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Si è come si è

La Riviera compie 25 anni. Era il 1° agosto 1998 quando usciva il primo numero del giornale. Per l’occasione il direttore, Franco Arcidiaco, racconta che cosa significa “Riviera” per chi in tutti questi anni ha lavorato per realizzare questo tipo di informazione.

Franco Arcidiaco

Mi capita di essere direttore de La Riviera in occasione del suo 25° anniversario, il primo numero data infatti 1° agosto 1998. Se mi giro indietro a leggere i nomi dei direttori che mi hanno preceduto alla guida di questa goletta corsara, mi tremano le vene e i polsi per dirla col sommo Poeta. Si tratta di alcuni tra i più bei nomi della cultura e del giornalismo calabrese ed io non posso che ringraziare l’editore Rosario Condarcuri per aver riposto in me tanta fiducia.

Pasquino Crupi, storico direttore di cui quest’anno ricorre il 10° anniversario della morte, amava ripetere che “non è necessario nascere in provincia per essere provinciali”, in egual misura posso affermare che La Riviera non è un giornale provinciale pur essendo nato e cresciuto in provincia. In questo quarto di secolo sulla Riviera sono stati trattati gli argomenti più disparati con una forte attenzione al mondo delle lettere, delle arti, dell’artigianato, dell’imprenditoria sana e del Terzo settore. La stessa cronaca nera e/o giudiziaria è sempre stata trattata con un “taglio sociale”, evitando di suscitare nel lettore l’attrazione morbosa che inevitabilmente i fatti di sangue e violenti esercitano. Siamo un giornale locale che va avanti tra mille difficoltà (che abbiamo in parte superato col passaggio al digitale) e, come tutti i giornali della nostra dimensione, offriamo un servizio insostituibile alla democrazia. I giornali locali meriterebbero la massima attenzione e sostegno da parte delle istituzioni e della società perché rappresentano la voce dei territori e danno spazio agli emarginati, agli esclusi, agli isolati che non attraggono gli inserzionisti pubblicitari e difficilmente scalano le posizioni di Google. Diventa addirittura eroico il ruolo dell’editore di un giornale locale quando, come nel caso del nostro Rosario, si tratta di un “editore puro”. Beninteso, non mi sto riferendo qui alla purezza d’animo del nostro editore, la mia ferrea morale laica non si può spingere al punto di mettere la mano sul fuoco per questo, ma per “editore puro” intendo un modello di imprenditore che esercita come attività principale l’editoria e questo, in una regione che registra il più basso indice di lettura d’Europa, potrebbe fare dubitare dell’assennatezza di Rosario Condarcuri… In questi tempi in cui il web sembra essere diventata l’unica bussola, il lavoro degli editori puri garantisce un’informazione non omologata e non appiattita sul pensiero unico. Fare opinione, per un giornale come La Riviera richiede uno sforzo immane, poiché la forza di persuasione di una testata locale non può essere la stessa di un network nazionale ma anche e soprattutto perché si trova più esposta e indifesa dalle minacce e dalle querele. Nonostante le difficoltà e la fatica (soprattutto di Rosalba Topini), da qualche mese offriamo quotidianamente ai nostri lettori anche l’edizione serale RIVIERA SERA che interagisce col nostro sito per consentirci di rimanere sempre “sulla notizia”.

Abbiamo dalla nostra parte nientemeno che Papa Francesco, unica voce illuminista in questo secolo buio, che qualche anno addietro, in occasione della Giornata Mondiale delle Comunicazioni sociali ebbe a dire: «Per poter raccontare la verità della vita che si fa è necessario uscire dalla comoda presunzione del “già saputo” e mettersi in movimento, andare e vedere, stare con le persone, ascoltarle, raccogliere le suggestioni della realtà, che sempre ci sorprenderà in qualche suo aspetto». Francesco, in quell’occasione, invitò i giornalisti a consumare le suole delle scarpe, denunciando «il rischio di un appiattimento in giornali fotocopia, dove il genere dell’inchiesta e del reportage perdono spazio e qualità a vantaggio di una informazione preconfezionata, di palazzo, autoreferenziale, che sempre meno riesce a intercettare la verità delle cose e la vita concreta delle persone».

Non posso chiudere questo editoriale senza fare cenno a uno dei problemi chiave, quello della criminalità organizzata (CO) ed all’approccio che ha il nostro giornale verso tale fenomeno universale; faccio ricorso nientemeno che a Leonardo Sciascia, così metto al riparo paraculescamente me e Rosario. L’ 8 agosto del 1988 Leonardo Sciascia, stremato dalle invettive che gli erano arrivate addosso dopo il famoso editoriale sui “professionisti dell’antimafia”, chiese ospitalità a La Stampa (che allora era un gran giornale) e scrisse lapidario: «Io ho dovuto fare i conti da trent’anni a questa parte, prima con coloro che non credevano o non volevano credere all’esistenza della mafia e ora con coloro che non vedono altro che mafia. Di volta in volta sono stato accusato di diffamare la Sicilia o di difenderla troppo; i fisici mi hanno accusato di vilipendere la scienza, i comunisti di avere scherzato su Stalin, i clericali di essere un senza Dio; e così via. Non sono infallibile, ma credo di aver detto qualche inoppugnabile verità. Ho sessantasette anni, ho da rimproverarmi e rimpiangere tante cose, ma nessuna che abbia a che fare con la malafede, la vanità e gli interessi particolari. Non ho, lo riconosco, il dono dell’opportunità e della prudenza. Ma si è come si è».

Franco Arcidiaco

 

 

 

 

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