La tentazione l’ho avuta. Annunciare il 1 d’aprile che la FIFA aveva revocato il titolo del 1934, come conseguenza dell’annullamento, da parte del ministro Piantedosi, della cittadinanza italiana di Guaita, ed Orsi.
Galileo Violini
Le due cittadinanze sarebbero state annullate per indegnità. Vittorio Pozzo ne aveva giustificato la convocazione dicendo che gli oriundi, “Se potevano morire per l’Italia, potevano anche giocare per l’Italia”. Guaita ed Orsi, però, a morire per l’Italia non pensavano affatto, e avevano “disertato”, fuggendo in Argentina, pur di non andare in Etiopia. Il Governo aveva dato, contestualmente alla revoca, un messaggio positivo, con un riconoscimento postumo agli altri due oriundi di quella Coppa Rimet, Monti e De Maria, loro sì modello di integrazione e amore patrio, essendo rimasti in Italia. Un monumento in loro onore sarebbe stato eretto nella nuova quarta sponda, in edifici di limitato utilizzo. Lo scoop sarebbe stato arricchito da due note di colore: il vicepremier Salvini si era astenuto sulla seconda decisione. Monti e De Maria erano parte della storia di Inter e Juve, e, in coscienza, non poteva encomiarli. Entusiastici, invece i commenti a Cosenza, dove ancora vivo è il ricordo di De Maria che con i lupi terminò la sua carriera di giocatore.
Pesce d’aprile abortito. Il tema della cittadinanza ai discendenti di italiani è troppo serio e parte di un problema di tale rilevanza ed urgenza da obbligare il nostro governo a dedicargli attenzione prioritaria. Con risultati concreti però, che avevano permesso annunciare con orgoglio di averlo risolto con un decreto legge. Mai più cittadinanza grazie ai bisavoli!
Mentre questo accadeva a Palazzo Chigi, proprio negli stessi giorni altri governi discutevano bagattelle, si preoccupavano per quanto succedeva di là dell’Atlantico, per il futuro della crisi ucraina, persino del fatto che il 2 aprile sarebbe entrata in vigore una nuova politica di dazi negli USA. “Una misura sbagliata”, il laconico, e quindi con alta densità di pensiero, commento della Metternich del Terzo Millennio. Sbagliata? Probabile, ma soprattutto cara. Secondo la stima più prudente ci costerà solamente lo 0.3 % del nostro Pil, cioè 6 miliardi di euro, il costo di otto centri off-shore per emigranti. “ L’urgenza lo imponeva. Lo ha spiegato il vicepremier ministro degli Esteri: è vero che la minaccia paventata dalla premier, l’invasione di 140 milioni di Bangadeshi, il Governo l’aveva sventata, però un nuovo pericolo è apparso all’orizzonte: Ottanta milioni di richieste di cittadinanza da parte di chi ha qualche goccia di sangue italiano nelle vene.
Quanto sangue italiano serve perché una persona sia italiana? Dipende. Secondo il decreto legge, basterebbe un 25 %, ma di qualità. Deve essere eredità di un nonno nato in Italia (concessione allo jus soli?). In cambio, può non essere sufficiente il 100%, se di bassa qualità, eredità di otto bisavoli, tutti nati nella penisola, ma i cui figli fossero nati all’estero. Criterio strano, con elementi discutibili. Un nazionalista convinto potrebbe turbarsi pensando che, se il nonno fosse nato a Spezzano Albanese, o in altra delle isole linguistiche che abbondano nel nostro paese, caratterizzate da secoli di inbreeding, forse quel sangue è piuttosto puro sangue albanese, o greco. Nei dettagli, poi, si manifesta la consueta sciatteria del governo votato dalla Nazione. Cittadinanza da negare anche se il bisavolo è stato infoibato, solo perché italiano, secondo il mantra caro alla premier, nel caso che il nonno sia nato nella costa dalmata dove solo Zara era italiana. E come considerare chi fosse nato, negli ultimi due anni di guerra, in territori momentaneamente non italiani, la Alpen Vorland o l’Adriatiches Kustenland. E, se fossero inclusi come considerare qualcuno nato a Lubiana, parte anch’essa del l’Adriatiches Kustenland?. Discorso spregiudicato, se confrontato con la storia della destra italiana, sempre difensora degli esuli giuliani, e che inoltre manda serenamente alle ortiche una sua bandiera storica, il povero Tremaglia, strenuo avvocato di Italiani nel mondo.
Poco da stupirsi!. Si riafferma una visione dello stato in cui tutto è concesso a chi abbia vinto le elezioni, senza condizioni né controlli. Anche la cittadinanza è di libera disponibilità di chi è stato scelto dalla Nazione, e quindi è octroyèe, è merce di scambio, è cemento di alleanze di partito o personali. Se è utile concederla, si concede. Magari con tempi record, a un presidente amico e alla sua famiglia. Non sarebbe stato opportuno che la concessione express della cittadinanza al presidente Milei e a sua sorella fosse accompagnata dall’esibizione della documentazione che effettivamente essi hanno sostenuto l’esame della lingua del bel paese là dov’l sì suona, mostrandone la conoscenza al livello B1? Luis Suarez alla berlina, ma parla italiano Milei? La cittadinanza si dà, o si cerca di darla rapidamente, anche a sportivi, vuoi per interessi economici di grandi società sportive, vuoi per rimpinguare i medaglieri in competizioni continentali o mondiali. Il successo sportivo è, se non oppio dei popoli, almeno un succedaneo. Per i comuni mortali, per quelli di quegli ottanta milioni che provano a chiederla, la realtà è ben diversa. Numerosi i casi kafkiani che il nuovo decreto ha definitivamente condannato alla sepoltura. Ne menziono due, emblematici, segnalatimi da amici latino americani, sotto condizione di anonimato,.
