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Lo Sdoganamento del cazzo

L’Italia, sotto il profilo femminile, ha raggiunto livelli di indipendenza superiori a quelli maschili. La senatrice Ronzulli, infatti, ha osato fare qualcosa che non hanno avuto l’ardire di fare né due futuri presidenti della Repubblica né tre presidenti del Consiglio. Se alla senatrice Ronzulli non importa un “cazzo” di ciò che pensa Renzi, è probabile che le importi ancor meno di ciò che scrive un anonimo opinionista di un piccolo giornale di una piccola Regione.

 Galileo Violini

בראשית fu Zavattini. Un incipit colto, alla Umberto Eco. Tuttavia, potrebbe urtare la sensibilità di alcuni lettori, sebbene meno di quanti avranno avuto perplessità per il non uso della parola c**o*, che avrei senza dubbio preferito, se il ministro Valditara non me ne avesse dissuaso, sostenendo che ciò avrebbe compromesso la leggibilità e l’accessibilità del testo. Ne dubito, ma avremo modo di discuterne un’altra volta.

È stato appunto Cesare Zavattini, poco più di 50 anni fa, a “sdoganare” quella parola per radio, regista un giovane Beppe Grillo. Erano gli anni in cui il 40% degli italiani votava contro il divorzio e parlare di aborto nella propaganda per il “no” al referendum era fortemente sconsigliato. Non saprei dire chi abbia sdoganato il cazzo in televisione. Periodicamente sono stati scritti articoli al riguardo, alcuni anche gustosi, facilmente reperibili online. Come era inevitabile, anche i politici entrarono nel club, e non c’è dubbio che Vittorio Sgarbi ne sia stato uno dei principali alfieri. Al femminile, più di recente, Lucia Annunziata si è unita al club.

La lingua evolve. I costumi cambiano. Nessuno si scandalizzò quando De Falco usò quella parola per rafforzare il suo ordine al comandante Schettino. Come prevedibile, anche in Parlamento la parola è entrata. Pochi giorni fa, una quasi omonima dell’attuale eurodeputata Annunziata, la senatrice vicepresidente Licia Ronzulli (senatore secondo il/la president@ del Consiglio), ha rotto il tabù. Lo ha fatto dalla poltrona più alta della Camera, quella della seconda carica dello Stato, “dettaglio” che non può che destare qualche perplessità.

Solo nella notte tutte le vacche sono nere. Non tutto è negativo. C’è un bicchiere mezzo pieno che non va sottovalutato: l’Italia, sotto il profilo femminile, ha raggiunto livelli di indipendenza superiori a quelli maschili. La senatrice Ronzulli ha osato, da quella poltrona, fare qualcosa che non hanno avuto l’ardire di fare né due futuri presidenti della Repubblica, né tre presidenti del Consiglio, né quindici uomini politici, uno dei quali ha legami strettissimi con l’origine della nostra Costituzione. Chapeau!

Tuttavia, c’è però anche un bicchiere mezzo vuoto. La senatrice vicepresidente non ha considerato che avrebbe ferito la sensibilità di molti che, pur perplessi di fronte a manifestazioni volgari, come accaduto con la famosa “mortadella” del 2008, o critici, ma non certo sconvolti come qualcun@, quando manifestazioni di dissenso politico eccedono, troviamo comunque che debba esserci qualche differenza tra il linguaggio usato quando si è seduti in quella poltrona e quello accettabile in una sedia di plastica di bar di periferia.

Accettiamo che il linguaggio evolva, applaudiamo al contributo che la senatrice Ronzulli ha dato a questo cambiamento. Riconosciamo che dire cazzo dalla Presidenza di Palazzo Madama sia ormai normale, in attesa che qualcuno possa farlo anche dal Quirinale, o magari da una sedia romana ancora più alta. Non ci scandalizziamo, né ce ne scandalizzeremmo se dovesse accadere.

Ma la senatrice ha superato un limite. La sua carica impone una certa terzietà, in particolare quando si siede in quella poltrona. Lo stesso principio di imparzialità per cui la sua parte politica critica la magistratura, accusandola di non mostrarla. I valori repubblicani e costituzionali non sono stati violati semplicemente per l’uso di un’espressione volgare, ma l’inaccettabilità risiede nel fatto che una vicepresidente del Senato affermi di non fregarsene affatto di ciò che pensa un leader politico legittimamente eletto, che rappresenta non solo sé stesso, ma l’intera Nazione (articolo 67 della Costituzione). Ancora più grave è stato continuare la polemica, etichettando quel leader come un bullo e un servo, in risposta alla legittima reazione di Matteo Renzi.

Se alla senatrice Ronzulli non importa un “cazzo” di ciò che pensa Renzi, è probabile che le importi ancor meno di ciò che scrive un anonimo opinionista di un piccolo giornale di una piccola regione.

Non cerco un giudice a Berlino che le spieghi i doveri inerenti la sua carica. Tuttavia non dispero. La senatrice vicepresidente Ronzulli ha un referente politico attuale nel suo partito e un referente ideale nel suo fondatore, da cui molto dovrebbe avere imparato all’inizio della sua carriera politica.

Molto mi separa da loro, ma questo non mi impedisce di chiedere al segretario del suo partito, nonché ministro degli Esteri: Davvero ella non ha nulla da dire?

 

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