Mario Alberti commenta (e ci fa ragionare) sul caso della molestia in una scuola di Roma e sul reale significato dell’atto in sé.
Mario Alberti
“Amo’, lo sai che scherzavo.”
Lui, sessantasei anni, lei diciassette. Lui bidello, lei studentessa.
Tutto avviene per le scale della succursale dell’istituto cine tv Rossellini all’Ostiense, Roma. Lui le palpa il sedere, mettendo addirittura le mani dentro i jeans e quando lei si gira, le dice sorridendo “Amo’, lo sai che scherzavo”.
Denuncia, indagine, processo, sentenza.
Il reato non sussiste perché le mani del bidello non indugiano sul sedere della ragazzina più di cinque, dieci secondi. Palpatina breve per i giudici, che potrebbe quindi essere poco intenzionale. Ovviamente, il particolare delle mani nei jeans scompare dalle indagini. Poi si sa come sono ‘ste ragazzine. Magari è stata lei a dare un colpo di sedere alle mani del bidello!
Comunque, il fatto non sussiste.
Ecco, se rivolgete la dovuta attenzione ai fatti di cronaca, non passa giorno che non venga riportato dai giornali uno o più episodi di violenza sessuale nei confronti di una donna. Ultima, la denuncia di una ragazza che sotto l’effetto di stupefacenti è andata a letto, diciamo, con il figlio del Presidente del Senato. Il quale, candidamente, afferma che la ragazza era fatta di cocaina, come fosse un attenuante, ma che nella realtà è un’aggravante.
Temo, francamente, che dietro questi ed altri episodi, ci sia ben altro.
Possedere una donna con raggiro o violenza presuppone una mentalità che radica nell’ancestralità del gesto. Una gerarchia patriarcale che non considera violenza ciò che nella sostanza, fisicamente, è psicologicamente, lo è. Ma ad essere permeato di questa mentalità non è soltanto chi commette il gesto, ma chi lo considera sotto profili diversi rispetto ad un semplice e tragico concetto.
La donna mi appartiene, e quindi me la prendo quando voglio. Le molestie poi sono ancora più subdole, dal confine offuscato. Una pacca sul sedere è uno scherzo. Per chi la fa. Per chi la subisce è un trauma sempre difficile da assorbire. Ma al maschio nostrano e ruspante non può fregare di meno tutto ciò. Tocca, possiede, stupra, tanto ad arrivarci alla condanna la strada è lunga e passa per la graticola dove viene poggiata la vittima. Perché non ha gridato, ma le è piaciuto, ma neanche un po’, ma com’era vestita, l’ha baciato, perché è andata con lui se immaginava l’epilogo.
E altre violenze aggiuntive nelle aule dei tribunali.
E niente, forse va smontato il dominio dell’uomo sulla donna partendo dalle piccole cose.
Partendo dall’educazione. Per prime Famiglia e Scuola. E che entrambe lascino perdere, una volta per tutte, l’inopportuno e disfunzione rimpallo sulle responsabilità educative, querelle stucchevole alla quale assisto dalle mie vecchissime esperienze di consigliere di Istituto.
Ma basta!
Insieme possono, possiamo, fare una parte che sarà la parte migliore e decisiva. E ognuno di noi è chiamato a non minimizzare questo crescendo di dominio e violenza rivolte alle donne. Queste sentenze non sono giustizia, ma condanna per la vittima. E impunità per i molestatori. Che adesso sapranno per quanti secondi va toccato il sedere ad una ragazzina.
Molestia col timer.