Paese X. Una persona, A, chiede al consolato di trasmettere al comune Y, non Montorio dei Frentani con i suoi 360 abitanti, pari alla metà dei suoi oriundi, ma ex capitale del Regno d’Italia, la sua documentazione. Dopo due anni, nemmeno ha ricevuto riscontro della richiesta. Il decreto Salvini aveva sepolto il principio del silenzio assenso.Questo ultimo seppellisce il diritto a una sollecita risposta da parte delle istituzioni.Certo, in teoria si puó ricorrere a una corte internazionale, ma chi lo farà? Paese W. Una persona, B, lotta per anni, per poter presentare, tramite l’apposito canale online, la domanda di cittadinanza. Nessuna data dispoonibile. Riprovi, l’invito ekettronico. Quindi contatta il consolato, che se ne lava le mani, rinviandola all’agenzia intermediaria. Continui a provare. La documentazione, pronta da alcuni anni, ancora non ha potuto essere presentata. Due casi emblematici, insanabili dopo il decreto. A e B hanno speso denaro, hanno dedicato tempo, hanno creduto che l’Italia rispetterebbe quello che, allora, era loro diritto. Dopo il decreto tutto ciò non è rilevante. Chi ha avuto ha avuto. Scurdammoce o’passato.
È, o dovrebbe essere, ovvio che quanto è accaduto in questi due casi nulla ha a che fare con l’altro mantra citato a sostegno dell’ultimo decreto. Che le richieste di cittadinanza sono finalizzate a riceverne i benefici, che poi si riassumono in un passaporto dell’Unione Europa. La cittadinanza si deve meritare. Dopo la tradizionale richiesta di anni di studio come prova di integrazione, ora il ministro degli esteri nonchè vice premier ha lanciato una nuova idea: richiedere prova di una partecipazione attiva alla vita nazionale. In che forma? Boh! Ci penseranno. Concretamente, nessun suggerimento. Per il momento, l’unico contributo al paese è economico, il maggior costo della domanda. Un’alternativa potrebbe essere introdurre il voto obbligatorio e porre condizioni specifiche (di dubbia costituzionalità, comunque) per gli italiani all’estero. Si pretenderebbe un maggior senso civico di quello di più della metà dei connazionali residenti, ma per bacco, l’abbiamo scritto: la cittadinanza si deve meritare! Intanto, il votare è reso più difficile. Si abolisce, e lo trovo sacrosanto, anche se chissá se è buona decisione per il Governo (vuoi vedere che ci ripensano?), il voto per corrispondenza, ma senza impegnarsi ad ampliare la rete consolare o a rivedere le competenze dei consolati onorari. In Cile, le città dell’estremo Nord o Sud distano da Santiago più di 2000 Km. E un cittadino italiano che eventualmente viva in Rapa Nui (l’Isola di Pasqua) dovrebbe fare un viaggio aereo di oltre cinque ore. É improbabile? Forse, ma nelle Galapagos ecuatoriane il problema é simile.
Al di là di aspetti logistici e pratici, non c’è da sorprendersi se il governo dell’incultura dimentica che gli “oriundi” sono, nei loro paesi di residenza, rappresentanti ed ambasciatori della nostra cultura. Di questo e del loro attaccamento alle loro origini abbondano le prove, in particolare per quanto riguarda la nostra regione. La Calabria ha storicamente un forte legame con i suoi emigrati. Nella nostra maggiore università lo studio del turismo delle origini conta con una dei maggiori esperti italiani. Chiedere che questi legami siano sostenuti è utopico? Non risponde a interessi reali del paese? Sarebbe interessante verificare se i nostri parlamentari eletti nel collegio estero supererebbero oggi il nuovo test di italianità. Che sì o che no, la loro reazione nel subcontinente più interessato, l’America Latina, è stata unanime e trasversale, sia pure con sfumature, imbarazzo dei più vicini al governo e assoluta quella degli altri: il decreto deve essere modificato. Se una tale modifica, come auspicato, ci sarà, è chiedere troppo sperare che le menti dei nostri governanti, o per illuminazione divina o per laico approfondimento, comprendano che viviamo in un mondo interconnesso, che abbiamo bisogno sia dei nostri compatrioti emigrati sia di nati e cresciuti in Italia da genitori non italiani? Abbiamo bisogno di nuovi cittadini. Sono un exdocente universitario. Penso con terrore, anche se molto probabilmente non lo vedrò, all’approssimarsi di quando le università avranno il 20 % in meno di potenziali iscirtti.
Non sarà nel 2100, ma solamente tra quindici anni.