il PNRR dei Comuni: al Sud debole progettualità e partenza lavori ritardata

Il contributo del PNRR alla crescita del prossimo biennio dipenderà comunque dalla sua pronta ed efficace attuazione. Sulla base dei dati dei progetti complessivi del sistema Regis (il sistema unico di rendicontazione del PNRR), la SVIMEZ ha monitorato lo stato di attuazione degli interventi che vedono i Comuni come soggetti attuatori. Il valore complessivo dei progetti presenti in Regis ammonta a 32 miliardi di euro, per il 45% allocati ai Comuni del Mezzogiorno.

Per circa la metà dei progetti risultano avviate le procedure di affidamento; la quota di progetti messi a bando, tuttavia, si ferma al 31% al Mezzogiorno rispetto al 60% del Centro-Nord.

Anche la capacità di procedere all’aggiudicazione presenta significative differenze territoriali: 67% al Mezzogiorno, 91% al Centro-Nord.

Gli esiti del monitoraggio della SVIMEZ confermano le criticità già evidenziata dall’Associazione in ordine ai limiti di capacità amministrative delle amministrazioni locali meridionali e all’urgenza di rafforzarne gli organici e competenze.

Il Gelo demografico nazionale e lo spopolamento del Sud

La diminuzione delle nascite e il progredire della speranza di vita hanno portato l’Italia tra i paesi europei più anziani. Le migrazioni interne e internazionali hanno ampliato gli squilibri demografici Sud-Nord. Se da un lato, le comunità immigrate si concentrano prevalentemente nel Settentrione “ringiovanendo” una popolazione sempre più anziana; dall’altro, il Mezzogiorno continua a perdere popolazione, soprattutto giovani qualificati.

Dal 2002 al 2021 hanno lasciato il Mezzogiorno oltre 2,5 milioni di persone, in prevalenza verso il Centro-Nord (81%). Al netto dei rientri, il Mezzogiorno ha perso 1,1 milioni di residenti. Le migrazioni verso il Centro-Nord hanno interessato soprattutto i più giovani: tra il 2002 e il 2021 il Mezzogiorno ha subìto un deflusso netto di 808 mila under 35, di cui 263 mila laureati.

Al 2080 si stima una perdita di oltre 8 milioni di residenti nel Mezzogiorno, pari a poco meno dei due terzi del calo nazionale (–13 milioni). La popolazione del Sud, attualmente pari al 33,8% di quella italiana, si ridurrà ad appena il 25,8% nel 2080.

Il progressivo processo di invecchiamento del Paese non si arresterà nei prossimi decenni: tra il 2022 e il 2080, il Mezzogiorno dovrebbe perdere il 51% della popolazione più giovane (0–14 anni), pari a 1 milione e 276 mila unità, contro il –19,5% del Centro-Nord (–955 mila).

La popolazione in età da lavoro si ridurrà nel Mezzogiorno di oltre la metà (–6,6 milioni), nel Centro-Nord di circa un quarto (–6,3 milioni di unità). Il Mezzogiorno diventerà quindi l’area più vecchia del Paese nel 2080, con un’età media di 51,9 anni rispetto ai 50,2 del Nord e ai 50,8 del Centro.

Per invertire la tendenza pluridecennale al calo delle nascite occorre mettere in campo politiche attive di conciliazione dei tempi di vita e lavoro e rafforzare i servizi di welfare

Riattivare il circolo virtuoso tra natalità, welfare, donne e lavoro

Il potenziamento dell’occupazione femminile nel Mezzogiorno è cruciale per contrastare il declino demografico. Le regioni meridionali presentano il tasso più basso di occupazione femminile in confronto all’Europa (media UE 72,5): Campania (31%), Puglia (32%) e Sicilia (31%). Le restanti regioni del Centro-Nord si avvicinano alla media europea, ma restano lontane dal benchmark dei Paesi scandinavi e della Germania (78,6).  La carenza di servizi di conciliazione tra lavoro e famiglia, specialmente nella prima infanzia, penalizza le donne nel mondo lavorativo. Una donna single nel Mezzogiorno ha un tasso di occupazione del 52,3%, nel caso di donna con figli di età compresa tra i 6 e i 17 anni scende al 41,5% per poi crollare al 37,8% per le madri con figli fino a 5 anni (65,1% al Centro-Nord), la metà rispetto ai padri (82,1%).

