L’11 marzo scorso il Ministero dell’Istruzione e del Merito ha pubblicato la bozza sulle “Nuove Indicazioni 2025 Scuola dell’Infanzia e Primo ciclo di istruzione – Materiali per il dibattito pubblico”. Un testo di 153 pagine destinato a suscitare, nelle intenzioni degli estensori, un vasto confronto nel Paese in vista dell’entrata in vigore delle nuove indicazioni a partire dall’a.s. 2026/2027.
di Vito Pirruccio
Con le “Nuove Indicazioni 2025 Scuola dell’Infanzia e Primo ciclo di istruzione – Materiali per il dibattito pubblico” è partito il dibattito con fuoco avverso sulla base di convinzioni preconcette politico-partitiche che, in partenza, non aiutano a sviluppare un dibattito franco e scevro di secondi fini. Come ogni documento in questa materia andrebbe, invece, sezionato nell’analisi sapendo cogliere gli aspetti positivi e facendo emergere quelli negativi o critici. Un lavoro del genere dovrebbe coinvolgere tutto l’universo scolastico, senza affidarlo ai soli addetti ai lavori. In effetti, quando si entra nello specifico, in particolare, delle Discipline della Scuola Primaria e della Scuola Secondaria di Primo grado, il discorso è necessariamente improntato su dettagli tecnici e, per chi non è della materia, aggiunge un carico di pesantezza, anche nella lettura, non facile da sopportare. Tuttavia, il focus culturale è alla portata di tutti e necessita di uno sguardo d’insieme da parte di coloro i quali entrano in rapporto con la scuola. E sono tanti.
Nello spazio di questo articolo tenterò, per quanto possibile, di estrapolare alcuni punti che, a mio parere, rivestono un’importanza strategica nel quadro del rinnovato assetto che si vuole dare alla scuola di base, ferma ancora, anche in queste Indicazioni, alla Terza Media, nonostante i due anni aggiuntivi superiori rientranti nella scuola dell’obbligo e che non hanno assunto, finora, né la funzione di orientamento/ponte verso la scelta secondaria né un prolungamento della Scuola Media dell’obbligo. A tal proposito, non vedo il motivo per cui gli attuali docenti della Scuola Media non debbano essere considerati contingente in organico, pure, del primo biennio della Scuola Superiore dal momento in cui l’obbligo scolastico è stato portato a 10 anni; hanno titolo di accesso uguale ai docenti di secondo grado e tale segmento biennale è di collegamento con il triennio delle superiori solo con una quota di discipline professionalizzanti.
La Premessa Culturale riprende l’impostazione che nella Scuola di Base si è consolidata nel dopoguerra e, in particolare, nei lavori alla Costituente giungendo a richiamare, persino, i programmi Ermini del 1955. Un salto all’indietro, meglio “un ritorno al passato” come scrive Reginaldo Palermo in una intervista a Silvana Loiero, formatrice e già dirigente scolastica?
Su due aspetti, a mio parere, questo “ritorno al passato” più che essere una retromarcia conservatrice è un ripensare/rivedere alcuni modelli educativo-didattici che si sono affermati nelle nostre scuole. Penso, ad esempio, sul piano educativo alla figura dell’insegnante e su quello degli apprendimenti allo spazio sottratto alla scrittura. Due aspetti sui quali concentro la mia attenzione in questo articolo.
Sia chiaro, non è che basti emanare nuove Indicazioni Nazionali per invertire il processo in corso che si è consolidato negli ultimi trent’anni. Fare un tagliando periodico, però, non guasta.
In verità anche le attuali Indicazioni, pur partendo da principi e valori condivisibili, alla fine sul famoso rapporto scuola-famiglia resuscitano uno strumento burocratico e con ricadute pari a zero qual è il “Patto di corresponsabilità”. Non prendere atto, ad esempio, che la formalizzazione dell’accordo scuola-famiglia sia diventata una procedura stantia che si ripete per automatismo ad ogni iscrizione senza aver mai assunto alcun valore né formale né sostanziale, significa in effetti che, su questo terreno, si è rimasti a metà del guado.
