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Ricordo delle alluvioni passate

L’alluvione in Emilia-Romagna mi riporta alla mente le alluvioni che ho vissuto nel corso della mia vita e che oggi la memoria mi restituisce ingiallite come la foto di “Nonna Speranza”. E così penso e ricordo… che dopo tanti giorni di pioggia, il 31 dicembre del 1972, sui paesi dell’Aspromonte e delle Serre calabresi si scatenò il diluvio.

L’alluvione in Emilia-Romagna ha portato una naturale onda di solidarietà con le popolazioni e le Istituzioni di una Terra che è a tutti molto cara. L’evento mi riporta alla mente le alluvioni che ho vissuto nel corso della mia vita e che oggi la memoria mi restituisce ingiallite come la foto di “Nonna Speranza”.

E così penso e ricordo… che dopo tanti giorni di pioggia, il 31 dicembre del 1972, sui paesi dell’Aspromonte e delle Serre calabresi si scatenò il diluvio.

I torrenti diventarono fiumi e le colline sembravano isole sul punto di staccarsi delle montagne per scivolare lente verso valle.

Il rumore del mare saliva attraverso le vallate con un rombo minaccioso che si confondeva con la piena dei torrenti.

Molte case in calce e pietra cedettero.

Correvamo veloci verso il “Duemila”, ma in quel triste inverno di mezzo secolo fa si avvertì in Calabria una grande solitudine. Ancora una volta lo “Stato” apparve non solo lontano e incapace, ma storicamente responsabile di quello che stava accadendo  sotto i nostri occhi.

E fu così che dalle case cadenti, dai paesi sonnolenti, da un popolo più volte sconfitto, si sprigionò una energia travolgente.

Le “autorità” erano assenti e i paesi sembravano navi senza bussola e senza timone, almeno fino a quando non furono sostituite da gruppi di giovani che non cedettero al lamento, né versarono lacrime inutili, ma diedero soccorso alla gente in pericolo passando tra il fango, aprirono(illegalmente) gli edifici pubblici e sistemarono gli alluvionati. Quindi, misero in campo l’idea che da quel disastro si sarebbe dovuto uscire con un popolo in piedi e protagonista del proprio futuro.

A distanza di oltre mezzo secolo, le stesse “foto” conservate nella mia memoria diventano sempre più ingiallite e riescono appena a fissare i ragazzi (e non solo) sporchi di fango ma pieni di ideali, di entusiasmo e generosità. Ma in Calabria non nascono “angeli” e mancavano del tutto le cineprese e persino i giornali.

Ci fu un forte bisogno di non sentirsi soli. La prime manifestazioni servirono proprio per sentirsi un popolo. Per lavorare e a credere insieme.

Bisognava scrollarsi da dosso una coltre di rassegnazione tessuta e filata in secoli e che assale la gente quando pensa che tutto sia ormai irrimediabilmente perduto.

Non era affatto facile stare alla testa di un movimento di donne e uomini che oscillava tra rassegnazione e “rivoluzione”.

I sacrifici furono immensi… ma non troveranno mai posto in alcun libro.

Pochi giorni dopo, Pietro Ingrao parlò al Comunale di Catanzaro in una sala strapiena fino all’inverosimile.

Il PCI si metteva alla testa del movimento.

Fu un bene o un male?

Cinquanta anni fa ero certo di sì. Adesso lo sono molto meno. Quello che è certo è che, in quei giorni drammatici, i giovani che si erano formati nelle lotte contadine degli anni ‘60, nel movimento per la pace e, in un confronto drammatico, con la rivolta di Reggio si saldarono con migliaia di persone che, ancora una volta, rialzavano la testa.

Il “68”calabrese arrivò in ritardo, ma ebbe una propria anima e divenne movimento di popolo proprio nei giorni dell’alluvione.

Qualche tempo dopo, nonostante la concreta minaccia delle bombe sui binari, un’onda” rossa” invase a Roma.

Il corteo passò sotto “Botteghe Oscure”. Sul balcone erano allineati Enrico Berlinguer, Giorgio Amendola, Pietro Ingrao, Paietta, Natta, Chiaramonte, Cossutta… e tanti altri.

Luigi Longo, presidente del partito, scattò sull’attenti al passaggio del corteo così come fa un generale al passaggio dell’esercito.

Quel saluto segnò l’approdo, il limite è forse la fine del movimento per come era nato nei giorni drammatici, ma entusiasmanti dell’alluvione del 1973.

Di ciò, se ne avremo voglia, ne parleremo in seguito.

 

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