Il Sud affronta gravi ritardi nell’offerta di servizi per la prima infanzia, evidenziati dai dati sui posti nido autorizzati per 100 bambini tra 0-2 anni nel 2020: Campania (6,5), Sicilia (8,2), Calabria (9) e Molise (9,3). Queste sono le regioni meridionali più distanti dall’obiettivo del LEP dei posti autorizzati da raggiungere entro il 2027 (33%).

Gli investimenti del PNRR mirano a colmare queste disparità, ma non sono stati programmati a partire da una mappatura territoriale dei fabbisogni di investimento, bensì attraverso procedure a bando, con una capacità di risposta fortemente influenzata dalle capacità amministrative degli enti locali. I dati presentati nel Rapporto riguardo lo stato di attuazione del Piano Asili nido fanno emergere diverse criticità proprio sotto questo profilo: sono stati assegnati ai Comuni 3,4 Miliardi; 1,7 mld al Sud, di cui solo il 36% messe a gara (51% nel Centro-Nord).

La recente riduzione degli obiettivi del PNRR per i nuovi posti asili nido (da 248 mila a 150 mila) solleva preoccupazioni sulla possibilità di raggiungere il target europeo. Dalla simulazione effettuata dalla SVIMEZ risulta che, anche se si superassero tutte le difficoltà attuative, le attuali ripartizioni delle risorse non consentirebbero di raggiungere il target europeo del 33% in tutte le regioni. In particolare, la riduzione del target PNRR non consentirebbe di raggiungere il LEP, ad esempio, in Sicilia (-17 mila posti), Campania (-13 mila).

I divari di offerta di servizi educativi riguardano anche la scuola primaria. Dai dati dell’Anagrafe dell’edilizia scolastica del Ministero dell’Istruzione e del Merito relativi all’anno scolastico 2021-2022, emerge che solo il 21,2% degli allievi della primaria nel Mezzogiorno frequenta una scuola dotata di una mensa; il 53,5% al Centro-Nord. Solo un allievo su tre (33,8%) frequenta una scuola primaria dotata di palestra nel Mezzogiorno; quasi un allievo su due (45,8%) nel Centro-Nord. Questi tipi di gap generano effetti negativi diretti sulla performance degli studenti e indiretti sulle famiglie e sul mercato del lavoro.

Nonostante un miglioramento negli early leavers, con un calo dal 20% nel 2008 all’11,5% nel 2022, il Mezzogiorno presenta ancora tassi più elevati, soprattutto nelle regioni di Campania, Calabria e Sicilia (nel 2022 early leavers meridionali 15,1% vs 9,4% del Centro-Nord) . Gli sforzi per ridurre questi divari devono considerare le specificità territoriali e affrontare le sfide nella fornitura di servizi educativi e nell’integrazione delle donne nel mercato del lavoro.

Pochi laureati ma laurearsi migliora occupabilità e redditi soprattutto al Sud

L’Italia presenta una delle percentuali più basse di popolazione laureata in Europa, con il 29% dei giovani tra 25 e 34 anni che hanno conseguito un titolo di istruzione terziario nel 2022, 16 punti percentuali al di sotto della media europea. Nel Mezzogiorno, questa percentuale si riduce al 22%.

La crescita complessiva dell’occupazione in Italia nel periodo post-Covid è stata del 1,8% tra il 2019 e il 2023, con un aumento degli occupati diplomati del 3,6% e dei laureati dell’8,3%. Nel Mezzogiorno, la crescita è stata del 15,4% per gli occupati laureati (+203 mila occupati).

