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lunedì, Novembre 25, 2024
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Pitagora e gli altri: vita e gossip dei “vipponi” della Magna Grecia

Pensate che il gossip sia una novità del XX secolo? Errore! I pettegolezzi corrono dappertutto e in tutte le epoche sin dall’inizio della civiltà: è sufficiente che ci sia un personaggio famoso per accendere la fantasia delle comari del circondario. Persino la Magna Grecia era piena di “vipponi” e di pettegoli. Non parliamo certo di “Temptation Island”, ma anche poeti, filosofi e legislatori avevano una vita interessante!

Ibico di Reggio, il poeta

Ibico di Reggio fu un grande poeta del VI secolo a.C. Sembra che fosse nobile e talentuoso al punto da inventare uno nuovo strumento a corde simile all’odierna chitarra che battezzò barbiton. Di lui ci rimangono pochi frammenti di una poesia raffinata e melodica e alcuni episodi leggendari della sua vita. Ma, come spesso avviene, Ibico è ricordato più di tutto per la sua morte. Raffinato viveur dai gusti ricercati, un giorno Ibico passeggiava per le strade di Corinto quando venne assalito da una banda di briganti. Malmenato e derubato, mentre era steso per terra in punto di morte vide passare uno stormo di gru e chiese loro come ultimo favore alla vita: “Vendicate la mia morte!”. La richiesta, bislacca com’era, fece ridere anche gli aggressori: come poteva qualche gru, per giunta impegnata a migrare, vendicare la morte di un uomo? Certi di averla fatta franca, i briganti se ne andarono a teatro, lasciando insepolto il cadavere del poeta reggino. Proprio mentre stavano seduti sulle gradinate del teatro, ecco volare sulle loro teste un altro stormo di gru; uno dei galantuomini lo vide e, sghignazzando, lo indicò ai suoi compari: “Guardate!” urlò, “passano le vendicatrici di Ibico!”. Alcuni uomini seduti lì accanto li sentirono e, capendo che era accaduto qualcosa al poeta, presero i briganti. Fu così che le gru esaudirono la richiesta di Ibico.

Eunomo di Locri, il cantore

Pare che a Locri Epizefiri ci fosse la statua di un musicista che imbracciava un lira, sopra cui stava appoggiata una cicala. Secondo il geografo Strabone, il musicista era Eunomo, grande citaredo locrese che un giorno sfidò in una gara di canto il poeta Aristone di Reggio. Tutti e due, ognuno con il suo canto e con la musica del proprio strumento, incantavano il pubblico che li ascoltava, attonito. Nessuno fu in grado di decidere chi fosse più bravo tra i due, ma ci si mise di mezzo il destino: a un tratto, una delle corde della lira di Eunomo si spezzò e il suo canto divenne stonato. Aristone ne approfittò e avrebbe certamente vinto, se una cicala non si fosse posata sullo strumento del poeta locrese e non avesse iniziato a frinire, dando nuovo vigore all’esecuzione di Eunomo. Locri portò a casa la vittoria, i locresi innalzarono la statua del poeta celebrandovi anche l’insetto; dall’altra parte del fiume Halex, sulle sponde reggine, non si sa se per rabbia o per vergogna, le cicale smisero di cantare e tacquero per sempre.

È questo il motivo, senz’altro leggendario ma molto suggestivo, per cui le cicale del territorio locrese non smettono mai di frinire e quelle del territorio reggino, al contrario, serbano il più austero dei silenzi.

Zaleuco di Locri, il politico

Su Zaleuco si conoscono più pettegolezzi che realtà. C’è chi dice che fosse nobile e colto, per questo sia stato scelto come legislatore; altri sostengono al contrario che fosse uno schiavo e sia stato impiegato come pastore fino a quando un oracolo di Apollo non lo designò come il più adatto a formulare leggi. C’è chi dice addirittura che non sia mai esistito. Ma qualcosa di vero dovrà pur esserci stato, se i sapienti dell’antichità attribuivano a Zaleuco il primo codice di leggi scritte della grecità. Si trattava di norme che regolavano il comportamento sociale dei locresi in base a un sistema di pene più o meno rigorose, a seconda della gravità dell’infrazione. La leggenda narra che un giorno il severo Zaleuco, costretto dalle leggi che aveva promulgato, si sia trovato a dover punire il suo stesso figlio.Zaleuco di Locri Il ragazzo era stato colto in flagranza di reato mentre commetteva adulterio; siccome agli adulteri dovevano essere cavati entrambi gli occhi, Zaleuco, che non voleva disobbedire alle leggi, ma nemmeno voleva un figlio orbo, fece in modo che uno dei due occhi richiesti dalla pena fosse cavato direttamente a lui. Mente di capo, cuore di padre!

Pitagora di Samo, il filosofo

E veniamo finalmente a Pitagora, controverso genio della matematica, taumaturgo, scopritore di scale musicali, iniziatore di una filosofia e, perché no? anche un po’ magico. Il grande matematico è chiamato “Saggio di Samo” proprio perché nacque sull’isola greca che porta questo nome; ma la sua fama nasce nella città magnogreca di Crotone. All’epoca, Crotone era una sorta di superpotenza commerciale e la culla di una raffinatissima cultura multietnica, caratterizzata dalla tanto discussa parità di genere (le donne erano straordinariamente emancipate) e dall’altrettanto discusso concetto di libertà (era vietato, se prestiamo fede alle leggi di Zaleuco, avere schiavi o schiave). La fama della colonia di Kroton si estendeva fino all’Asia Minore, forse addirittura oltre, ed arrivò alle orecchie del giovane Pitagora. In verità, il matematico si trasferì in Magna Grecia solo attorno ai cinquant’anni, ma lo fece per restare: profondamente colpito dallo stile di vita di uomini e donne crotoniati, fondò la sua scuola nei pressi – pare – del tempio di Hera Lacinia. Si dice che, allo scadere del primo anno, avesse già circa seicento discepoli tra uomini e donne; e proprio una donna, una ragazza di vent’anni di nome Teano, si innamorò perdutamente del saggio filosofo e riuscì a conquistarlo; insieme ebbero tre (forse addirittura cinque) figli. Già: Pitagora nei panni del matematico formulò il famoso teorema, in abiti borghesi sistematizzò l’altrettanto noto cliché dell’alunna che si innamora del professore!

Moltissime sono le leggende attorno alla sua morte e tutte hanno a che vedere con le rivolte che si accesero contro di lui e contro la sua scuola: alcuni dicono che si lasciò morire di fame dopo essere stato nascosto in un tempio a Metaponto per quaranta giorni; altri che si suicidò dopo aver visto morire i suoi amici. Un’altra diceria è che, inseguito dai suoi nemici fino ai margini di un campo di fave (alimento che i pitagorici proibivano di consumare), pur di non nascondervisi in mezzo, si fece prendere e uccidere. Non preoccupatevi, perché deve averlo fatto con leggerezza: Pitagora credeva nella reincarnazione!

 

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