La destra vince ed ha vinto in Italia il 25 settembre e continua a vincere nei sondaggi, perché’ fa la sinistra. La destra vince, cioè, perché riesce a proporre strumenti redistributivi che aiutano alcuni e correggono alcune disuguaglianze. Ora vedremo, a breve, se chi uscirà vincitore da questa estenuante lotta per il vertice del Pd ce la farà a definire un’identità tale da potere contrastare efficacemente questa destra così multiforme.
La destra vince ed ha vinto in Italia il 25 settembre e continua a vincere nei sondaggi, perché’ fa la sinistra: è la tesi sorprendente (fino a un certo punto però) che viene fuori da uno studio di un istituto tedesco, fuori dunque dai perimetri e dai pollai italiani. E quindi assolutamente oggettivo.
La destra vince, cioè, perché riesce a proporre strumenti redistributivi che aiutano alcuni e correggono alcune disuguaglianze, anche se magari lasciano tanti scoperti e aumentano squilibri, ma a spese di una parte di persone che i sostenitori di Lega e FdI sono ben contenti di abbandonare. Lega e Fratelli d’Italia vincono, in sostanza, perché hanno piegato a una agenda di destra il principale strumento di consenso del centrosinistra, cioè le politiche redistributive. Che usano non per perseguire una riduzione delle disuguaglianze, ma per proteggere il proprio elettorato da un ambiente esterno che inquieta, reso ancora più minaccioso dalle costanti dichiarazioni su migranti e altri pericoli veri o immaginari.
La Fondazione Friederich Ebert Stiftung, la più antica fondazione politica in Germania, ha presentato nelle scorse settimane questo risultato di un progetto di ricerca dal titolo: Fratelli d’Italia e Lega – Diversamente populisti a destra? Affidato ai politologi Marco Valbruzzi e Sofia Ventura lo studio (ampiamente illustrato sulle pagine del Domani) aggiunge alcuni elementi davvero originali a un dibattito permanente già affollato, quello sulla natura della nuova destra e sulle ragioni del suo successo.
Destra e sinistra competono sullo stesso segmento di elettori al quale propongono politiche redistributive da parte di uno stato interventista e disposto a spendere sul sociale, ma soltanto a beneficio di alcune categorie (gli elettori di destra) e non di altre (migranti, gruppi sociali e temi di riferimento per il centrosinistra).
Valbruzzi e Ventura riassumono la sintesi politica che la nuova destra di Meloni propone sotto l’etichetta di “conservatorismo” in una sommatoria di “statalismo + nativismo”.
Mettere la macchina dello stato (e il debito pubblico) al servizio della protezione di quella che Meloni chiama “la nazione”, non tutta l’Italia e non tutti gli italiani ma solo quelli che rispondono al canone discrezionale di omogeneità che fissano i partiti al potere.
La combinazione tra interventismo e nativismo offre un formidabile vantaggio competitivo nei confronti del centrosinistra, nello specifico di Pd e Cinque stelle. Sottrae la leva della spesa pubblica alla caratterizzazione politica: la sinistra non può piu distinguersi se promette politiche che anche la destra sostiene.
La sinistra è così spiazzata due volte: per la sua professione di universalismo e promessa di equità che la costringe a estendere diritti e tutele a tutti, anche alle minoranze che godono della minore popolarità, e perché è ancora più sensibile della destra alla compatibilità della politica economica con le indicazioni europee su debito e rispetto della normativa comunitaria.
Ora vedremo, a breve, se chi uscirà vincitore da questa estenuante lotta per il vertice del Pd, lasciato orfano da Letta ben cinque mesi fa, ce la farà a definire un progetto, un programma ma soprattutto un’identità tale da potere contrastare efficacemente questa destra così multiforme.