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domenica, Novembre 24, 2024
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L’Oblio di Giacomo Matteotti: Il Riformista Dimenticato

Bruno Gemelli riflette sulla mancanza di commemorazione adeguata per Giacomo Matteotti nel centenario della sua morte. Nonostante alcune menzioni, il ricordo nazionale è stato debole. L’autore evidenzia come Matteotti sia stato trascurato nelle tracce degli esami di maturità, sottolineando un simbolico oblio del suo contributo riformista e antifascista. Anche quando in vita, Matteotti fu osteggiato non solo dai fascisti ma anche dai comunisti, come ricordato da Andrea Cangini, dimostrando l’isolamento politico subito dal riformista. Gemelli conclude criticando il pregiudizio che ha ostacolato una giusta memoria di Matteotti, sottolineando l’importanza di un sano antifascismo.

Bruno Gemelli

Il 10 giugno è passato da poco ma del ricordo di Matteotti nel centesimo anno della sua morte non è rimasta neppure l’ombra. Certo, non sono mancati i ricordi e i commenti, anche autorevoli, qualcuno persino stucchevole, ma l’afflato nazionale non s’è sentito. Chi scrive, e non è il solo, non l’ha avvertito. Anzi, negli ultimi tempi qualcuno è uscito anche allo scoperto. Come quelli che hanno imbrattato il suo monumento a Riano romano. Come quelli hanno fatto uscire il suo francobollo commemorativo insieme a quello di un noto fascista romano. Come quelli che avevano promesso comitati ad hoc che non si sono visti. Come quelli che, per gli esami di Stato di quest’anno, hanno scelto Pirandello, Ungaretti e Levi Montalcini, ma non lui. 

 A proposito di ciò Fabio Martini di Huffpost ha scritto: «L’assenza di una traccia su di lui alla maturità è un piccolo dato di fatto, ma indicativo. Dal governo e dall’opposizione, il centenario dell’assassinio fascista è stato vissuto con un understatement che è diventata assenza. Il feticcio ha cancellato l’azione politica: il riformismo, che si basa sui fatti e detesta retorica e demagogia. 

Nei temi per la maturità si sono “dimenticati” di Giacomo Matteotti. Ovviamente nessun obbligo incombeva sul Ministero dell’Istruzione nel rievocare il martire antifascista, anche se spesso per le tracce dei temi si privilegiano personaggi dei quali ricorre un anniversario “tondo”. Ma la “dimenticanza”, anche se fosse priva di intenzionalità, finisce per assumere un valore simbolico, perché le forze di governo e di opposizione stanno vivendo le celebrazioni matteottiane con lo stesso spirito: quello dell’atto dovuto». 

 La stessa testata, per la firma, di Andrea Cangini, a maggio scorso, ricordava che «Giacomo Matteotti fu pugnalato a morte dai fascisti, ma fu soffocato in vita dai comunisti. La vicenda storica la conosciamo. E di quella vicenda conosciamo le responsabilità. Nato ricco in una terra povera, il Polesine, Matteotti fece del riscatto degli ultimi e della giustizia sociale la propria bandiera. Era un riformista, perciò fu espulso dal Partito comunista. Animò la nascita del Partito socialista unitario, ne divenne segretario. Fece dello spirito cartesiano il proprio metodo, difese l’autonomia socialista, si caratterizzò per passione politica, intransigenza morale, senso di responsabilità. 

Per questo, con un celebre discorso pronunciato alla Camera dei deputati il 10 maggio del 1924, denunciò le violenze e i brogli del nascente Regime. Per questo un mese dopo, il 10 giugno del 1924, fu sequestrato da una squadra fascista e ucciso con una coltellata al cuore. Aveva 39 anni. Gli storiografi divergono. Difficile dire se quell’azione fu davvero ordinata da Benito Mussolini. E difficile è dire se l’epilogo di quell’azione, l’omicidio, fosse stato davvero pianificato dal manipolo guidato da Amedeo Dumini. Fatto sta che Giacomo Matteotti morì per mano fascista e su questo nessuno può avere dei dubbi. È noto, è acclarato, è così. Meno noto, ma non meno interessante, è il trattamento che a Giacomo Matteotti fu riservato dai compagni comunisti quand’era ancora in vita. Antonio Gramsci, il cui unico discorso parlamentare rimasto agli atti fu quello in difesa della massoneria minacciata da Benito Mussolini, lo considerava un nemico. Lo considerava un nemico così come i comunisti hanno sempre considerato nemici tutti coloro che prendevano le distanze dal Verbo comunista. Nemici e traditori. 

 “Un pellegrino del nulla”, diceva di Matteotti Antonio Gramsci. Un “socialfascista”, usando l’etichetta con cui Palmiro Togliatti proscrisse tanti socialisti inorriditi dalle violenze concettuali e fisiche del comunismo. Accadde a Turati, a Rosselli, a Cucchi, a Magnani, a Buozzi, Tasca, a Silone, a Saragat, a Nenni, a Craxi… Tutti rappresentati come un “pericolo per la democrazia”. Nientemeno». 

Insomma, la pletora delle buone intenzioni s’è scontrata, ancora una volta, col pregiudizio. Essere un riformista era un peccato grave. Una parolaccia. 

 Vero è che la socialdemocrazia, nel corso degli anni, ebbe delle pericolose e infamanti derive, ma Matteotti andava tenuto fuori dai meschini calcoli di potere. 

 Non è stato così. 

 Per dirla con Fabrizio Roncone «Ecco: non dico tutti, ma almeno uno di questi libri mettetelo in valigia. Un po’ di sano antifascismo, anche d’estate, fa sempre bene». 

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