L’invito del Consigliere regionale, Domenico Giannetta: “Collaborare attivamente con il Garante per migliorare le condizioni detentive e dare attuazione al senso di umanità e al fine rieducativo della pena. Investire in cultura”.
Di seguito la dichiarazione del Consigliere regionale Domenico Giannetta (FI) che ha portato i saluti istituzionali in sostituzione del Presidente del Consiglio regionale Filippo Mancuso.
“Ringrazio il Garante regionale dei diritti delle persone detenute o private della libertà personale, avvocato Luca Muglia, per questo momento di confronto su tema della vita delle persone sottoposte alla restrizione della propria libertà. Un momento che ci invita a una riflessione corale sui principi costituzionali che devono ispirare la vita detentiva e, in particolare, sui valori dell’umanità e del finalismo rieducativo della pena.
Questo incontro indaga l’aspetto del linguaggio. Ebbene, le parole sono pietre miliari a garanzia della priorità della persona umana. Il nostro ordinamento usa parole inequivocabili: “Le pene non possono consistere in trattamenti contrari al senso di umanità e devono tendere alla rieducazione del condannato”.
E dunque, non ci sono dubbi che i reati debbano essere perseguiti con rigore e inflessibilità. Ma ciò non deve offuscare il principio di “umanizzazione” che deve garantire la persona condannata.
Il principio di umanità – ripreso anche dalla Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea, e successivamente dalla Raccomandazione, adottata dal Comitato dei ministri del Consiglio d’Europa, nel momento di esecuzione della pena – rafforza il valore della persona, di cui vanno tutelati in ogni caso i diritti inviolabili, anche nella particolarissima condizione carceraria. Il principio di umanità, trova concreta applicazione attraverso il divieto di atteggiamenti particolarmente affliggenti o degradanti. Parimenti importante è il finalismo rieducativo che deve ispirare il percorso carcerario o detentivo per poter fungere da garanzia del reinserimento nella società. Una persona che ha sbagliato e viene correttamente rieducata, più difficilmente potrà tornare a delinquere, se integrata in una sana dimensione sociale e lavorativa. La privazione della libertà è si, dunque, un fatto repressivo e punitivo di un comportamento illecito, ma deve, prioritariamente, tendere al recupero e al reinserimento sociale e lavorativo. All’interno degli istituti penitenziari i diritti dei detenuti non possono essere annullati. La condizione di privazione di libertà e di emarginazione, richiede, laddove possibile, e ancor più in casi di particolare fragilità del detenuto, interventi a sostegno della persona nella prospettiva del suo reinserimento nella società. Ciò anche nel rispetto del principio costituzionale di uguaglianza sostanziale, perché tutti i cittadini, anche i detenuti, possano essere messi nelle condizioni di poter costruire un sano percorso di vita. Con la riforma del 1975, sono state introdotte novità positive per dare risposta all’esigenza principale di migliorare le condizioni di vita dei detenuti e di diminuire la distanza tra carcere e società libera. La cronaca purtroppo ci consegna uno specchio della realtà carceraria che spesso è decisamente sconfortante, se non ai limiti della sopportazione. E colgo l’occasione per rinvolgere un saluto agli agenti di polizia penitenziaria e a tutti coloro che a vario titolo contribuiscono alla sicurezza nelle carceri. Il sistema penitenziario soffre di carenze sistemiche che ormai si sono cronicizzate e in qualche modo sono espressione della crisi che ha investito molti settori: istituti penitenziari inadeguati e fatiscenti in condizioni di sovraffollamento che ledono e mortificano i diritti dei detenuti. La Corte europea dei Diritti ha considerato inumano il trattamento carcerario laddove si sia costretti a condividere celle con spazi vitali inferiori a tre metri quadri. O in ogni caso ridotti rispetto a quelli consentiti dalla legge. Ha altresì considerato inumano il trattamento nelle carceri in cui manca acqua calda e con luce insufficiente a causa di barre metalliche apposte alle finestre. Se la pena viene eseguita in queste condizioni non potrà mai dispiegare pienamente la sua finalità rieducativa. La protezione dei diritti inviolabili della persona, anche se reclusa, oltre ad essere estrinsecazione del principio di umanizzazione della pena e della pari dignità, costituisce, infatti, il modo più idoneo per tendere al reinserimento sociale. In tal senso assume un significato particolarmente importante il ruolo del garante regionale dei diritti delle persone detenute o private della libertà personale che, in virtù della facoltà di accesso, visita e colloquio nelle strutture detentive, non solo fornisce un quadro puntuale sulle condizioni della vita carceraria e penitenziaria in Calabria, ma promuove iniziative volte a garantire l’erogazione delle prestazioni inerenti ai diritti fondamentali. Istanze e proposte da recepire e valorizzare per dare effettività alle tutele e al principio delle pari opportunità delle persone detenute. Perché vengano messe nelle condizioni di rieducarsi. Le amministrazioni competenti e le istituzioni calabresi tutte dovrebbero collaborare attivamente con il garante nella individuazione delle soluzioni che tendano a rendere effettivo il senso di umanità e della funzione rieducativa della pena, favorendo il recupero e il reinserimento nella società delle persone private della libertà personale. Il tema del reinserimento lavorativo, poi, ci induce a una riflessione sugli strumenti che consentano concretamente ai detenuti di studiare, formarsi e prepararsi alla vita produttiva. Non vi è dubbio che investire sulla formazione e sulla cultura dia senso e speranza di progettualità. In questa direzione, va considerata l’idea di rafforzare la connessione tra le strutture carcerarie e gli operatori culturali, le scuole, le accademie e le università, per il potenziamento delle biblioteche interne alle carceri – ad esempio – e per la fornitura degli strumenti e dei servizi di accompagnamento al percorso formativo per il reinserimento lavorativo. Unitamente all’accesso ai percorsi di studi e il rilascio dei titoli. Migliorare le condizioni di vita del detenuto – a maggior ragione se minore – implica impegno e investimento culturale. In linea con il pensiero di illustri studiosi, che sono giunti alla conclusione che il carcere dovrebbe svolgere una funzione di socializzazione al pari della famiglia, della scuola, del gruppo. E in tema di famiglia, e concludo, credo che l’analisi delle garanzie diventi particolarmente urgente quando parliamo di donne che hanno bambini in carcere. Bambini che vivono dentro le sbarre condizioni che non si sono meritate. Condannati innocenti ad una vita che nessun bambino dovrebbe vivere. I bambini non devono subire per colpe che non hanno.
E non possiamo dimenticarlo.
Grazie”.