A livello nazionale, il tasso di occupazione dei giovani laureati (74,6%) è significativamente superiore rispetto ai diplomati (56,5%). Nel Mezzogiorno, il differenziale è di 26 punti percentuali (61,6% contro 35,6%), mentre nel Centro-Nord è di 13 punti (80,6% contro 66,8%).

Il premio per l’istruzione si riflette anche nelle retribuzioni, con un laureato al Sud che guadagna mediamente il 41% in più di un diplomato, mentre nel resto del Paese il vantaggio è del 37%. La promozione di politiche che convergano la percentuale di laureati verso la media dell’UE appare opportuna, specialmente considerando le maggiori opportunità occupazionali, soprattutto nel Mezzogiorno, per i giovani laureati.

Le infrastrutture per l’accessibilità

Il Rapporto evidenzia le criticità infrastrutturali italiane, con sottodotazione al Sud e saturazione al Nord. La rete ferroviaria del Sud presenta un notevole ritardo, con solo 181 km di alta velocità (12,3% del totale) concentrati in Campania. Il divario nell’elettrificazione ferroviaria è significativo, con il 58,2% al Sud e l’80% al Centro-Nord. La rete stradale meridionale è inferiore, con 1,87 km di autostrada per 100 km2 rispetto ai 3,29 al Nord e 2,23 al Centro.

Il Piano di infrastrutture prioritarie del MIT, con risorse di 131 miliardi (101 miliardi finanziati), assume un ruolo chiave. Nel Mezzogiorno, il 40% delle opere prioritarie è programmato (52,6 miliardi), con oltre l’85% di finanziamento acquisito. I fondi per il Sud salgono al 58,5% considerando PNRR e Piano Complementare.

Tuttavia, persistono nodi legati alla spesa e alla minore maturità dei percorsi realizzativi nel Mezzogiorno, con solo il 13,3% delle opere in corso (contro il 33,5% al Centro-Nord). Interventi del PNRR risentono di difficoltà attuative, legate all’aumento dei costi dei materiali e alla reperibilità delle materie prime.

 

Cambiamento climatico, il Sud più esposto a rischi e costi

Il 2022 è stato l’anno più caldo e siccitoso mai registrato in Italia, con una temperatura media superiore di 1,23°C rispetto al trentennio 1991-2020 e una diminuzione delle precipitazioni del 22% rispetto alla media 1991-2020. Il cambiamento climatico colpisce diversamente le regioni, con la Sicilia a maggior rischio desertificazione (70% del territorio minacciato da insufficienza idrica), seguita da Molise (58%), Puglia (57%) e Basilicata (55%).

Le temperature più elevate hanno effetti economici differenziati tra Nord e Sud, con le regioni settentrionali che potrebbero vedere un aumento del PIL (+0/2%) e il Sud una significativa riduzione (-1/3%), con picchi superiori al -4% in Campania e Sicilia.

Il cambiamento climatico impatta su diversi settori, tra cui Energia, Turismo, Assicurazioni, Immobiliare e Trasporti. È essenziale accelerare la produzione di energie rinnovabili in Italia, con particolare attenzione al Mezzogiorno, che ha il potenziale per diventare un polo produttivo strategico. Ma occorre superare l’idea del Mezzogiorno come mero hub energetico europeo, che è in contraddizione con il nuovo approccio europeo alle politiche industriali e soprattutto risulta miope rispetto agli obiettivi di autonomia energetica, competitività industriale e coesione territoriale.

