La Russia vuole essere di nuovo protagonista in Europa, vuole ridisegnarne gli equilibri e i confini in modo addirittura unilaterale se non viene ascoltata. Il rinnovato protagonismo russo si incrocia con altri fenomeni storici di più lungo periodo: la debolezza americana, la fragilità dell’Unione Europea e l’emergere della Cina. Putin può anche essere un giocatore d’azzardo come molti sostengono, ma ha scelto con attenzione il momento in cui agire.
In queste settimane la situazione in Ucraina è precipitata in modo drammatico. Le operazioni militari su larga scala da parte della Federazione russa aprono scenari nuovi e rappresentano un punto di non ritorno per l’intera Europa. Le reazioni delle cancellerie occidentali, che non hanno potuto ignorare lo sconsiderato atto compiuto da Mosca, sono state tempestive quanto forse inevitabilmente limitate nel tentativo di mettere un freno alle ambizioni russe. La speranza, ora, è che le trattative tra le parti portino ad una graduale de-escalation del conflitto
Quello che avviene è il ritorno del gigante russo con tutto il suo peso politico, militare, economico sullo scenario internazionale e in particolare su quello europeo. È un processo iniziato nel 2008 con la guerra in Georgia, proseguito con l’annessione unilaterale della Crimea e l’impegno bellico nel Donbass, poi con il protagonismo in Libia e l’intervento armato in Siria. È una dinamica che ha sorpreso l’Occidente, solo nel 2014 il presidente americano Obama aveva definito la Russia una “potenza regionale”. Molti analisti hanno insistito sulla fragilità economica della Russia, che la renderebbe incapace di essere Impero. Un fatto innegabile questo che non dovrebbe però portare a sottovalutare l’intraprendenza militare russa.
Del resto, la Federazione Russa riesce a immaginare se stessa solo in quanto Impero. Ne è testimonianza l’uso spregiudicato della storia russa da parte di Putin, una storia imperiale di lungo periodo che giustifica, a suo dire, le richieste russe e testimonia lo “status naturale” di grande potenza del Paese. È questo un abito mentale, quello imperiale, che le classi dirigenti hanno nuovamente indossato dopo un decennio (gli anni Novanta) di profonda crisi identitaria, economica, finanziaria, militare. Dalla fine degli anni Ottanta la Russia è stata costretta ad un fragoroso ritiro dall’Europa centro-orientale alla luce prima della crisi e poi del crollo dell’Unione Sovietica, un crollo che Putin ha definito la più grande catastrofe del XX secolo. In tempi recenti è la prima volta che i russi hanno dovuto accettare un tale ridimensionamento. Per trovare un precedente significativo dobbiamo tornare alla pace di Brest Litovsk firmata dai bolscevichi. In quella occasione però, complice la successiva caduta della Germania guglielmina, i rossi recuperarono velocemente parte dei territori ceduti (Stalin avrebbe poi completato l’opera).
Ora la Russia vuole essere di nuovo protagonista in Europa, vuole ridisegnarne gli equilibri e i confini in modo addirittura unilaterale se non viene ascoltata. Il rinnovato protagonismo russo si incrocia con altri fenomeni storici di più lungo periodo: la debolezza americana, la fragilità dell’Unione Europea e l’emergere della Cina.
Negli Stati Uniti siamo di fronte ad una profonda crisi di legittimità interna della classe dirigente (tanto democratica, quanto repubblicana) che ha ovviamente ripercussioni sulla proiezione internazionale del Paese. Parlare di declino americano è opinabile, un leitmotiv che ritorna ciclicamente nelle riflessioni sugli Usa, è però indubbio che il prestigio della Casa Bianca abbia subito un duro colpo tanto per via dello spettacolo offerto dai trumpiani, quanto per la disfatta afgana.
Ed eccoci all’altra questione: la fragilità dell’Unione Europea e in particolare della sua politica estera. È questo il risultato della struttura stessa dell’Unione, una struttura costruita nel tentativo di tenere insieme punti di vista diversi e che ha dato vita ad una “federazione” a cui mancano alcune prerogative, come quella appunto di poter condurre una politica estera e di sicurezza comune. La Comunità europea oggi è obbligata, come sta avvenendo, a definire una strategia unitaria in risposta alle azioni russe per non rischiare di subire eventi che potrebbero frantumarla.
L’ultima questione riguarda l’ascesa della Cina. La vicinanza economica con Mosca, le similitudini sistemiche con la Russia, le rivendicazioni su Taiwan (ritenuta terra cinese almeno quanto il Cremlino ritiene l’Ucraina terra russa) paiono avvicinare i due regimi e isolare l’Occidente. È una conclusione possibile, quello dell’avvicinamento Russia-Cina, ma non scontata. Come sta avvenendo, i legami economici e finanziari dei cinesi con gli occidentali, in particolare con gli Usa, sconsigliano una posizione troppo netta a favore di Mosca.
Le traiettorie future rimangono difficili da prevedere; gli sviluppi di più lungo periodo ci dicono però qualcosa. Putin può anche essere un giocatore d’azzardo come molti sostengono, ma ha scelto con attenzione il momento in cui agire. Dalla fine dell’Unione Sovietica per la prima volta Mosca percepisce la possibilità di imporre il proprio punto di vista ai vicini occidentali. È un rischio che il Cremlino si assume, ma che si basa su una certa lettura del passato e del presente che Putin ha proposto negli anni: l’Occidente è in crisi, la democrazia liberale non gode più della necessaria legittimità popolare, l’ordine internazionale guidato dagli Stati Uniti non esiste più.
Se il presidente russo dovesse aver ragione allora la guerra in corso segnerà un tornante nella storia, aprendo la strada a nuovi rapporti di forza e ridisegnando gli equilibri geopolitici in Europa e forse nel mondo.
Andrea Borelli