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sabato, Novembre 23, 2024
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Siamo i soliti, apatici, terroni…

Francesco Salerno analizza in modo nudo e crudo l’apatia della Locride, dai sindaci ai singoli cittadini, in merito alle tante problematiche, mai risolte, della nostra terra.

Francesco Salerno

Anche questa volta, noi meridionali o, meglio, noi locridei, stiamo dimostrando di essere un popolo apatico, rassegnato e senza alcuna volontà di migliorarci la vita.

Mi riferisco, ovviamente, alla chiusura della Strada Ionio-Tirreno, la Limina, che resterà impercorribile per almeno due anni. Ora, sono già stati fatti convegni, articoli, proteste (scritte, sia mai si vada in piazza), e ogni sorta di altro atto totalmente inutile per protestare contro la chiusura della strada.

Perché dico inutile? Perché, come al solito, le parole non porteranno a nulla se non saranno seguite dai fatti. Qualche giorno fa, qui, sulla Riviera, è stato pubblicato un bell’articolo di Francesco Pelle in cui auspicava una presa di posizione forte da parte dei sindaci della Locride. Nello specifico, Pelle vedeva bene i primi cittadini, tutti insieme, recarsi dal Prefetto per consegnare le fasce tricolori.

Un atto potente che potrebbe avere eco nazionale e che potrebbe, persino, portare l’attenzione dell’Italia intera su questo nostro dramma.

Io condivido l’idea di Pelle o, meglio, ci speravo, almeno finché non mi sono ricordato che i sindaci, per il loro incarico, percepiscono stipendi più che considerevoli. Chi mai sarebbe pronto a rinunciare a migliaia di euro per una protesta del genere? Mi spiace Francesco, ma credo nessuno sia la risposta.

I sindaci continueranno a inviare qualche articolo, a fare qualche riunione o evento, giusto per dimostrare che “ci hanno provato”, ma finirà lì. Anche noi, il celebre popolo, non siamo da meno.

Puntiamo continuamente il dito contro questo o quel problema senza mai avere il coraggio di prendere un’iniziativa reale che non sia il commento sul social di turno. Siamo apatici, fatalisti e senza alcuna volontà di smuovere le “chiappe” per provare a cambiare le cose. Tanto vale, dunque, rassegnarci all’inevitabile e, mentre il governo ci infila un ponte che nessuno vuole, osservare come la chiusura di una sola strada tornerà ad eclissarci dal mondo. In fondo, se vogliamo essere onesti, un po’ ce lo meritiamo.

Pur di non assumerci alcun rischio o responsabilità abbiamo incolpato Garibaldi della povertà della nostra terra… Potremmo incolparlo anche di questo, tutto sommato.

Sbraitiamo tanto l’amore per la nostra terra ma, quando questa viene umiliata da una politica indegna e classista, siamo sveltissimi ad alzare le spalle e, con tono fatalistico, dire un semplice: “E che ci vuoi fare?”.

Nulla, che ci vuoi fare? Non vorremo mica scendere in migliaia in piazza e andare a muso duro contro la Regione? Vade retro. Non si fanno queste cose, non nel 2023. Gli scioperi e le proteste andavano bene negli anni ’60 e ’70 quando bisognava difendere e conquistare i nostri diritti, ma oggi non più. Nel 2023 siamo troppo civili per farlo, dico bene? Pensate se nel 1848 o nel 1789 avessero avuto i social. In Francia ci sarebbe Luigi 31esimo e la costituzione sarebbe un miraggio.

Ma sono argomenti oggettivamente pesanti, soprattutto ora che siamo in estate.

Una birra fresca, un po’ di mare, qualche sagra di paese e passa tutto.

Certo, il mondo intanto andrà avanti mentre noi rimaniamo a guardarci le scarpe, ma che ci vogliamo fare? Siamo questi noi, i soliti, apatici, terroni di sempre.

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