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venerdì, Novembre 22, 2024
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Le querule sorelle querelanti vs Elly Schlein – Anatomia di una differenza

Galileo Violini ci parla della segretaria PD Elly Schlein, dal giorno in cui ha ricoperto il suo attuale ruolo, passando per accuse, scontri politici e maldicenze.

Galileo Violini

Elly Schlein diventa segretaria del PD. Accusata di essere pagata da Soros, risponde: “magari!”. Quanto all’implicito antisemitismo, si limita a spiegare perché non è ebrea, non senza rivendicare con orgoglio l’ebraismo del padre, e ad informare che il suo naso è etrusco. In quegli stessi giorni, vi fu una vignetta del Fatto quotidiano. Di dubbio gusto. Ricorda Der Stürmer e Difesa della razza. Non risulta che Elli Schlein abbia sporto querele. Né che lo abbia fatto quando un giornalista de Il Tempo rimase turbato per una multa inadeguata a Saviano. Solamente 1000 euro, per altro la stessa quantità di una a Gasparri in un caso analogo. Con rara finezza quel giornalista la ha sfidata a querelarlo, scrivendo: “Elly Schlein è una bastarda”. Lo stesso insulto di Saviano a Meloni e Salvini, ma Saviano non usò un categorico indicativo. Disse: “verrebbe da dire”. Meloni e Salvini sono diversi, non solo quando competono per le Europee. Meloni querelò. Salvini, con miglior comprensione delle sottigliezze del nostro idioma nazionale, apprezzò i limiti di quel condizionale e solo si costituì parte civile.

La vignetta piacque a uno specchiato giornalista di Libero. In Toscana il dissacrante è di casa. Vuoi per la sua origine fiorentina, vuoi memore delle sue prime esperienze giornalistiche, difese la “satira al curaro” del Novecento, quando “Più le vignette e le caricature erano cattive e paradossali, più la libertà d’espressione s’innalzava al cielo”. Unico limite, ma si era a marzo, e scire nefas quem fatum gli avrebbero dato gli dei, riconosceva quello insegnato da Angese con Il Male, le malattie.

Un mese dopo, contrordine. La libertà di espressione discese alla Terra. Il Fatto quotidiano aveva cambiato bersaglio. Una nuova vignetta irrideva una esternazione del secondo ministro italiano parente acquisito del primo ministro. Troppo stretto il limite di Angese. Necessari altri tabù per la satira. I parenti, soprattutto se lontani dalla politica. Nel caso specifico, affermazione dubbia per il passato, e avventata. Un prossimo futuro la avrebbe smentita. Esclusi anche i bambini. Chissà come gli venne in mente. Una polizza di assicurazione? In realtà a tutt’oggi non è stata necessaria.

Quattro mesi di meditazione e la sorella della Prima sorella d’Italia querela il vignettista. Ignota la ragione dell’attesa, che avrà certo sorpreso chi, nella Fraternity, ha considerato già sette settimane un periodo troppo lungo per presentare una denuncia.

Le querele delle sorelle continuano a fioccare. Ieri un’altra. È toccato a Luciano Canfora. Parlando della guerra in Ucraina, ha definito la presidente Meloni  “neonazista nell’animo”. Ai giudici l’ardua sentenza di dire, il 16 aprile, se neonazista “nell’animo” sia un’offesa o un giudizio politico, tutelato dalla Costituzione.

Il governo voluto dalla Nazione italiana, o meglio da un suo quarto, ha diverse anime al riguardo. Molti tra cui, evidentemente, la presidente del Consiglio, lo considerano offensivo. Per altri, riferendosi a categorie storiche del passato, essere nell’animo neonazisti sarebbe più o meno come dire di sentirsi ateniesi partigiani di Alcibiade. Improbabile, certo, che lo possa ritenere un insulto chi consideri simpatica goliardata travestirsi da nazista.

