Cinque deputati della Lega Salvini hanno presentato la proposta di uno sgravio fiscale sulle spese fino a 20000 euro a chi si sposi in chiesa, purché sia italiano (prima gli italiani, sempre!) o residente in Italia da almeno dieci anni, il matrimonio e le spese abbiano luogo in Italia e gli sposi abbiano un reddito totale di non oltre 23000 euro ed età minore di 35 anni. La sensatezza della proposta dovrebbe essere messa in dubbio già da quanto precede. Preferisco sperare che non ci lasciamo prendere in giro da lupi travestiti da agnelli e che eventuali leggi, di dubbia costituzionalità, siano rinviate al Parlamento.
Una proposta di legge originale, sgangherata e un po’ cialtrona, per usare le parole dell’onorevole Laura Zanella, basata su un presupposto sanfedista, non viene resa seria e rispettosa dei diritti garantiti dalla Costituzione dalla spiegazione imbarazzata del deputato della nostra regione che ne è stato il primo firmatario.
Cinque deputati della Lega Salvini hanno presentato la proposta di uno sgravio fiscale sulle spese fino a 20000 euro a chi si sposi in chiesa, purché sia italiano (prima gli italiani, sempre!) o residente in Italia da almeno dieci anni, il matrimonio e le spese abbiano luogo in Italia e gli sposi abbiano un reddito totale di non oltre 23000 euro ed età minore di 35 anni.
La sensatezza della proposta dovrebbe essere messa in dubbio già da quanto precede. La condizione economica (23000 euro di reddito massimo per la coppia) fa sospettare che i cinque onorevoli vivano sulla luna. La ragione per cui i giovani spesso non si sposano è l’incertezza economica, la mancanza di un lavoro, la mancanza di garanzia di un futuro tranquillo. Che con un reddito di 23000 euro queste paure possano essere superate con l’attuale inflazione che comporta aumenti di salari è difficile da credere. Sgravare le tasse, poi, per spese fino a 20000 viola la logica e la matematica più elementari. Se due giovani guadagnano in un anno 23000 euro, l’ammontare della loro Irpef più benevolo, che permetta loro di pagare solo il 23%, lascerebbe loro un ingresso netto di 17710 euro. Come potrebbero pagare per il loro matrimonio 20000?
Può questa ovvia considerazione essere sfuggita a due degli onorevoli firmatari, uno economista e l’altro ingegnere industriale? O si è voluto épater les bourgeois, presentando ipotesi di mirabolanti sgravi fiscali, magari accompagnati da altre misure fiscali, con ben altri beneficiari?
E poi ci si potrebbe chiedere perché mai il matrimonio debba necessariamente aver luogoin Italia. Se pagano le tasse in Italia e volessero sposarsi a San Pietro, dove sarebbe il problema di sgravare le spese presso un fotografo o un negozio di abbigliamento di Via Cola di Rienzo?
Ma andiamo alla motivazione della proposta: una diminuzione dei matrimoni che ha colpito in particolare quelli celebrati in chiesa.
La seconda affermazione è vera, ma se due giovani preferiscono sposarsi civilmente, dovrebbe essere affar loro, e il loro diritto di farlo è tutelato dall’articolo 3 della Costituzione. Una degli onorevoli firmatari è laureata in giurisprudenza. Si sarà posto questo problema?
La prima, se si eccettua il 2020, è marginale e ciò non dovrebbe essere sfuggito almeno ai due onorevoli firmatari di cui sopra, che qualche familiarità con i numeri dovrebbero pur averla.
In Italia, il rapporto tra i matrimoni celebrati e la popolazione residente era, nel 2011, 3.4 per mille residenti e nel 2019 fu di 3.1. Se si fosse scelto, invece, il 2013 come anno di riferimento, questo rapporto sarebbe stato stabile nei sei anni fino al 2019, intorno a 3.2. La variazione sarebbe stata ancora minore se come riferimento si fossero scelti i soli cittadini italiani residenti, come probabilmente a buoni leghisti parrà preferibile si faccia. E i matrimoni civili nel 2021 sono stati in numero maggiore che nel 2019.
Quindi l’esigenza di una legge che favorisca un aumento del numero dei matrimoni non si può basare su una loro presunta straordinaria e preoccupante diminuzione.