Ritengo importante, soprattutto, il richiamo alla “crisi della mediazione educativa” e mi piace riportare l’intero paragrafo nel quale si sottolinea senza fronzoli che: “… dileggiare una scuola, sporcarne le pareti, distruggerne gli arredi, offendere un insegnante, non sono solo azioni eticamente riprovevoli, da condannare e stigmatizzare anche con la richiesta di risponderne da parte delle famiglie, ma sono i segni preoccupanti di un cedimento valoriale del rispetto e della fiducia dovuti all’istituzione culturale più importante del nostro Paese e alle persone – dirigenti e insegnanti – che hanno scelto di spendere la propria vita in queste istituzioni al servizio delle nuove generazioni. Così come maxima debetur puero reverentia[1] è anche: maxima debetur magistro reverentia”.
Ma detto questo qual è il passaggio ulteriore per affrontare il problema? Basta la reprimenda valoriale; bastano i lavori socialmente utili come riparazione del danno? Mi sarei aspettato, ad esempio, almeno un richiamo all’insindacabilità della decisione del Consiglio di Classe in materia di valutazione del comportamento e di provvedimenti disciplinari e, in caso di accoglimento di ricorsi su materia di valutazione da parte de Giudice Amministrativo per inosservanza delle procedure prescritte dalla legge, l’obbligo dell’azione disciplinare a carico del DS, quale responsabile della legittimità degli atti emanati dai Consigli di Classe. Troppo spesso, ormai, non tanto nel Primo Ciclo, ma nella Scuola Secondaria di Secondo Grado, la scuola viene letteralmente “violentata” nel suo lavoro di valutazione degli apprendimenti e degli aspetti educativi. Partire già dal Primo ciclo nel mettere paletti ben chiari aiuterebbe tutto il processo formativo, ma principalmente darebbe un messaggio di salvaguardia del ruolo dell’insegnante oggi troppo in balia di genitori aggressivi. Non si tratta di tornare alla scuola prima della pubblicazione della “Lettera a una professoressa”, ma c’è una bella differenza tra la matita rosso/blu sottratta al docente come arma contundente e mettere l’insegnante con le spalle al muro e con le mani in alto in segno di resa! C’è una strada di mezzo che andrebbe percorsa ribadendo che l’autorevolezza dell’insegnante non è solo una conquista individuale, ma un valore condiviso dal sistema. Non mediante “Patti di corresponsabilità” cartacei, ma sposando in pieno il sostegno del lavoro docente. A maggior ragione se dalla società arrivano volgarità e linguaggi scurrili che si abbattono sul sistema educativo in modo dirompente. “I bambini ci guardano” – come giustamente evidenziato nelle Indicazioni Nazionali – è il titolo di un celebre film di Vittorio de Sica, ma è anche uno straordinario monito per genitori e insegnanti che scelgono di stare, uniti, dalla parte dei bambini”.
Ribadire, come si fa nella premessa delle Indicazione Nazionali che “il rispetto è un valore civile fondamentale che si apprende in famiglia e si consolida a scuola, nell’esercizio quotidiano dell’incontro con l’universo degli adulti e dei pari”, non è un passaggio di circostanza, ma reca in sé una denuncia e un allarme che mettono ordine alla scala dell’educazione e chiamano in causa prioritariamente i genitori.
L’altro riferimento delle Indicazioni Nazionali 2025 che fa dire ai suoi contestatori, secondo me sbagliando, di essere un ritorno al passato riguarda il richiamo alla scrittura. Problema che ci trasciniamo da tempo, ma, in particolare, a seguito della rivoluzione digitale (Strada, lo voglio sottolineare, non da demonizzare ma da accogliere responsabilmente in tutte le fasi della formazione, specie, nel momento in cui aiuta e accresce il processo di apprendimento degli allievi). Non è un caso che identica esigenza viene avvertita dai sistemi scolastici europei più avanzati al mondo, come quelli finlandese e svedese.
“Carta e penna, lettura ad alta voce e piccole biblioteche d’aula devono convivere armoniosamente con assistenti virtuali e augmented learning (Per cortesia scriviamo pure in italiano comprensibile! In questo caso “Apprendimento aumentato”). Nelle scuole del primo ciclo di istruzione la scrittura è fondamentale e va curata con particolare attenzione, a partire dall’apprendimento del corsivo e della calligrafia, perché agevola lo sviluppo della coordinazione oculo manuale, allontana i bambini dagli schermi e permette di tutelare gli spazi vitali dell’esperienza concreta, ingrediente necessario, specie nella scuola primaria, per affinare pensiero e ragionamento”. L’invito, inoltre, a riscoprire l’esigenza del riassunto (Io aggiungerei pure il tema), più che un’esigenza degli estensori delle Indicazioni Nazionali è un’urgenza avvertita da chi quotidianamente opera con gli alunni. Prima si farà un uso parco delle “domande a risposta breve” o delle “domande a risposte multiple”, per esempio, prima riacquisterà valore il pensiero critico. Un percorso fatto per gradi e con discernimento che va avviato fin dalla Scuola dell’Infanzia (Si fa sempre più urgente, a mio parere, ricomprendere questo segmento formativo dentro la scuola dell’obbligo, per le ragioni che le Indicazioni evidenziano nell’apposito capitolo dedicato all’Infanzia) dando valore e attenzione “alla fase presillabica (detta anche “logografica”)” considerato che i bambini, ormai, “si impegnano precocemente nel processo di letto-scrittura”. Non un’anticipazione della lettura e della scrittura in senso stretto, ma una fase di approccio che prepara all’apprendimento della lettura e della scrittura nella Scuola Primaria.
