Dall’anno 2007 si celebra la giornata internazionale contro l’omofobia, la bifobia e la transfobia, indetta con risoluzione del Parlamento europeo del 26 aprile 2007. E si celebra oggi, il 17 maggio di ogni anno. La ricorrenza accende una lente sulle discriminazioni e le ingiustizie che le persone lesbiche, gay, bisessuali, transgender, queer, intersessuali, agender, asessuali, ecc.… subiscono a causa del loro orientamento sessuale.
Mario Alberti
Nulla è più difficile che assumere una posizione su alcune tematiche, soprattutto per chi antepone alle proprie visioni il consenso altrui.
Questo concetto diciamolo, fin dall’inizio, e chiaro chiaro.
Veniamo al tema.
Dall’anno 2007 si celebra la giornata internazionale contro l’omofobia, la bifobia e la transfobia, indetta con risoluzione del Parlamento europeo del 26 aprile 2007.
E si celebra oggi, il 17 maggio di ogni anno.
La ricorrenza accende una lente sulle discriminazioni e le ingiustizie che le persone Lgbtqia+ (lesbiche, gay, bisessuali, transgender, queer, intersessuali, agender, asessuali, ecc.…) subiscono a causa del loro orientamento sessuale.
Da recenti lavori statistici, autorevoli e credibili, emerge e chiudo subito questo aspetto arido quanto atroce, che sei persone Lgbtqia+ su dieci hanno subito aggressioni nella loro vita privata e lavorativa.
Il sessanta per cento, se si espone, rischia di essere aggredito.
Il resto, non si espone.
Esporsi significa, in buona sostanza, dichiarare apertamente il proprio orientamento sessuale, o semplicemente e naturalmente, tenere per mano il compagno o la compagna, in pubblico.
Su queste manifestazioni esteriori, una persona Lgbtqia+ su due rinunce a farlo, per paura.
Vi pare giusto tutto ciò?
Anzi, uso un altro termine che forse piace molto a chi non la pensa come me.
Ma vi pare normale tutto ciò?
Ma cosa accade alle persone o alle organizzazioni che considerano tutto questo un’ ingiustizia e intendono elemento indispensabile esporsi, schierarsi, lottare affinché “Nessuno abbia uno sguardo ferito” per dirla alla Ginsberg.
Nessuna opposizione, ma…
Anzi… Si, ma.
Nel regno del “si, ma” tutto può accadere.
E allora qualcuno verrà fuori a dirvi che è un tema divisivo, che si offendono le altrui sensibilità, che si deve tenere conto del pluralismo delle idee presenti nell’organizzazione.
Come se accettare che sei persone su dieci non si sentano difese nel loro diritto all’esistenza sia pluralismo.
E allora accade che si lascia correre, per equilibrio, e si passa avanti.
È tutto un equilibrio sopra l’ignavia.
E quindi si abbassa lo sguardo di fronte allo sguardo ferito.
Per tirare in ballo un altro poeta, stavolta in musica, diciamo che per tutti il dolore degli altri è dolore a metà.
E grazie come sempre a Fabrizio De André.
Ecco, da quando rappresento qualcosa, un’organizzazione sociale o politica, prendere posizione contro l’omofobia è stato sempre un tormento, una lotta, una tortuosa discussione.
Per poi imporre la mia scelta, così, d’imperio.
Perché di fronte ai diritti negati la moderazione equivale sempre a girarsi dall’altra parte.
Adesso vi racconto un fatterello, come sono solito.
Parte da lontano, il fatto.
E avviene nel mondo per me più bello, quello dei ragazzi.
La scuola.
Avviene quasi vent’anni fa, e mentre parlavo ai ragazzi di accoglienza e discriminazione, quando lui si alza sfrontato dicendo che è facile includere le persone con disabilità nella società.
Prosegue in prima persona “E se adesso dicessi davanti a tutti che sono gay avrei anch’io il diritto di essere incluso?”
Subisco il colpo e mi preparo alla risposta.
Non c’è bisogno.
Non faccio in tempo.
Qualcuno fa meglio di me.
Si alza Valentina, che non si chiamava Valentina, ma il suo caschetto nero, come l’eroina di Crepax, me la fa chiamare così.
Sbuffa in faccia al compagno e gli dice chiaro, come solo i giovani sanno fare, che se a lui piacciono gli uomini o le donne non gliene frega un tubo.
Non dice tubo, Valentina, la parola tubo passa dal traduttore.
Poi si alza Rossana, che non si chiama Rossana e gli dice che lo ha sempre saputo, che lui è gay, ma gli vuole bene per ciò che è e non per ciò che ama.
Lo stesso, a giro, fanno tutti.
Io rimango inchiodato alla cattedra e mi chiedo a cosa servo, a cosa serviamo noi adulti di fronte a tutto ciò.
Di fronte a questa bellezza.
Ancora una volta i giovani ci danno una lezione di vita.
Questa storia la scrissi più volte.
E ancora ci penso, ai ragazzi del duemila, della scuola bene, di un luogo imprecisato, quando l’intolleranza si sente più forte e va a braccetto con il rumoroso silenzio dell’ignavia satura l’aria di anidride carbonica.
Respiro le parole buone dei ragazzi, e vado avanti.
Buon diciassette maggio a tutti.
Proprio a tutti.