Nella Calabria attraversata dalla fase forse più delicata della sua storia dominata da colonizzazioni politiche aggressioni mafiose malcostume che inquina le istituzioni tre leader sindacali, Landini (Cgil) Sbarra Cisl, Bombardieri (Uil) scendono in campo per richiamare l’attenzione del Governo Draghi su un’emergenza nazionale dallo Stato ignorata e dai partiti (tutti) non capita, volutamente o meno. Un emiliano e due calabresi sono scesi a Siderno (come i re magi) e hanno incontrato la popolazione e i sindaci del territorio, che sono quelli che se riuscissero a coordinarsi potrebbero mandare a casa una classe politica parlamentare e dirigente (tutta) inconcludente, suddita e famelica, assoggettata a improbabili leader nazionali, che conoscono la Calabria come appendice irredimibile e persa di un’Italia che per la verità non è che è messa bene. Niente affatto bene. Perché è una nazione disunita e lacerata dove il primo che passa può diventare presidente del Consiglio dei ministri e finire anche col crederci, anche se chi l’ha messo lì poi lo definisce un “incapace, non ne abbiamo bisogno”. Sono tempi in cui rimpiangiamo pure il circo di nani e ballerine di Rino Formica, formidabile leader del Psi dei tempi di Craxi che così definì la corte socialista dell’epoca. Oggi alla corte della politica ci sono al posto dei nani e delle ballerini comunque non nocive insetti fastidiosi e odiatori seriali. Per tutti questi motivi la “discesa” in Calabria di Landini, Sbarra e Bombardieri va valorizzata, tenuta in gran considerazione, aprendo un canale permanente di dialogo col sindacato, prendendo le distanze dalla “minoranza” politica che comanda in Calabria e si accinge a comandare, chiunque vinca le elezioni. Minoranza perché la maggioranza sta a casa, non riesce ad avere titolo, ad influire, ad esercitare i suoi diritti elettorali. Che cosa scegli in un panorama infinitamente triste fatto di tentativi di rinnovamento, aggiustamenti, esperimenti con i leoni nella fossa che se la ridono, pronti a mangiarsi il boccone? Non la cambiamo la Calabria col consenso alle truppe di Salvini, Letta, Speranza, Meloni, col de Magistris riverniciato, col riciclaggio (riutilizzo) di Oliverio. Se l’iniziativa dei tre leader sindacali potrà (è auspicabile) avere un seguito bisognerà trovare gli spazi per fare cose nuove in Calabria, trovare il modo di inventarsi un “metodo Draghi” (un governo largo e di tutti) per la salvezza di una regione che ha perso – anche per sua colpa, sua grandissima colpa, intellettuali o presunti tali in primo luogo – ogni autobus. Chi può promuovere un progetto del genere e non lo fa (per piccoli calcoli) o chi appelli per il sostegno a nuovi aspiranti viceré porterà pesi farisaici sulla propria coscienza. In ogni caso, a prescindere da come andrà a finire, il sindacato può rivelarsi una carta vincente se riuscirà a rappresentare a Draghi, in quanto presidente del Consiglio, la situazione pessima della Calabria, il suo essere sull’orlo di un burrone di cui non conosciamo la profondità. Non si tratta di essere pessimisti o ottimisti ma di essere realisti. Forse serve alla Calabria – non potendosi al momento spazzar via l’istituto regionale fallimentare – un’Alta Autorità Governativa istituita con legge speciale (non un commissariamento per carità) che affianchi la Regione, la indirizzi, colmi le mediocrità della burocrazia, si raccordi con i sindaci, vigili sugli sperperi, tenga lontana la piovra mafiosa. Se siamo come nel dopoguerra serve qualcosa da dopoguerra.
Mimmo Nunnari