Il vicepremier e ministro delle infrastrutture e dei trasporti, Matteo Salvini hanno rilanciato il ponte sullo Stretto di Messina, ma le criticità non sono state prese in considerazione.
Come se fosse una novità assoluta ecco che il vicepremier e ministro delle infrastrutture e dei trasporti, Matteo Salvini hanno rilanciato il ponte sullo Stretto di Messina assicurando ad ultimo, in occasione del “question time” del 1° dicembre al Senato, che sarà un collegamento fisso, statico, sicuro, moderno, ecocompatibile. Sui riferimenti alla sicurezza ci sarebbe da sindacare, visto che lo si vorrebbe vedere sorgere in una delle aree a più elevato rischio sismico del Mediterraneo, e l’ecocompatibilità lascia davvero a desiderare, dato che si dovrebbe intervenire in un’area di grandissimo pregio ambientale e paesaggistico.
Ma il governo ha deciso di riesumare il ponte stabilendo all’articolo 82 del disegno di legge di bilancio 2023, in estrema sintesi, che: il collegamento stabile viario e ferroviario tra la Sicilia e il continente ed opere connesse sia opera prioritaria e di preminente interesse nazionale; si arrivi a definire atti transattivi che facciano superare il contenzioso tra la concessionaria, Stretto di Messina SPA e le amministrazioni pubbliche e tra il general contractor Eurolink e la SdM SPA; si proceda alla revoca dello stato di liquidazione della società, sia convocata l’assemblea dei soci e autorizzata da RFI SPA e ANAS SPA la ricapitalizzazione di SdM SPA.
Un percorso che sembra lineare ma che non tiene conto di una storia consolidata che ha le sue origini 50 anni fa e che, ad oggi, non è riuscita a produrre alcun risultato.
Sinora, infatti, è bene chiarirlo, non è stata ancora dimostrata la fattibilità tecnica, economico-finanziaria e ambientale del ponte sullo Stretto di Messina, da quando nel 1971 si decise per la prima volta che il collegamento stabile tra l’isola e il continente fosse opera di preminente interesse nazionale e dopo oltre 30 anni di elaborazioni progettuali finanziate dalla concessionaria Stretto di Messina SPA, che il governo in carica vuole rilanciare.
Criticità che non sono state superate nemmeno dal gruppo di lavoro, nominato a suo tempo dal ministero delle Infrastrutture e della Mobilità Sostenibili – MiMS, che ha prodotto il 30 aprile 2021 “La valutazione di soluzioni alternative per il sistema di attraversamento stabile dello Stretto di Messina”, senza riuscire a fornire alcuna considerazione conclusiva a favore del progetto del ponte.
Nella sua valutazione il gruppo di lavoro si è limitato ad escludere alcune opzioni lasciando in campo due soluzioni su cui, però, ha ritenuto fossero necessari ulteriori approfondimenti.
Approfondimenti ineludibili su alcuni nodi di fondo su cui il gruppo di lavoro non ha risposte:
la valutazione comparativa costi-benefici dal punto di vista economico-finanziario, sociale e ambientale, effettuata dal gruppo di lavoro del MiMS, non ha considerato tra le alternative il potenziamento e miglioramento del traghettamento nell’area dello Stretto di Messina (interventi innovativi sul sistema infrastrutturale e logistico per favorire l’instradamento dei treni, l’accessibilità degli autoveicoli, e il miglioramento dei servizi quotidiani dei pendolari), a fronte di un progetto definitivo di ponte ad unica campata che, come abbiamo visto, presenta limiti di carattere tecnico, economico-finanziario e ambientale irrisolti e all’ipotesi di un ponte a più campate, preferita dal gruppo di lavoro, che non è suffragata ad oggi nemmeno da uno studio di fattibilità;
la soluzione del project financing (per un’opera dal costo elevatissimo: nel 2010 per il ponte ad unica campata erano stati stimati 8,5 miliardi di euro) non è praticabile, visto che, come è stato ammesso dallo stesso gruppo di lavoro nominato dal MiMS, il percorso risulta essere troppo breve e il traffico troppo limitato per imporre pedaggi che consentano una tale operazione (ogni giorno si muovono tra le due sponde non più di 4.500 persone e il 76,2% degli spostamenti dei passeggeri è locale e senza auto al seguito). Né l’Unione Europea ha intenzione di finanziare il ponte, come confermato il 18 maggio 2021 della Commissaria europea ai Trasporti Adina Valean, che ha specificato come ad oggi il ponte non sia tra gli interventi prioritari e finanziabili delle Reti di Trasporto Transeuropee TEN-T e che l’eventuale proposta si debba riferire ad un “progetto maturo” che sia, nel contempo, “coerente con il Green Deal”;
il progetto definitivo del ponte ad unica campata e a doppio impalcato stradale e ferroviario, non ha avuto sinora un giudizio positivo di VIA e ha registrato un parere negativo di Valutazione di Incidenza per le ricadute che l’opera avrebbe sui siti della Rete Natura 2000, tutelati dall’Europa, visto che l’area dello Stretto di Messina è ricompresa in due importantissime Zone di Protezione Speciale – ZPS (sul lato calabrese la ZPS della Costa Viola e su quello siciliano dalla ZPS dei Monti Peloritani, Dorsale Curcuraci, Antenna a Mare e area marina dello Stretto) e da un sistema di ben 11 ZSC (Zone Speciali di Conservazione), ai sensi della Direttiva Habitat, che tutelano un ambiente unico che va dalla fragile costa calabrese, alla importante zona umida della Laguna di Capo Peloro, al prezioso ecosistema botanico dei Monti Peloritani;
le problematiche geologiche e il rischio sismico dell’area dello Stretto di Messina, dove dovrebbe sorgere l’opera, sono notoriamente molto rilevanti: la Calabria meridionale (tutta l’area di Reggio Calabria) e la Sicilia Orientale (area messinese), siano ricomprese nella Zona sismica 1 (a maggiore pericolosità), secondo la Classificazione sismica – aggiornata al novembre 2020, del Dipartimento della Protezione Civile. La relazione “Lo Stretto Messina: criticità geologiche e tettoniche” dell’ottobre 2020 dell’Istituto di Scienze Marine – ISMAR documenta come il sistema di spaccature profonde situate tra lo Stretto di Messina e l’Etna stia separando la Sicilia dal resto d’Italia e come queste abbiano causato i terremoti più devastanti d’Italia (quello del 1908, che provocò anche uno tsunami che fece non meno di 100 mila vittime) e siano responsabili della formazione dei grandi complessi vulcanici dell’Etna e delle Eolie.
Tutti temi che rimarranno sul tavolo anche del governo Meloni e su cui si attendono risposte che sinora nessuno è riuscito a dare.
Stefano Lenzi WWF e Maria Maranò (Legambiente)