La capacità installata di energie rinnovabili in Italia è cresciuta nel 2022, ma è ancora insufficiente per raggiungere gli obiettivi europei. Le regioni del Sud, come la Sicilia, la Puglia e la Campania, hanno registrato una crescita sopra la media nazionale. Questi progressi però nascondono la sotto-dotazione manifatturiera e la dipendenza strategica dalle importazioni asiatiche nel comporto delle tecnologie verdi (pannelli, turbine e biocarburanti), che nel 2022 sono raddoppiate (+104%) a 22 miliardi a livello europeo. Proprio in questo settore si potrebbe dispiegare il potenziale del Mezzogiorno, che a partire dalle eccellenze sul territorio può ambire a diventare un polo produttivo strategico rispetto agli obiettivi di sicurezza energetica e autonomia strategica europea.

Recuperare la dimensione nazionale delle politiche

L’autonomia differenziata a federalismo fiscale inattuato, è anacronistico se si considerano gli shock che hanno colpito l’economia e la società italiana negli ultimi tre anni. Shock globali che hanno fatto emergere i limiti di risposte frammentate a livello territoriale.

L’autonomia differenziata espone l’intero Paese ai rischi di una frammentazione insostenibile delle politiche pubbliche chiamate a definire una strategia nazionale per la crescita, l’inclusione sociale e il rafforzamento del sistema delle imprese. A questo quadro di frammentazione si aggiungono i rischi di un congelamento dei divari territoriali di spesa pro capite già presenti e di un indebolimento delle politiche nazionali redistributive tra individui e di riequilibrio territoriale

La SVIMEZ stima che le funzioni delegate assorbirebbero larga parte dell’IRPEF regionale: il 90% circa nel caso del Veneto, quote tra il 70 e l’80% per Lombardia ed Emilia-Romagna. Rilevanti sarebbero gli effetti in termini di contrazione del bilancio nazionale, con la conseguente riduzione degli spazi di azione della finanza pubblica centrale. Il gettito IRPEF trattenuto dalle tre regioni risulterebbe pari a circa il 30% del gettito nazionale.

Il PNRR e la coesione territoriale

E’ necessario valorizzare il coordinamento degli interventi del PNRR con le programmazioni europee, come previsto dalla riforma recentemente inserita nel Piano. Le risorse della programmazione 2021-2027 dei Fondi europei per la coesione, potendo essere sfruttate in un orizzonte temporale più ampio, possono rappresentare un utile strumento per “mettere in sicurezza” gli interventi del PNRR che potrebbero non raggiungere entro il 2026 i target previsti. Tale operazione potrebbe prevedere copertura temporanea a valere sul Fondo di rotazione nazionale.

La principale criticità riguarda i vincoli di concentrazione tematica sugli Obiettivi strategici 1 e 2 della programmazione europea 2021-2027 che rendono difficile trovare adeguata copertura finanziaria per gli interventi del PNRR di carattere sociale di responsabilità dei Comuni. Complessa, anche se per molti versi auspicabile, considerando la profonda modifica del contesto economico rispetto al periodo in cui era stata definita la programmazione 2021-2027, è la procedura di modifica dei Programmi nazionali e regionali necessaria a garantire la copertura degli interventi definanziati.

L’utilizzo del Fondo nazionale per lo sviluppo e la coesione per i progetti esclusi dal PNRR è reso complicato dal tema della concentrazione territoriale delle risorse della coesione nazionale (l’80% riservato alle regioni del Mezzogiorno secondo le previsioni normative). Problema che investe, più in generale, le proposte di modifica degli interventi contenuti nel PNRR, che devono comunque sempre rispettare il vincolo di destinazione alle regioni del Mezzogiorno del 40% del totale delle risorse. Conseguentemente, l’eventuale finanziamento attraverso i Fondi europei per la coesione e l’FSC di interventi del PNRR, soprattutto se localizzati esclusivamente o prevalentemente nel Mezzogiorno, non può prescindere dall’individuazione di nuovi interventi che preservino l’ammontare di risorse attualmente destinato alle regioni meridionali.

