Ora, se l’inquietante ipotesi che i resti umani appartenga- no al giovane imprenditore trovas- se conferma, non ci sarà spazio per altra lettura: San Luca, ancora una volta, verrebbe dipinto come l’utero della ‘ndrangheta, un grembo di riti e di reati che si rigenerano e trasmi- grano di generazioni in generazioni
Riviera
Sembrava che l’apocalisse Duisburg avesse messo una pietra tombale sulla spirale di sangue che a San Luca si trascinava da mezzo secolo. Sono “schianati” lassù commissari con poteri da superprefetti, segretari di lobby, mascherati, specialisti di loschi equilibri, hanno calato dall’alto sindaci, assessori e messi, hanno deciso politiche sociali, sport, spettacoli e sagre della legalità. Ma niente. Dagli anni Settanta, San Luca, u Paisi, sforna malavita come Londra, la City, Grande Rock.
È questa la cruda verità che continua a infliggere ferite mortali all’idea di un sanluchese diverso nel mondo. Inutile girarci intorno come i Sunniti alla Mecca, oggi il mondo intero è pronto a puntare di nuovo il dito contro u Paisi. Se l’inquietante ipotesi che i resti umani rinvenuti nel fuoristrada appartengano al giovane imprenditore, Antonio Strangio, trovasse conferma, non ci sarà spazio per altra lettura: San Luca, ancora una volta, verrebbe dipinto come l’utero della ‘ndrangheta, un grembo di riti e di reati che si rigenerano e trasmigrano di quattro generazioni. E non è “la qualunque” tragedia greca, che si nutre di regolamenti di conti recidivi tra famiglie di sangue violente. Qui si parla di una bestia immonda, la ‘ndrangheta, ali da pidocchia e zanne aguzze, che non si alimenta, appunto, di sangue, ma di habitat, inteso come luogo ruspante di nutrimento criminale: comportamenti, pose maschie, appeal da narcos e summit mafiosi.
San Luca, ancora tu, quindi, bestia immonda fuori dal tempo, senza testa che, maledettamente, fai sempre di testa tua?
Speriamo con tutto il cuore di sbagliarci. La storia fideiussoria di questo giornale nei tuoi confronti, da Pasquino Crupi a Ilario Ammendolia, lo dimostra con decine e decine di pagine. Vorremmo essere smentiti, ridicolizzati. Ma finché vedremo lungo e attorno i nostri paesi, adolescenti sanluchesi che smettono di appartenersi, per poi vantare con spavalderia l’appartenenza ad un paese che occupa i primi posti nel Mafia ranking mondiale, allora, lo sappiamo per esperienza, una nuova croce insanguinata non farà che riportare alla luce, senza sè e senza ma, la vecchia macchia, il danno epocale.
Certo, i giovani deviati da questa sindrome dell’appartenenza non sono solo di San Luca o Bovalino: ci sono le baby ‘ndrine di Siderno e Locri e, in ordine sparso, quelle lungo le direttrici Ardore-Ciminà e Africo-Bianco, quelle del triangolo Platì-Natile-Careri e molte altre ancora. Tuttavia, è San Luca che, più di ogni altro luogo della Calabria, dovrebbe segnare un cambio di rotta nella nostra storia criminale. Eppure, immancabilmente e a quanto sembrerebbe, finisce per fare l’esatto opposto.