Il prossimo 19 agosto ricorre l’ottavo anniversario della morte del grande intellettuale Pasquino Crupi. Uomo libero, sempre accanto ai perseguitati e maltrattati. ″Io sono un animale politico di stampo massimalista. Mia madre mi generò, la politica mi prese″. Questo diceva di sé, Pasquino
Il prossimo 19 agosto ricorre l’ottavo anniversario della morte del grande intellettuale: giornalista, scrittore, critico letterario, storico della Letteratura, oratore e comunicatore facondo sulle piazze e nei convegni, letterari e politici. Giovanissimo fu attratto e conquistato dalla politica e dai problemi come la giustizia sociale, il meridionalismo, l’emigrazione, la democrazia, l’emarginazione sociale ed economica, la letteratura calabrese contemporanea. Esordì ancora studente universitario, non ancora ventenne, in giornali e riviste nazionali importanti come l’Unità e Rinascita, sul numero 2 della quale (febbraio 1960), opponeva, al giudizio di affermati critici e giornalisti del calibro di Mario Montagnana, il suo libero pensiero critico su autori ancora emergenti all’epoca, quasi sconosciuti al grande pubblico, come Pier Paolo Pasolini (a proposito di Una vita violenta). Affinò le sue doti giornalistiche collaborando a Gazzettino dello Ionio, diretto da Titta Foti, che Pasquino considerò sempre come suo maestro. Più tardi diventerà lui stesso il direttore di un quindicinale, tenuto in piedi solo per il suo grande impegno e per la sua passione. Fu direttore, redattore, correttore, animatore culturale. Vi collaborarono firme eccellenti come Mario La Cava ed altri. L’estrema scarsità di mezzi lo costrinse alla chiusura.
Nacque in una famiglia povera, che in breve divenne anche numerosa, tre mesi prima dello scoppio della Seconda guerra mondiale. Il padre carrettiere fu uomo di grande caratura morale e di chiare visioni politiche, sempre dalla parte del popolo, e antifascista per carattere e convinzione, oltre che di indole decisa, fu esempio di generosità e socialità. Uomo libero, sempre accanto ai perseguitati e maltrattati. La madre tipica donna di quei tempi, generosa, accogliente, religiosissima.
″Io sono un animale politico di stampo massimalista. Mia madre mi generò, la politica mi prese″.
Questo diceva di sé, Pasquino. E ciò ha dimostrato sempre nella sua breve, ma intensa vita di uomo libero e di intellettuale. Per fortuna la politica non lo catturò interamente. Una parte di sé reclamava l’impegno intellettuale. Era nato anche per la cultura e fortunatamente poté dedicare ad essa abbastanza del suo prezioso tempo. Fu, contrariamente a quello che si può pensare, Benedetto Croce il primo pensatore ad influenzare la sua mente, nata per ragionare su Marx e Lenin, ma presto capì che il filosofo abruzzese remava in ben altre direzioni. La radiazione dal Partito Comunista del 1971 fu un atto cattivo del Partito, oltre che ridicolo per le motivazioni: disfarsi di una mente così lucida, colta, preparata, sempre pronta all’azione in difesa dei lavoratori e delle masse popolari e di un oratore senza pari, oltre che organizzatore di manifestazioni contro ogni sopruso del potere, non fu un’azione politica brillante. I comunisti reggini non si sono resi conto della gravità del loro operato, certamente non a favore dei lavoratori. L’anno 1971 fu lo spartiacque nella vita del trentunenne Crupi… rimasi orfano. I miei amici coincidevano con i compagni di Partito. Ebbi intorno a me un deserto e lo riempii di libri… scrisse su IL Gambero Rosso, uno libretto di note autobiografiche. Non smise, tuttavia, di percorrere in lungo e largo la nostra Regione e non solo, qualche volta anche all’estero, sempre disponibile, sia per interventi di stampo culturale, che politico. Da quella data la sua vita cambia indirizzo, anche se non completamente. Si dedica di più allo studio e alla scrittura. Qualche anno prima aveva pubblicato, presso l’Editore Pellegrini (1967) il saggio monografico su Mario La Cava. In esso Paquino, compie una disamina completa sullo stile, la lingua, la poetica, l’ansia narrativa, la costruzione dei personaggi. Quando parla di Caratteri, ad esempio, osserva “Cruda è la rappresentazione dei caratteri che hanno ad oggetto il mondo della ricchezza e del privilegio, spietata è la condanna. Non difetti di superficie, ma strutturali, di fondo si evincono dalle moralità che li hanno ad oggetto. ”Nello stesso anno 1971 esce presso l’Editore “Quale Cultura” Il saggio biografico: Saverio Strati e la letteratura d’invenzione sociale. L’impronta critica è sempre uguale, ma il taglio è evidentemente di critica sociologica. Intanto approda (1972) nel Partito Socialista. Gli anni Settanta e Ottanta li dedica con maggior passione alla scrittura e alla saggistica sociale e ai fatti e misfatti delle rivolte contadine. Escono: La Repubblica rossa di Caulonia, I fatti di Melissa, Processo a mezzo stampa – il sette aprile, Un popolo in fuga e Roghudi, e tante altre opere che sarebbe lungo elencare, alcune delle quali, però, non vanno dimenticate come La Tonnellata umana, sull’emigrazione calabrese di un secolo, Letteratura ed emigrazione, Storia tascabile della letteratura calabrese, Sfruttati e sfruttatori, l’Unita d’Italia vista dai Magni Spiriti del meridionalismo: un’antologia di scritti di grandi meridionalisti, che si può dire precorra l’ultima opera del Crupi, La questione Meridionale. Ha scrittoL’Anomalia Selvaggia sulla questione che più di tutte infanga la società calabrese, la Ndrangheta nella letteratura calabrese del Novecento, il fenomeno delinquenziale osservato soprattutto dal punto di vista sociale dagli scrittori, piuttosto che giornalistico e di cronaca.
