L’accusa di complottismo non mi tange, il complotto è il sale della democrazia e non c’è un solo cittadino di uno stato democratico che non sia stato mai vittima di un complotto. La presunta democrazia della quale ci gloriamo è in realtà una forma nemmeno troppo raffinata di dittatura che detta le regole del vivere civile.
Da complottista, pertanto, pretendo che qualcuno mi spieghi per quale motivo oggi dovrei esultare per l’arresto di Matteo Messina Denaro. Klaus Davi, acutissimo osservatore del fenomeno, ha scritto: «Insistono molto su questa immagine di iper-macho ma a me sembra più un simbolo metrosexual. Camicie a fiori o con colori acidi, gioielli, anelli, cura maniacale dell’immagine, grandissima attenzione ai dettagli. Più che un super macho mi sembra il tipico caso del “mafioso metrosexual”». Il dominus della mafia, per 30 anni ricercato numero uno da fior di investigatori e “barbe finte” di alta caratura, non si è mai mosso dal suo territorio e l’ha sempre fatta franca utilizzando semplicemente una carta d’identità taroccata! Ma non vi vergognate di scrivere e credere a queste fandonie? È evidente che a un certo punto si è stancato pure lui del ridicolo gioco e soprattutto non voleva correre il rischio di morire nell’anonimato. Cartella clinica ben impressa nella mente, outfit adeguato alla grande occasione, si è assicurato un’uscita di scena degna di un boss della sua levatura. L’antica passione italica per la cabala ha fatto sì che la data coincidesse con quella (30 anni dopo… anche qui la cabala ha la sua parte) dell’arresto di Totò Riina. Potete giurarci che nei vari covi che via via saranno scoperti, verrà fuori materiale per scrivere altri romanzi d’appendice che consentano di aggiornare il mito dei tre cavalieri spagnoli e così a Osso, Mastrosso e Carcagnosso si aggiungerà Messinadenarosso, per la gioia delle procure che avranno così nuovo materiale investigativo che andrà ad arricchire il palmarès dei professionisti dell’antimafia di sciasciana memoria.
Oggi più che mai si presenta impellente la necessità di una rivoluzione semantica che spazzi via i termini di “mafia”, “ndrangheta” e “camorra”; l’enfatizzazione della criminalità organizzata ha generato fenomeni emulativi dannosissimi, basti dire che se tu incontri un criminale e gli dai del delinquente come minimo ti spara, se gli dai dello ‘ndranghetista ti ammicca compiacente. Devastante è inoltre la criminalizzazione di interi territori e intere popolazioni, la criminalità è un fenomeno presente in ogni angolo del mondo e in tutte le epoche; bande di delinquenti imperversano in ogni metropoli e in ogni continente ma nessuno si sognerebbe di bollare come mafioso un cittadino di Amsterdam o di Toronto. Decine di migliaia di milanesi, per esempio, si riforniscono ogni giorno di droga dagli spacciatori, sono indagabili per concorso esterno in associazione mafiosa? Alla rivoluzione semantica va affiancato un nuovo approccio giudiziario e investigativo che spazzi via le vecchie incrostazioni della narrazione romanzata (dietro la quale si perdono da decenni le procure) e consenta di attaccare i delinquenti e i criminali che imperversano e taglieggiano gli imprenditori e il sistema politico sociale. Gli stessi cittadini di Palermo, per esempio, sarebbero molto più felici se dopo Matteo Messina Denaro, fossero assicurati alla giustizia gli esattori del pizzo e gli spacciatori che avvelenano loro la vita.
Da 40 anni l’antimafia, invece, è alla ricerca spasmodica del terzo livello, organizza mega processi-spettacolari fin dalla denominazione, destinati regolarmente a flop altrettanto giganteschi e lascia impuniti i delinquenti.
rev. Frank