Erano in libertà e operavano in nome e per conto dei capifamiglia finiti in carcere dopo la lunga stagione dell’antimafia al nord esplosa con l’inchiesta Aemilia
Erano in libertà e operavano in nome e per conto dei capifamiglia finiti in carcere dopo la lunga stagione dell’antimafia al nord esplosa con l’inchiesta Aemilia. Oggi, però, il 59enne Giuseppe Sarcone da una parte e il 35enne Salvatore Muto dall’altra, sono finiti al centro dell’inchiesta antimafia Perseverance, che ha portato a 9 arresti. Un’operazione contro la ‘ndrangheta emiliana scattata all’alba di oggi sull’asse Reggio Emilia-Modena (con 29 indagati di cui 9 arrestati su ordine della Dda bolognese) che porta in carcere l’ultimo componente della famiglia Sarcone rimasto libero fino ad oggi. Si tratta di Giuseppe Grande Sarcone, 59 anni, che per gli inquirenti, dopo la condanna dei fratelli Nicolino (primo luogotenente in emilia del boss di cutro Nicolino Grande Aracri) Gianluigi e Carmine, oggi tutti detenuti dopo la condanna nell’ambito del maxi processo Aemilia, li avrebbe sostituiti nella gestione degli affari illeciti della cosca ricoprendone attualmente una posizione di vertice. I reati contestati vanno dall’attività di «recupero credito» con modalità estorsive al trasferimento fraudolento di valori mediante l’attribuzione fittizia della titolarità o disponibilità di beni o denaro per impedirne l’aggressione delle misure di prevenzione patrimoniali, fino al riciclaggio e al reimpiego di denaro illecito grazie alla complicità di privati e pubblici ufficiali, accusati di falsità ideologica in atto pubblico. In particolare, scavando nel passato criminale della cosca Grande Aracri di Cutro che operava in autonomia nel territorio emiliano, «con enorme capacità di infiltrazione nei settori centrali dell’ economia e della vita civile», come ricostruito prima nel processo Aemilia e dopo nell’inchiesta «Grimilde» su Brescello che copre gli anni dal 2015 al 2019, i carabinieri hanno questa volta ingrandito la lente alla figura di Giuseppe Sarcone, rimasto fino a quel momento a margine delle investigazioni e delle sentenze che hanno visto invece condannati gli altri tre fratelli. E’così emerso che, attraverso prestanome, Giuseppe Sarcone abbia gestito in questi anni numerose attività economiche dislocate nella province di Modena e Reggio Emilia (sale scommesse, carrozzerie, autofficine e società immobiliari) usate come «scudo» per il patrimonio della famiglia, colpito da una misura di prevenzione patrimoniale nel settembre del 2014. Tra i beni sequestrati nell’operazione odierna ci sono 5 società (due a Modena e tre a Reggio), 4 complessi immobiliari (tre a Cutro e uno a Reggio Emilia) oltre a un’autovettura, tutti riconducibili alla famiglia calabrese. Documentato anche il tentativo di acquisire, sempre tramite prestanome, la gestione di un’area di servizio in provincia di Reggio Emilia e di una sala slot e scommesse a Modena, attraverso la costituzione da parte di soggetti compiacenti di apposite società, tutte occultamente gestite da Sarcone. La figura di Antonio Muto è emersa nell’indagine Perseverance quando due coniugi si sarebbero affidati al gruppo per fare del male a una donna, divenuta di ostacolo per l’acquisizione di un patrimonio, un fatto scongiurato solo dall’intervento della polizia reggiana che, attraverso perquisizioni, ha indotto i mandanti ad abbandonare l’obiettivo per il timore degli inquirenti. I due, in un’altra occasione, avrebbero anche chiesto alla consorteria di recuperare una somma di denaro, due milioni di euro secondo le intercettazioni, di probabile provenienza illecita. Muto si sarebbe rivolto quindi a Domenico Cordua e Giuseppe Frijio: i due si sarebbero appostati fuori dalla casa del debitore, in Toscana, e gli avrebbero consegnato documenti sul presunto credito, accompagnati da foto di suoi stretti parenti, con intento intimidatorio. È seguito quindi un intervento, in difesa della vittima, da parte di una persona che si è presentata come referente di un altro gruppo calabrese. A quel punto sarebbe entrato in scena, «con azione che si è svolta con dinamiche tipicamente mafiose», per gli inquirenti, anche Giuseppe Sarcone Grande. Ci sono state trattative sull’esistenza e l’esigibilità del credito, affrontate in riunioni del gruppo, documentate dalla squadra mobile reggiana.