Un farmaco immunoterapico è così efficace nel combattere il cancro all’intestino che in futuro, secondo gli esperti, per molte persone potrebbe addirittura sostituire l’intervento chirurgico. In un nuovo studio, infatti, esso è risultato ben dieci volte più efficace della chemioterapia standard nel “liberare dalla malattia” i pazienti. Si tratta del Pembrolizumab (il principio attivo del farmaco Keytruda), un anticorpo umanizzato – cioè proveniente da altre specie animali e poi ingegnerizzato per renderlo più “umano” – che da alcuni anni viene impiegato per combattere varie tipologie di tumori: dal melanoma al carcinoma polmonare, passando per i tumori a mammella e stomaco. Ha dimostrato efficacia anche contro il linfoma di Hodgkin e il cancro al seno triplo negativo, quest’ultimo tra i più difficili da contrastare.
Una terapia così promettente contro il cancro all’intestino rappresenta una speranza per moltissimi pazienti. Non a caso il cancro al colon-retto risulta tra i più diagnosticati in assoluto; è infatti al terzo posto al mondo (1,9 milioni di casi nel mondo nel 2023), dopo il cancro al polmone e al seno, e il secondo in Italia (circa 50.000 diagnosi annue). Inoltre, è annoverato tra i cosiddetti “Big Killer”, cioè tra quelli che uccidono di più. Secondo i dati dell’Agenzia Internazionale per la Ricerca sul Cancro (IARC) lo scorso anno ha provocato la morte di circa 900.000 persone, mentre l’ultimo rapporto de “I numeri del cancro in Italia” ha rilevato 19.800 decessi nel 2022, al secondo posto dietro al carcinoma polmonare (34.000 vittime).
A determinare l’efficacia del Pembrolizumab, contro il cancro all’intestino, è stato un team di ricerca internazionale guidato da scienziati britannici dello University College di Londra (UCL), che hanno collaborato a stretto contatto con i colleghi di vari istituti. Tra quelli coinvolti il Christie NHS Foundation Trust di Manchester, gli ospedali universitari di Leeds e Southampton, il Cancer Research UK e l’Università di Glasgow. I risultati dello studio di fase 2 “NEOPRISM-CRC” sono preliminari e sono stati presentati il 2 giugno durante una conferenza al meeting annuale dell’American Society of Clinical Oncology (ASCO), attualmente in corso di svolgimento a Chicago. L’anticorpo monoclonale umanizzato è stato testato su uno specifico gruppo di pazienti con cancro al colon-retto, ovvero quelli che presentano “un deficit del mismatch repair (MMR) che limita la capacità delle cellule tumorali di riparare il danno al DNA”, come specificato in un comunicato stampa dell’ASCO. Tutti i tumori si trovavano allo stadio II o III e sono stati sottoposti al trattamento prima dell’intervento chirurgico normalmente previsto in questi casi.
Dai risultati è emerso che i pazienti cui era stato somministrato il Pembrolizumab prima dell’operazione sono risultati liberi dalla malattia, ovvero non presentavano segni del cancro, in numero decisamente superiore rispetto a quelli sottoposti al trattamento chemioterapico standard. Più nello specifico, sono stati ben 32 (59 percento) quelli risultati liberi dalla malattia dopo il trattamento con l’anticorpo umanizzato, rispetto al 4 percento rilevato negli studi che hanno indagato sull’efficacia della chemioterapia. In un’intervista al Guardian l’oncologo Mark Saunders di Christie ha affermato che si tratta di risultati “entusiasmanti”. “L’immunoterapia prima dell’intervento chirurgico potrebbe diventare un ‘punto di svolta’ per questi pazienti affetti da questo tipo di cancro. Non solo il risultato è migliore, ma evita ai pazienti di sottoporsi a chemioterapia più convenzionale, che spesso ha più effetti collaterali. In futuro, l’immunoterapia potrebbe addirittura sostituire la necessità di un intervento chirurgico”, ha chiosato lo scienziato.
Ma come agisce esattamente il Pembrolizumab?
Tecnicamente si tratta di un inibitore del checkpoint: in parole semplici, come spiegato dal Cancer Research UK, “bloccano le proteine che impediscono al sistema immunitario di attaccare le cellule tumorali”. In pratica, favoriscono l’azione immunitaria contro i tumori, ecco perché si parla di immunoterapia. “Questo piccolo studio a braccio singolo aggiunge prove consolidate che i farmaci inibitori del checkpoint aiutano a trattare il cancro intestinale prima dell’intervento chirurgico, attivando le funzioni antitumorali del sistema immunitario in pazienti con una specifica anomalia nella riparazione del DNA”, ha sottolineato nel comunicato dell’ASCO il professor Charles Swanton.
Si tratta di risultati preliminari che andranno confermati con studi più ampi e approfonditi, ma l’anticorpo monoclonale umanizzato potrebbe rappresentare una vera e propria svolta per il 10-15 percento di pazienti con cancro al colon-retto con deficit MMR.
Fonte: fanpage