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giovedì, Novembre 14, 2024
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L’Italia, da sempre, funzione di fulcro nell’Area Mediterranea

Uno spazio mediterraneo stabile, pacifico, integrato, avrebbe una rilevanza economica per l’Italia e l’Europa straordinaria. È quello che, con Antonio Tajani, ricordiamo sempre ai nostri interlocutori e ai partner europei. Per storia, cultura e posizione geografica il nostro Sud resta il ponte del Vecchio Continente verso il Mediterraneo, una sorta di piattaforma logistica che può assolvere in maniera positiva alle ambizioni italiane e europee e all’esigenze dei popoli che guardano a noi. di Stefania Craxi

In questi ultimi decenni le retoriche sull’importanza e la centralità del Mediterraneo si sono sprecate. Eppure, ai molti proclami, tanto nella dimensione nazionale che europea, non è seguita una politica all’altezza della sfida che questa regione del mondo costituisce per i nostri destini. A questi, specie nel corso degli ultimi due lustri, si sono spesso alternate anche altre letture e analisi che consideravano la regione come ormai periferica nei nuovi equilibri mondiali, a favore di una “centralità esclusiva” dell’area indopacifica. I fatti, come sempre accade, si sono incaricati di smentire tale tesi e a riportarci, con un corollario di questioni financo drammatiche, a una realtà complessa con la quale siamo chiamati a confrontarci e che richiede una visione aggiornata alle questioni – a onore del vero tutt’altro che nuove – che segnano il tempo inquieto che viviamo. Ma per approcciare in modo serio il dossier Mediterraneo occorre innanzitutto definire con puntualità lo spazio geografico a cui intendiamo rivolgerci. Come sappiamo si è imposto negli ultimi anni, tanto tra gli studiosi quanto tra gli analisti, il concetto di “Mediterraneo allargato” che va oltre il tradizionale bacino mediterraneo e unisce in un unico insieme anche il Mar Nero, il Caucaso e l’Asia Centrale, il Mar Rosso, il Canale di Suez e il Golfo Persico.  È questo uno spazio che unisce in sé aree tra loro prossime, ma non per questo omogenee composto grossomodo da tre macro-aree: quella “euro-mediterranea” che, pur con tutte le difficoltà esistenti, si presenta come la più stabile, e quella “mediorientale” e “caucasico-caspico”, nelle quali, come ci ricorda quotidianamente la cronaca, ritroviamo le principali fonti di crisi. 

Ma per una visione necessariamente più completa delle dinamiche che investono il Mediterraneo allargato, è a mio avviso necessario ampliare ancora la sua definizione geopolitica, includendovi a pieno titolo tanto la regione balcanica che quell’area che da tempo chiamo “Mediterraneo profondo”, che comprende larga parte dell’Africa, in primis l’Africa sub-sahariana, da cui originano larga parte dei fenomeni – pensiamo al tema migratorio – che attanagliano le sponde Nord e Sud dell’incompiuto spazio euro-mediterraneo. Non è, quindi, un caso che la rinnovata azione italiana, sia a livello parlamentare che di governo, è assai attiva in queste due aree – balcanica e africana oggetto di un grande lavoro e di un grande sforzo politico-diplomatico che viene profuso con lo stesso impegno destinato al bacino mediterraneo e mediorientale. Per la sua particolare ed unica posizione geografica al centro del bacino, l’Italia è da sempre chiamata gioco-forza a svolgere una funzione di fulcro nell’area mediterranea. Un ruolo che risponde non solo ai nostri interessi nazionali – un concetto che nella visione e nell’azione internazionale di una personalità come Bettino Craxi trovò centralità già negli anni Ottanta dello scorso secolo – ma anche a quelli europei e occidentali. È un lavoro di sistema che è parte di quel Piano Mattei per l’Africa e il Mediterraneo, che avrebbe necessità di integrarsi con una iniziativa strategica dell’Unione Europea, e che vuole mettere a fattore politiche di cooperazione allo sviluppo e politiche di sicurezza, sostegni finanziari e aiuti umanitari, investimenti, attività di formazione, scambi accademici e commerciali, ecc… In sostanza, una serie di iniziative di partenariato economico-commerciale e culturale che si contraddistinguono per pragmatismo e per la volontà di avviare un processo di sviluppo condiviso, senza approcci caritatevoli né intenti predatori. L’Italia, come sanno bene i nostri interlocutori, non ha un’agenda nascosta, non è animata da mire egemoniche e non agisce in una logica di potenza.

Uno spazio mediterraneo stabile, pacifico, integrato, avrebbe una rilevanza economica per l’Italia e l’Europa straordinaria. È quello che, con Antonio Tajani, ricordiamo sempre ai nostri interlocutori e ai partner europei. Già oggi, in queste acque che costituiscono solo l’1 per cento dei mari mondiali, passa oltre il 15 per cento del traffico marittimo e il 20 per cento del suo valore, con un peso pari al 30-35 per cento per quanto concerne le rotte strategiche e per il trasporto di petrolio e fino al 65 per cento per i rifornimenti energetici e per le reti di telecomunicazione europee. Sono pertanto molteplici le linee di azione sulle quali possiamo e dobbiamo agire per rafforzare politiche e strategie di sviluppo condiviso. Integrare le economie del Mediterraneo nelle filiere globali, può aumentare l’attrattività per gli investimenti e le opportunità di crescita, dando risposta a recessioni e forti tassi di inflazione che arrivano a determinare anche fenomeni di insicurezza alimentare – ma non solo – e instabilità politica. Dobbiamo saper promuovere le collaborazioni fra imprese e un nuovo e diverso modello di cooperazione, che rispetti le peculiarità e le tradizioni dei diversi popoli, se vogliamo creare un valore aggiunto tanto in termini occupazionali che di crescita socio-economica con i Paesi partner. È proprio in questa area che una buona cooperazione allo sviluppo è indispensabile. Essa ha da sempre rappresentato un punto di forza della politica estera italiana, un’eredità positiva, come tante, della prima Repubblica, grazie alla quale siamo riusciti a coltivare legami fondamentali e a sostenere lo sviluppo di molte realtà. È, pertanto, uno sforzo che va implementato nelle risorse trovando il modo, compatibilmente alle esigenze di finanza pubblica, di raggiungere l’obiettivo OCSE di devolvere lo 0,7 per cento del Reddito Nazionale Lordo in Aiuto Pubblico allo Sviluppo. Certo, le politiche del rigore di questi anni, oltre a danneggiare la nostra crescita hanno danneggiato la nostra proiezione nell’area, non sostenendo al contempo la difesa dell’interesse europeo e italiano e le stesse politiche per sostenere lo sviluppo nelle realtà mediterranee di comune interesse. E spero che, la nuova Commissione europea, possa in tal senso segnare un punto di discontinuità. Quando al nostro Mezzogiorno, un protagonismo italiano nel Mediterraneo non può che essere una grande opportunità. Per storia, cultura e posizione geografica il nostro Sud resta il ponte del Vecchio Continente verso il Mediterraneo, una sorta di piattaforma logistica che può assolvere in maniera positiva alle ambizioni italiane e europee e all’esigenze dei popoli che guardano a noi.

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