Soprattutto, si evidenzia la necessità di una riflessione più ampia sull’approccio del PNRR, considerando le difficoltà delle amministrazioni meridionali (e non solo) nel reperire risorse a causa di carenze progettuali e attuative. La competizione tra le amministrazioni locali, attraverso il sistema dei bandi, sembra aver portato a un processo di attuazione incerto, suggerendo l’importanza di interventi decisi per rafforzare la governance territoriale negli enti territoriali con minore capacità amministrativa.

Per quanto riguarda il capitolo italiano del REPowerEU, le risorse complessive ammontano a 18,7 miliardi. La quota Sud è condizionata dalla concentrazione delle risorse sugli incentivi automatici relativi alla transizione verde e all’efficientamento energetico, attraverso le misure «Transizione Green 5.0» e «Credito di imposta per l’autoconsumo di energia da rinnovabili», per le quali la quota Sud è solo del 22%.

Sud e Politiche: il coordinamento che serve

Il quadro normativo della politica di coesione ha subito profondi cambiamenti che hanno consolidato il ruolo politico del Ministro delegato e posizionato la complementarità finanziaria e strategica tra le diverse programmazioni come fulcro della riforma del PNRR. L’azione governativa mira a coordinare maggiormente i vari livelli di governo, centralizzando i luoghi decisionali e attuativi attraverso accordi specifici come, ad esempio, Accordi per la coesione tra Ministro e altre amministrazioni centrali e locali nei quali vengono individuati gli interventi da finanziare con il Fondo Sviluppo e Coesione.

Le considerazioni della SVIMEZ sottolineano l’importanza di coordinare le diverse programmazioni per la perequazione infrastrutturale, garantendo operatività a previsioni di riparto territoriale spesso non attuate. Ciò anche per garantire interventi commisurati ai fabbisogni delle regioni caratterizzate da più ampi gap infrastrutturali economici e sociali da colmare. L’obiettivo del riequilibrio territoriale, al di là delle politiche aggiuntive, dovrebbe coinvolgere l’intervento pubblico ordinario per imprese e famiglie. Tuttavia, tale condizione è minacciata dalle proposte di autonomia differenziata in discussione, che potrebbero vanificare gli sforzi volti a rendere più efficace l’azione delle politiche aggiuntive.

La Zona Economica Sud (ZES)

Nel contesto della Zona Economica Sud (ZES) Unica, si anticipa la sostituzione delle attuali otto ZES dal 1° gennaio 2024. L’obiettivo è estendere benefici fiscali e semplificazioni burocratiche a tutto il Mezzogiorno come forma di fiscalità compensativa. Tuttavia, il successo della ZES Unica dipende dalla semplificazione amministrativa, dalla capacità di integrarla nelle politiche nazionali e regionali, e dall’identificazione di settori prioritari.

La ZES Unica presenta quindi indubbi vantaggi potenziali, ma rischia di produrre effetti limitati se non sarà pienamente integrata nelle politiche industriali nazionali e regionali e nelle più ampie strategie di sviluppo del Paese.

Saranno in particolare due aspetti a decretare il successo o il fallimento della ZES Unica: il primo riguarda la capacità della nuova governance di assicurare la semplificazione amministrativa alla base del disegno originario, cioè della Struttura di missione nazionale di svolgere per l’intero territorio meridionale la funzione di sportello unico delle autorizzazioni. Una funzione che, considerato il numero elevato di progetti di investimento che si prevedono, richiederà inevitabilmente un rapporto cooperativo con le Amministrazioni locali. Il secondo dipende dalla capacità di recuperarne la finalità di strumento di politica industriale e infrastrutturale dovendo, quindi, valorizzare le specificità produttive, economiche e sociali dei territori. Non meno importante sarà l’individuazione dei settori prioritari nei quali favorire l’attrazione dei grandi investimenti necessari ad accrescere la competitività del sistema economico meridionale. Senza tralasciare la realizzazione di legami funzionali e strategici con le principali infrastrutture, specialmente portuali, del Mezzogiorno.

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