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Perché l’Università Bicocca voleva censurare Dostoevskij?

La censura di Dostoevskij se non fosse stata ritirata, sarebbe stato un fatto gravissimo, soprattutto che una così prestigiosa Università sia incorsa in questo grave errore e ingiustificabile affronto alla libertà.

 La rettrice, dell’università Bicocca di Milano ha comunicato la decisione di rimandare il percorso su Dostoevskij “per evitare polemiche”. Invece le polemiche sono seguite all’irragionevole decisione. A commentare è Paolo Nori, autore di “Sanguina ancora. L’incredibile vita di Fedor Dostoevskij”, che avrebbe dovuto tenere il corso sullo scrittore russo: “Una cosa ridicola”.

Censurare un corso è una scelta da regime autoritario, o meglio totalitario.

Il primo attacco attraverso cui si definisce e si afferma uno Stato totalitario è proprio la censura del dissenso e la messa al bando dell’attività intellettuale che disturba il consenso.

La decisione fonda la sua gravità sul fatto che la repressione provenga da un’Università, quale avamposto volto a custodire la libertà di manifestazione del pensiero.

Giustificare la soppressione del corso adducendo l’obiettivo di evitare ogni forma di polemica non trova alcun fondamento. La cultura, anche in stato di guerra, non può essere messa al bando, perché la cultura anche dissidente, aiuta a discernere il giusto dall’ingiusto, la democrazia dall’autoritarismo, la libertà dall’oppressione.

Così, qualche giorno dopo, l’Università fa dietro front e conferma che il corso si terrà come previsto e tratterà i contenuti già concordati con lo scrittore Paolo Nori.

Ma cos’è la libertà di manifestazione del pensiero?

L’articolo  21  della Costituzione dispone che tutti hanno il diritto di manifestare il proprio pensiero con le parole, lo scritto e ogni altro mezzo di diffusione. Si pone come norma aperta ossia adatta a contemplare situazioni anche non previste in sede costituente. Si tratta di una pietra angolare dello Stato di diritto e che è condizione del modo d’essere e dello sviluppo della vita del Paese. Quindi, il diritto di cui all’articolo 21 assurge ad uno tra i più alti diritti garantiti dalla Costituzione. È il pensiero che dà senso agli altri diritti, perché il pensiero si pone come elemento che dà contenuto.

L’articolo 21 ha sia un’accezione positiva, sia una negativa intesa quest’ultima come libertà di esimersi dal manifestare il proprio pensiero.  Anche il diritto in questione conosce dei limiti in quanto la libertà non può essere invocata al punto da scaturire nel libero arbitrio o da legittimare a dire o fare tutto ciò che si vuole. Libertà vuol dire far ciò che è permesso muovendoci entro limiti che scongiurino lo sconfinamento in forme di anarchia. La libertà di cui trattasi conosce limiti espliciti ed impliciti. È un limite esplicito il “buon costume”, clausola generale che può essere riempita di contenuto attraverso il mos che regola la vita sociale in un determinato momento storico. Sono limiti impliciti “la libertà, l’onore e la reputazione altrui” che se violati possono dar luogo a fattispecie criminose (reati di calunnia, ingiuria, diffamazione) rispetto alle quali, pur potendosi invocare la scriminante dell’ ”esercizio di un diritto”, non può accordarsi tutela all’abuso del diritto in questione.

L’obiettivo del costituente era, quindi, di evitare quanto accaduto nella dittatura fascista in cui le stampe contrarie al regime venivano sequestrate e gli editori arrestati.

La censura di Dostoevskij se non fosse stata ritirata sarebbe stata inquadrabile in tale fattispecie. Ed è gravissimo che una così prestigiosa Università sia incorsa in questo grave errore e ingiustificabile affronto alla libertà in questione.

Varie sono le massime e gli aforismi che riguardano e configurano la libertà. Degna di nota è quella Volteriana e illuministica che afferma: “disapprovo quello che dite ma difenderò fino alla morte il vostro diritto a dirlo”.

Il che significa che libertà è pluralismo: di idee, di opinioni, di teorie che legittimano comunque la loro confutazione. Si può non essere d’accordo ma non si piò escludere il diritto a manifestare il proprio disaccordo. “La libertà non può che essere la religione del nostro tempo”, un culto da praticare per garantire la presa di coscienza che il pensiero è in grado generare molteplici contenuti che meritano una paritaria tutela.

Inserito fra i principi fondamentali della nostra Carta costituzionale, l’articolo 9 recita: “La Repubblica promuove lo sviluppo della cultura e la ricerca scientifica e tecnica”. La norma vide la luce in sede costituente grazie al contributo di Aldo Moro e Concetto Marchesi, le cui posizioni prevalsero rispetto a chi riteneva la norma pleonastica e tautologica. La previsione serve ad inquadrare quella italiana come una Costituzione culturale nell’ottica di garantire la cultura e la ricerca come fattori di crescita socio-economica e di emancipazione del Paese anche alla luce dell’imbarbarimento culturale in cui la dittatura fascista aveva relegato l’Italia. L’obiettivo era quello di affidare al futuro uno strumento che portasse le masse a contrastare l’affermarsi di qualsiasi forma di dittatura. La “promozione” sottolinea l’impegno attivo assunto dalla Repubblica, comunque, nel rispetto dell’art.33 della Costituzione, con la cui disamina concludiamo.

“L’arte e la scienza sono libere e libero ne è l’insegnamento”. Ci sono stati regimi che hanno applicato la censura imponendo le proprie dottrine. E durante il ventennio, il fascismo e l’ideologia nazionalista furono usate per esaltare il duce. Si trattava di una situazione in cui era impossibile farsi idee proprie che venivano, invece, forgiate attraverso l’indottrinamento già nella giovane età.

L’articolo 33 è strumentale all’articolo 21, perché la libertà di pensiero è effettiva quando può formarsi in modo libero e incondizionato. La libertà d’arte è una libertà di pensiero che si esprime attraverso l’espressione artistica (pittura, scultura, cinema, musica, teatro, letteratura) che diventa strumento per esternare le proprie posizioni, anche politiche, che, seppur partigiane e non neutrali, non siano presentate come verità assolute e incontrovertibili.

E, sempre l’articolo 33, per quanto concerne le Università, afferma che queste hanno il diritto di darsi ordinamenti autonomi nei limiti stabiliti da “leggi dello Stato”, per cui a maggior ragione nei limiti costituzionali tra i quali rientra la libertà di manifestazione del pensiero.

Concluderei dicendo che risulta opportuno che Dostoevskij ci impartisca una lezione sull’uomo e sul suo rapporto con la società, su quelle regole interiori che ci svelano i meccanismi della psiche umana che non esulano dai riflessi che il pensiero ha e potrebbe avere nella società.

Beatrice Macrì

 

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