Nel suo sentire poetico Nirta interpreta la natura con sensibilità empatica, rendendo la sua materia poetica particolarmente evocativa, carica di emozioni e memorie sedimentate nelle profondità dell’animo umano. Il poeta non dimentica il ruolo dell’uomo nel mondo, ben conoscendo le società tradizionali in cui il legame tra uomo e natura era inscindibile.
Non ci ho provato nemmeno a chiedere ad Antonio Nirta (in arte Gabriele Ramo) una dichiarazione di poetica, mi avrebbe guardato con quel suo mezzo sorriso disarmante e mi avrebbe chiesto se per caso lo stessi prendendo in giro. Sappiamo bene che la dichiarazione di poetica è un impegno non vincolante che per sua stessa natura corre sempre il rischio di essere contraddetto e d’altra parte è evidente che Nirta non possiede l’indole del “vincolato”. La sua metrica non è catalogabile, ma il verseggiare anarchico non pregiudica il ritmo e il poeta non disdegna la rima anche se la utilizza in modo scanzonato e a tratti irridente.
Questa silloge che, guarda un po’, si intitola “Incondizionatamente” non sfugge però a una classificazione, sia pur ampia, che fluttua tra una forma di naturalismo umanistico e una vena, sia pur disincantata e a tratti irriverente, di esistenzialismo romantico.
Il naturalismo di Nirta non ha la pretesa di farci comprendere il mondo attraverso l’uso del metodo scientifico ed è per questo che lui provvede a combinarlo sapientemente con i valori sociali ed etici dell’umanesimo. La sua convinzione è che tutti gli esseri viventi (dagli uccellini alle caprette) siano estensioni intricate della natura, e quindi meritino un certo grado di rispetto reciproco da parte degli esseri umani. Il poeta cerca di adattarsi comunque al cambiamento quotidiano consapevole che la vita, per sopravvivere, deve nutrirsi di vita; ciò comporta allo stesso tempo il riconoscimento della necessità di un equo scambio di risorse tra le varie specie animali e vegetali.
Questo è il ricco mondo esterno di Nirta, gestito da un altrettanto ricco mondo interiore intriso di esistenzialismo romantico tendente quindi a una sfera platonica e fantasticata più che reale. Le sue relazioni amorose non si spostano mai sul piano della concretezza e quindi non fanno mai i conti con i lati meno belli, meno piacevoli o più critici che possono derivare dal vivere realmente una relazione amorosa con la persona tanto desiderata.
Naturalismo esistenziale quindi? Sì nella misura in cui il poeta esplora la natura e il fascino che ne emana e si pone gli interrogativi che gli consentono di interagire rispettosamente con tutte le specie che lo circondano. Gli esiti di questa esplorazione rappresentano la centralità della sua poetica e gli consentono di raggiungere un’intensa e riflessiva, a tratti decisamente originale, dimensione lirica. Urgenze affettive verso la natura, atmosfere rarefatte, orizzonti sconfinati, dolori laceranti, odi struggenti, amori disincantati sono la materia prima di cui è impastata questa silloge insolita.
Tra rabbia (L’ingigantirsi di certi nani) e disincanto (Aldilà del mio bene) il fiume dei versi scorre coinvolgente.
Il poeta ha bisogno di partecipare al grande spettacolo della natura e vuole interpretare gli aspetti di vita minimali in modo intimistico e la poesia è l’unico media che lo consente. Nel suo sentire poetico Nirta interpreta la natura con sensibilità empatica, rendendo la sua materia poetica particolarmente evocativa, carica di emozioni e memorie sedimentate nelle profondità dell’animo umano. Il poeta non dimentica il ruolo dell’uomo nel mondo, ben conoscendo le società tradizionali in cui il legame tra uomo e natura era inscindibile.
Un rapporto non solo fisico ma anche spirituale, religioso e culturale come ci ricorda il poeta romagnolo Davide Rondoni nel suo nuovo libro “Cos’è la natura? Chiedetelo ai poeti” (Fazi editore). Chiedetelo ai poeti che parlano di natura, amore e bellezza. Perché è evidente che per riaccostarci veramente alla natura (e alla natura umana) occorre una sapienza antica e sempre nuova.
Tanto è il bisogno di esprimere le sue convinzioni e condividere le sue esperienze che, in calce alla silloge, arriva a porre degli scritti (o scritticini come ama definirli) che più che lezioni di vita appaiono come vere e proprie lezioni di umiltà.
Franco Arcidiaco