Indimenticabile la coraggiosa presa di posizione che ebbe in difesa dei cittadini di San Luca nel gennaio del 1990, attaccati selvaggiamente dai media televisivi e dai giornali nazionali, dopo la strage di Luino, causata della disgraziata e squallida vicenda dei sequestri. Fu l’unico intellettuale calabrese a prendere una posizione decisa e precisa, smascherando senza paura le grandi firme del giornalismo nazionale che avevano dato in pasto all’opinione pubblica italiana, la tesi di un conflitto a fuoco tra sequestratori (o presunti tali) e forze dell’ordine, quando invece si trattò di una vera e propria esecuzione preordinata. Pasquino attraverso una consultazione critica del materiale giornalistico dimostrò, scrivendo e pubblicando, appena 29 giorni dopo i fatti, Il giallo color sangue di Luino, agile Pamphlet che dovrebbe essere studiato da tutti gli aspiranti giornalisti. Pasquino ha dimostrato anche di avere una predisposizione naturale per la scrittura letteraria, con due piccole opere di racconti: Il Patisso, racconti di personaggi paesani a volte grotteschi, a volte tragici; e Rossi di sera, racconti di serate spensierate con gli amici più amati, divertenti, ma sempre profondi.
Malgrado la sua cultura e i suoi studi prevalentemente politici, ideologici e filosofici, scoprì nel suo essere, una profonda spiritualità da sempre sollecitata dalla madre Isodiana, fedele devota della Madonna della Montagna, ma rafforzata da colloqui con il Padre monfortano Stefano De Fiores, teologo mariano di fama mondiale e autore di diecine di opere sulla madre di Gesù, e dal Superiore del Santuario don Giosafatto Trimboli, divenuto amico stimato e amato. Ci ha lasciato tanto Pasquino Crupi! Ma il tesoro più prezioso si chiama Storia della letteratura calabrese in quattro volumi, opera che gli è costata decenni di fatica, nelle biblioteche, negli archivi di ogni parte d’Italia e qualche volta all’estero, in archivi privati, questa è forse l’opera che lo renderà immortale nei tempi futuri. Altra opera che, per la sua importanza scientifica, storica e culturale, è destinata ad essere ristampata per molti decenni è La Questione Meridionale, uscita postuma un anno dopo la sua morte. In questo grosso e prezioso volume viene riassunta l’opinione dei più grandi meridionali da Colajanni a Giustino Fortunato a F Saverio Nitti a Gaetano Salvemini, a Gramsci a Croce e tanti altri, circa le disastrose conseguenze per il Sud Italia dopo l’Unità E i due volumi e i tanti articoli su Polsi. Ci lasciò sbigottiti e affranti Pasquino, in quella torrida estate del 2013. Noi tutti sappiamo che avrebbe avuto molto ancora da dare e da lasciarci. Ma il male che improvvisamente si impadronì del suo corpo, non della sua anima, non ebbe pietà. Morì da uomo grande e forte quale era, affrontando anche la morte con il coraggio e la decisione di sempre; dopo aver fatto (venticinque giorni prima), visita alla Madonna della Montagna; lasciando i suoi colleghi del giornale La Riviera, di cui era stimatissimo e amatissimo direttore, increduli e confusi, ma tuttavia decisi a continuare il loro lavoro – missione coraggiosamente, seguendo il suo esempio e la sua determinazione, convinti di fornire al popolo della Jonica un po’ di verità, in questo mare insulso di bugie, falsità e ipocrisia.
Rileggendo alcune delle sue opere, mi sono tornati in mente tanti altri personaggi storici che hanno dedicato la loro vita sia alla politica che alla cultura, come Cola di Rienzo, Tommaso Campanella, Vincenzo Padula, Dante Alighieri, Antonio Gramsci e tanti altri.
Fortunato Nocera