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Nino De Girolamo, il Numero Uno

Ripubblichiamo l’articolo di Angelo Letizia, del 4 novembre 2007, nel quale viene ricordato il Nini De Girolamo, il grande calciatore sidernese morto nella giornata di ieri, lunedì 18 dicembre.

Angelo Letizia

“Per carità, questo paese ha espresso altri calciatori di valore – penso a Peppe Galluzzo o ad Alfredo Muià – madimesiè sempre detto che avessi una marcia in più, soprattutto sul piano tecnico”

Nino De Girolamo è certamente un tipo verace, sanguigno, di quelli che appena stimolati non hanno alcuna difficoltà a dire le cose come stanno, senza ipocrisia, falsa modestia o dichiarazioni di circostanza. Bastano pochi attimi per rendersene conto e certo non può che far piacere: in un mondo ormai saturo di uomini “truc- cati”, timorosi di essere ma non di apparire – perché questo è ora l’impor- tante – dubbiosi nel dire ma non nel riferire, c’è qualcuno che getta la maschera, che non si nasconde né tanto meno si confonde in una realtà che disperde e allontana la sostanza delle cose. Così è Nino De Girolamo, non ci sono dubbi: “Lo scriva, faccia sapere a tutti che a detta di Mimmo Cataldo, non uno qualsiasi quindi, lei ha di fronte il ‘numero uno’ fra i calcia- tori che hanno indossato la maglia del Siderno.Micreda, personecomeCatal- do in carriera di giocatori bravi ne hanno conosciuti e incontrati tanti, per cui un giudizio simile ha un certo peso. Per carità, questo paese ha espresso altri cal- ciatori di valore – penso a Peppe Galluz- zo o ad Alfredo Muià – ma di me si è sempre detto che avessi una marcia in

più, soprattutto sul piano tecnico, quan- to a qualità di gioco e fantasia”. Oltre che non ipocrita, De Girolamo è stato uno precoce, nel senso che in carriera ha bruciato le tappe, ritrovandosi a soli 12 anni nella Primavera della Reggina e pochi anni dopo titolare nella Nazio- nale Under 16: “Con me in attacco c’e- rano Veronese e Trioia, ricordo bene, io però ero inamovibile. Quell’esperienza mi spianò la strada verso la prima squa- dra amaranto, in serie C, dove restai fin a 18 anni. Poi…”. Qui si blocca e da spazio al primo episodio estratto dalla galleria dei ricordi: “Poi successe che un giorno, con la valigia già pronta e il biglietto in mano, destinazione l’Interna- toli di Chinaglia e Wilson, Mimmo Cataldo, sempre lui, giocò d’astuzia e riuscì a strappare una promessa al dottor Granillo: se il mio passaggio ai parteno- pei fosse sfumato io sarei passato al Siderno, fresco di promozione in quarta serie e alla ricerca una punta all’altezza della nuova categoria. E fu così che andò. Il giorno dopo ero già a Palermo, pronto a esordire con la mia nuova squadra. Vincemmo in trasferta uno a zero e il gol fu firmato dal sottoscritto, naturalmente…” Aldilà dell’autocom- piacimento, c’è pure una velato sarca- smo in certe sue affermazioni, sorride, probabilmente si diverte a peccare di modestia, è un ruolo che gli calza a pennello. Ma si fa di nuovo serio, quando si torna a parlare di Siderno e del Siderno: “Qui ho trascorso tre anni meravigliosi. Ho incontrato persone buone e cattive, gente interessata e amici veri, soprattutto ho conosciuto la donna che poi sarebbe diventata mia moglie. Ben presto il legame con questo paese da sportivo divenne soprattutto affettivo, solido, stabile nel tempo. A Siderno vivo, lavoro e ho la mia famiglia. Sono reggi- no di nascita, ma sidernese di adozione” E poi nel Siderno è cresciuto come cal- ciatore, è migliorato, si è affinato, si è imposto giocando alla grande e segnando gol spettacolari – alla fine saranno 39 le marcature tra i profes- sionisti, oltre 200 in totale – così le attenzione dei club più importanti si fecero pressanti e ingombranti: “Si interessarono a me Lazio, Parma, Sira- cusa, Palermo ma evidentemente l’Inter- napoli era nel mio destino e il caro presi- dente Francesco Romeo cedette alle lusinghe dei campani. In un certo senso, si può dire che fu ‘costretto’ a cedere: 50 milioni più Martino Pedullà erano un’offerta irrinunciabile, come le 330 mila lire al mese del mio stipendio: per rendere bene l’idea, all’epoca la retribu- zione media di un operaio era di 60 mila lire, ovviamente non avrei potuto rifiuta- re una proposta come quella dell’Inter- napoli”, In ogni caso, sarà solo un arri- vederci: dopo tre stagioni felici in Campania, un brutto infortunio