Mi pare che sulla riscoperta della scrittura nelle Indicazioni Nazionali 2025 ci sia sicuramente un richiamo al passato che può apparire, pure, strano leggerlo tra le righe di un documento voluto da una compagine di centrodestra. Questo passato riguarda, però, il richiamo implicito ad un passaggio fondamentale della “Lettera a una professoressa”, quello in cui si parla, appunto, della scrittura: “C’è una materia che non avete nemmeno nel programma: l’arte di scrivere …”.
Se si vuole, infine, trasferire tranquillità nell’opera di apprendimento e fortificare la sicurezza nei discenti occorre fare finalmente un’opera di sdoganamento dell’errore. Questo compito spetta principalmente alla scuola che deve fare un uso saggio dell’errore come chiave principale dell’apprendimento e non come metro esclusivo per misurare il lavoro compiuto e appreso. Nonostante sia trascorso più di un secolo dalla nascita della Scuola Attiva l’errore non è stato sdoganato dal suo recinto di vergogna e di marchiatura valutativa. Dobbiamo dircelo con franchezza. Nel lavoro quotidiano del docente l’errore continua ad essere un marchio e non l’occasione per far leva nel processo di insegnamento. Cogliere l’occasione per valorizzare il dubbio come risposta di maturità più che di fragilità è un aspetto significativo che deve trovare porte aperte nelle aule scolastiche. Nel suo ultimo libro Gianrico Carofiglio, “Elogio dell’ignoranza e dell’errore”, Einaudi editore (Libro che mi permetto di consigliare ai docenti), l’autore richiama un passaggio del decalogo di Karl Popper la cui tesi di fondo è la seguente: “La nostra conoscenza cresce sugli errori che inevitabilmente facciamo e sulla nostra capacità di riconoscerli. Capacità che dobbiamo coltivare e perfezionare”. Quando i ragazzi di don Lorenzo Milani invitavano la professoressa a disfarsi della famosa matita rosso/blu, più che dell’invito a disfarsi dell’arma del voto vi era la sottolineatura dell’errore come problema che emerge e che va aggredito nella soluzione, non tanto farlo emergere per marchiare il discente. Un po’ quello che avviene nel corpo umano: la febbre (Accostamento figurato dell’errore che emerge) è il sintomo, non la malattia.
Sono convinto che, se si riuscisse in questa opera culturale di elevazione dell’errore come leva per l’apprendimento, ne guadagnerebbe la relazione educativa insegnante-alunno e verrebbe tenuta nell’angolo la prorompente voglia di invasione dei genitori. Inoltre, si umanizzerebbe l’errore come sentinella di caduta da correggere che si presenta in tutto l’arco della vita, per cui il “dono del dubbio” che prende quando l’insicurezza ti porta a consultare sullo smartphone o sul vocabolario cartaceo, per esempio, la correttezza ortografica di un termine, non è indice di ignoranza, ma sano processo di apprendimento e di consolidamento da non tenere nascosto per timore del giudizio altrui.
Insomma, ci sono spunti interessanti da cogliere, anche, nelle Indicazioni Nazionali 2025, senza dividerci sempre tra guelfi e ghibellini per partito preso.
[1] 4 ‘Maxima debetur puero reverentia’ è una massima medievale, derivante da Giovenale, Satira XIV (sull’educazione): ‘Maxima debetur puero reverentia…’ Significa che i bambini vanno trattati col massimo rispetto. Analogo concetto in Plinio il Giovane (epistola 7, 24, 5) e nei Vangeli (Matteo 18, 6; Luca 17, 2), ove Gesù dice che chi scandalizza un bambino farebbe meglio a gettarsi in acqua con una macina al collo.