di Mario Alberti
Buon primo maggio a quei due ragazzini con le Converse che si abbracciavano, un paio di settimane fa, alla stazione di Gioiosa, attendendo il treno verso Catanzaro lido. Per loro la strada verso l’indipendenza economica sarà in salita, piena di massi pronti a franare. Incontreranno adulti senza memoria che li giudicheranno fannulloni perché rifiuteranno di lavorare quattordici ore al giorno per duecento euro, e soprattutto senza speranza di crescita. Incontreranno proposte indecenti di datori di lavoro che li faranno sentire parte dell’impresa soltanto quando le cose andranno male, e le duecento euro diventeranno centocinquanta. Ma non quando le cose andranno bene, e le duecento euro rimarranno sempre duecento. Il rischio d’impresa che si ribalta sul lavoratore. Mica gli utili. Ma questo è comunismo puro. E adesso qualcuno dice che il primo maggio non è solo festa della sinistra. Forse, il primo maggio non è una festa, ma un ricordo. E dovrebbe servire per comprendere i drammi delle giovani generazioni che vivono come vogliamo noi. Giorno per giorno, in attesa di mettere da parte i soldi per un biglietto verso l’Europa, mentre i loro genitori imprecano contro i migranti che trasformano la Calabria in Eritrea e le Chiese in Moschee. In questo mix di cazzate e drammi penso ai due ragazzi alla stazione, mi vergogno e chiedo scusa. Altro non posso fare per festeggiare il primo maggio, festa della retorica.