Ferdinando Rocca (Docente liceo classico, Milano) ci parla del diritto imprescindibile di manifestare degli studenti dopo i fatti vergognosi di Pisa e Firenze.
Ferdinando Rocca
Li riconosco, sono loro, gli studenti che in molti dipingono come mammoni, viziati, rassegnati, sfiduciati, apatici, che non si informano e non hanno voglia di mettersi in gioco. Sono i veri fratelli d’Italia, ma non rappresentano un partito politico. Hanno passioni, sentimenti, idee e qualche volta si incazzano e sono anche disposti ad assumersi delle responsabilità con il pericolo di prendersi le mazzate dalla polizia. Questi giovani sanno che in democrazia manifestare e un diritto e lottare per quello che si ritiene giusto non ha prezzo. Per questo vale la pena rischiare, beccarsi una strattonata o una manganellata in testa, come è avvenuto di recente a Firenze e a Pisa durante la manifestazione pro Palestina. Questi giovani studenti hanno sperimentato sul campo il valore di un’idea, di un principio di giustizia; sanno però, e i fatti glielo hanno dimostrato, che di fronte a loro c’è qualcuno che, come un muro di gomma, respinge ogni loro rivendicazione, che non accetta chi la pensa in maniera differente, che usa il manganello come strumento di democrazia al posto delle parole.
Chi aggredisce gli agenti è un «delinquente» sostiene il ministro Salvini, che di parole ne dice tante ed ogni volta è un rebus decifrarne il significato. Delinquere significa infrangere una norma di diritto penale, mentre manifestare è un sacrosanto diritto sancito dalla legge suprema, la Costituzione, che all’articolo 21 sancisce espressamente il «diritto di manifestare liberamente il proprio pensiero con la parola, lo scritto e ogni altro mezzo di diffusione». E ancora la Costituzione all’articolo 17 stabilisce che «i cittadini hanno diritto di riunirsi pacificamente» e che per le riunioni non è prevista alcuna autorizzazione, ma solo l’obbligo di un «preavviso», che al massimo comporterebbe delle sanzioni a carico dei promotori e non già l’uso del manganello contro chi vi partecipa in maniera pacifica.
E allora perché tanto clamore da parte di ministri, questori, giornalisti e gente comune che per giustificare l’accaduto hanno parlato di manifestazioni non autorizzate? Stiamo forse subendo un processo di involuzione storica e di degenerazione della democrazia; stiamo forse ritornando ai tempi in cui per esercitare un diritto, sia pure elementare, occorreva l’autorizzazione da parte dell’autorità pubblica e finanche il beneplacito del governo in carica? Ma allora cosa hanno voluto dimostrare le forze di polizia prendendo a manganellate in maniera violenta e indiscriminata gli studenti di Firenze e di Pisa, molti dei quali addirittura minorenni. Hanno forse abusato del loro potere infrangendo una norma di diritto penale e – per usare le stesse parole del ministro Salvini – sono essi stessi dei «delinquenti»? Oppure alle forze di polizia non può e non deve essere contestata alcuna colpa, se non quella di avere eseguito degli ordini imposti da un capo invisibile di cui non è dato svelare l’identità.
Ha fatto bene il capo dello Stato Sergio Mattarella a ricordare che l’autorevolezza delle forze dell’ordine non si misura con i manganelli; «con i ragazzi – ha precisato – i manganelli esprimono un fallimento». Un intervento insolito del Presidente della Repubblica, un richiamo ai principi della convivenza civile e al dettato costituzionale che esprime certamente un disagio, ma che vuole essere al tempo stesso un monito di fronte alle cariche della polizia nei confronti di manifestanti inermi. Questo richiamo al dovere e al senso di responsabilità, per cui dobbiamo essere grati al Presidente della Repubblica e al suo ruolo istituzionale, non sarebbe stato possibile in regime di «premierato» fin tanto caldeggiato dall’attuale maggioranza di governo. Dobbiamo infine chiedere scusa ai nostri studenti, assecondare il loro naturale bisogno di partecipare e vivere la democrazia; combattere con loro e proteggerli, eventualmente, da un innaturale e anacronistico risveglio di certi fantasmi del passato.