durante una sfida con l’Avellino gli tarpò le ali e il ritorno alla casa madre sidernese si concretizzò alla svelta, ma questa volta la permanenza fu breve. Infatti dopo appena una stagione, rag- giunta la salvezza con i biancazzurri, de Girolamo salutò un’altra volta Siderno per approdare a Cosenza. Verrà poi il turno del Castrovillari (2 anni), con Cisco Loiacono in panchina e un titolo di capocannoniere in bacheca con 18 gol. Infine prima del ritiro, ecco l’ultima chiamata: il presi- dente Moccia lo volle al Potenza e l’in- tuizione si rivelò azzeccata: non sarà il canto del cigno, al contrario in terra lucana Nino si regalerà l’ultima grande soddisfazione: vittoria del campionato e promozione in B. Poi a 37 anni deci- se di dire basta: “In quel momento mi sembrò la cosa giusta. Non avrei voluto però che fosse un distacco traumatico, il calcio continuava a essere il mio mondo e così accettai di buon grado la panchi- na dell’Under 18 del Siderno, la mia prima e unica esperienza da allenatore, perdipiù dall’epilogo assai amaro. Dominammo il campionato, racco- gliendo 18 vittorie e un pareggio – nume- ri che si commentano da soli – ma evi- dentemente questo non bastò alla diri- genza di allora. Mi sarei aspettato mag- giore considerazione, un trattamento in linea con quanto di buono fatto, invece qualcuno mi chiamò da parte, mi disse che i risultati ottenuti erano ottimi, che ero un allenatore destinato a grande futuro. Insomma tutto bene, compli- menti, bravo, bravissimo ma… non ancora pronto per la panchina della prima squadra, poco adatto per quell’in- carico. Questo fu quello che mi fu riferi- to, tra l’altro senza una motivazione pre- cisa, e sinceramente non compresi, anzi provai grande amarezza e di allenare non ne volli più sapere, né voglio più saperne”. Eppure i titoli per continua- re li avrebbe avuti, forse anche più di tanti che ora siedono su diverse pan- chine: “A differenza di altri, a me il patentino di allenatore è stato attribuito per meriti sportivi, senza corsi, prove ed esami. Fu Rusalem, all’epoca presidente del comitato della FIGC toscana, a rico- noscermi questo privilegio, ma – ripeto – per me la panchina è un capitolo chiuso. Forse sarebbe diverso se mi proponesse- ro un ruolo da dirigente. In ambito gestionale, nel calcio dilettantistico c’è molto che non funziona, e, anche se non è la mia aspirazione principale, magari l’esperienza e la conoscenza da me accu- mulate potrebbero tornare utili a qualcu- no”. Anche se celata, la delusione che traspare dalle ultime parole è palpabi- le, non serve molto a capirlo: “Effetti- vamente in me c’è molto disamore. Non

mi identifico con questo calcio, ci sono pochi punti di contatto con le mie idee ed il mio modo di fare”. E anche quan- do il discorso vira sul calcio giovanile, i toni non sono entusiastici: “A prescin- dere dalla poca attenzione e assistenza prestata ai vivai dal calcio attuale, non è raro che siano gli stessi giovani a com- mettere il primo errore. A molti di loro basta poco per sentirsi arrivati e perdere di vista la realtà delle cose. Ai miei allie- vi ripetevo sempre che se a 14-15 anni non si giocava già a certi livelli, era meglio lasciare perdere con il calcio, di aspirare ad altro. È inutile girarci intor- no, è così. Da noi non sono mancati, e mancano, elementi capaci di ben figura- re nelle categorie principali – mi viene in mente, per esempio, Carabetta, l’attuale capitano del Siderno, certamente il migliore tra i giovani allenati dal sotto- scritto – ma quello che fa la differenza è

la voglia di emergere, di sacrificarsi e, sul piano atletico, le doti fisiche. A un giova- ne che arriva in C, basta poco per com- piere il passo decisivo verso la A: in ambito professionistico – checché se ne dica – tra una categoria e l’altra la distanza è minima, sono i fattori espres- si prima a essere invece determinanti. Tuttavia in pochi recepiscono questi con- cetti, e così capita che i più si perdano per strada o, nella migliore delle ipotesi, vadano a cercar gloria e qualche spiccio-

lo in squadrette”. Il momento di saluti si avvicina, ma prima del congedo Nino De Girolamo, ha ancora qualcosa da aggiungere: “E’ giusto approfittare di questa occasione per ricordare un po’ di amici, alcuni purtroppo scomparsi, ma tutti accomunati da stima e da affetto reciproci: Giorgio Chinaglia, due mostri sacri come Maestrelli e Sentimenti IV, Pinotto Wilson, Gianni Di Marzio, Ric- cardo Di Lella e, infine, D’Amico, uno di quelli a cui sono rimasto più legato”. L’ultimo omaggio, è ancora per i colo-

ri biancazzurri: “Il momento più inten- so da calciatore l’ho vissuto a Palermo: mi trovavo lì con l’Internapoli per la gara di campionato con i rosanero e seppi che nel capoluogo siculo, a poca distanza da me, c’era pure il Siderno, a sua volta in attesa della sfida con il Cantieri, allora la seconda squadra di Palermo. Andai a trovare in ritiro i miei ex compagni e l’e- mozione che provai incontrandoli resta una delle sensazioni più belle che il cal- cio mi ha riservato”.

 

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