Certo, possiamo pensare che 3.1 per mille abitanti sia poco. Negli Stati Uniti, nel 2019, il numero dei matrimoni fu il 6 per mille e in molti paesi europei è intorno al 4-5 per mille. Però in Portogallo e Austria fu il 3.2 per mille, in Francia, Spagna e Lussemburgo il 3.5 e a nessuno è venuto in mente di offrire sgravi fiscali a chi si sposa in chiesa. Beata fantasia dei nostri leghisti.
La proposta sostiene (virgolettato dal Corriere della Sera) che «la diversa intensità nella diminuzione dei matrimoni è riconducibile anche alle diverse tipologie di celebrazioni e festeggiamenti, nonché al livello di partecipazione che in genere contraddistinguono le tradizioni del nostro Paese» e sottende l’idea che certi maggiori costi siano intrinsici al matrimonio religioso, coerenti con le nostre tradizioni (altro mantra leghista), ma che purtroppo sono elevati.
L’onorevole Furgiuele ha cercato di mettere una toppa, affermando che la ragione della limitazione ai matrimoni religiosi sarebbe stata la copertura finanziaria, ma che il Parlamento nella sua saggezza avrebbe rimediato quando la proposta sarebbe stata discussa.
Nutro un serio dubbio che l’onorevole Furgiuele sappia quale precedente ricordi un’affermazione siffatta. Nel 1938, in sede di approvazione dei decreti legge razziali, il senatore Crispolti affermò di confidare che la saggezza del duce avrebbe rimediato al vulnus che ne ricevevano i matrimoni misti. A parte la fiducia mal riposta e che certo meglio confidare nel Parlamento che nel duce, mi sia lecito dubitare che la proposta sia stata fatta con una tale lungimirante arrièrepensée.
Basta leggere un altro virgolettato del Corriere della Sera. «Le ragioni che allontanano le giovani coppie dall’altare e che le portano a prendere in considerazione solo ed esclusivamente il matrimonio civile sono molteplici e di natura differente. Innanzitutto il matrimonio civile è di per sé una celebrazione meno onerosa rispetto al matrimonio religioso»
Due osservazioni.
Le ragioni sono riconsciute essere molteplici, Forse i cinque onorevoli pensavano a quelle indicate in precedenza, ma poi affermano apoditticamente che sposarsi in chiesa è più costoso e (altro virgolettato) fanno l’apologia dei corsi prematrimoniali.
Ma se il problema è il numero dei matrimoni, che cambia se una coppia, invece, di sposarsi civilmente si sposa in chiesa?
Patetico il confronto tra i costi: i fiori sono cattolici? Il pranzo di nozze lo è? Nella Calabria dell’onorevole Furgiuele sono stato invitato a matrimoni civili con ricevimento nel Castello di San Severino. E gli sposi civili vanno, forse, a sposarsi senza calze o in jeans, come un autorevole leghista si è presentato in passato in Parlamento o dal Presidente della Repubblica? Le spose dei matrimoni civili non vanno dal parrucchiere? E se, con l’ampliamento del beneficio fiscale promesso a tutti i matrimoni, il matrimonio fosse in sinagoga, il costo del bicchiere rotto sarà deducibile?
Non ci lasciamo ingannare. La proposta è una conferma dell’esistenza, se non di un programma sanfedista, di un’ atmosfera da stato teocratico di cui un altro indizio è sotteso dall’originale proposta di un altro partito della maggioranza che il 25 marzo sia dichiarato il Giorno della Vita nascente. Un colpo al cerchio e uno alla botte. Aborto e Fede nell’Annunciazione.
Fatti che devono preoccupare chi continui a credere che il nostro Stato è e deve essere laico e che, purtroppo, sono il risultato annunciato del suicidio elettorale.
Aspettiamoci altre novità di questo genere. Se fossimo sanfedisti come loro, ci affideremmo a San Franceso d’Assisi e a Santa Caterina da Siena.
Preferisco sperare che non ci lasciamo prendere in giro da lupi travestiti da agnelli e che eventuali leggi, di dubbia costituzionalità, siano rinviate al Parlamento. Se non bastasse, nel peggiore dei casi, sono fiducioso che la Corte costituzionale ci proteggerà.
Galileo Violini