Attendiamo con trepidazione, non scevra di preoccupazione, il responso dei giudici. Se dovesse inverarsi l’ipotesi che si tratti di un insulto, è da temere un intasamento per i nostri tribunali, già tanto oberati di lavoro. Basta digitare Google “Azov neonazisti”. I risultati variano, secondo lo spelling, ma sono decine di migliaia. Se poi si digita Азовские неонацисты arrivano a 455000. Terrificante prospettiva, quella che i prodi combattenti del battaglione Azov decidano querelare chiunque abbia detto o scritto qualcosa del genere. E se poi l’ubriacatura di Roma madre del diritto, dovesse portare a definirlo un nuovo delitto universale, qualcuno forse riterrà le nostre corti competenti a giudicare Putin che l’epiteto neonazista lo affibbia con certa frequenza.

Ipotesi fantascientifiche. Certo. È però sicura l’onorevole presidente del Consiglio che sia elegante farsi rappresentare in giudizio da un sottosegretario alla Giustizia? e quando c’è chi lamenta la tendenza di vari, troppi, ministri ad interpretare di maniera estensiva le loro competenze? Uno di loro proprio quello della Giustizia che, negando l’estradizione del signor Reverberi, ha disatteso il parere della Cassazione, entrando irritualmente nel merito della questione. Un po’ di bon ton, suvvia, non guasterebbe.

Siamo abituati al piagnisteo che la magistratura usa una giustizia a orologeria per condizionare la nostra vita politica. Mentre il vicepresidente del Consiglio se ne lamenta per la Sardegna, è coerente che la presidente si rivolga ad essa per giudizi il cui oggetto è politico?.

Sarà comunque curioso, se il tribunale le darà ragione, vedere come la presidente del Consiglio saprà gestire quella che potrebbe rivelarsi una vittoria di Pirro. Non è facile graduare gli insulti. Ad occhio, bastardo, nella cultura italiana, è percepito più offensivo che neonazista; quindi, difficilmente potrà chiedere il risarcimento chiesto a Saviano. Perciò, se Canfora sarà condannato, quanto potrà ottenere in sede civile come risarcimento saranno spiccioli rispetto a un ben maggiore prezzo politico. Quanti voti le potrà costare dichiarare che neonazista è per lei un insulto? Dopo Acca Laurentia, saranno pur stati cani sciolti, ma c’è chi ha qualificato infamia e ipocrisia la debolezza con cui i vertici del partito hanno commentato l’accaduto. E, in Europa, potrà sostenere l’immagine rispettosa dei valori europei che va costruendo o cozzerebbe contro la sensibilità europea sulla libertà di opinione.

Ancora una volta si torna a commentare la sua allergia alle critiche. O forse è solo mal consigliata da spin doctors più attenti alla propaganda attiva che agli effetti negativi di decisioni sbagliate. La simpatia popolare è volatile. Lo si è visto con il Pandoro rosa. E per i politici, le querele sono armi pericolose. Una decina di anni fa, in Ecuador, il presidente Correa ottenne una condanna di 40 milioni di dollari al giornale El Universo. Fu confermata fino in Cassazione. Non gli giovò. Il caso terminò alla Corte Interamericana per i Diritti Umani e il danno di immagine per quello che fu visto come un attacco alla libertà di stampa non fu. attenuato, neanche perdonando il giornale.

Il tema della libertà di stampa, ai tempi del Governo Meloni, è all’ordine del giorno. Chissà che questa strana querela non contribuisca a scavare la fossa alla riforma costituzionale presentataci come un innocuo miglioramento della Costituzione del 1948.

Comunque, un confronto è d’obbligo.

Negli Stati Uniti, dove i politici non usano rifiutarsi di rispondere ai giornalisti, le accuse con termini offensivi non sono rare. L’ex presidente Trump ha definito delinquente il procuratore speciale Jack Smith. È stato retribuito con uguale moneta da un politologo dell’University of Virginia e, anni fa, delinquente gli aveva detto l’attore Richard Gere. In campo opposto, un altro procuratore speciale ha detto, sostanzialmente, che il presidente Biden è rimbambito, lo stesso che in termini più cortesi ha detto Nikki Haley di Trump.

Diversa sensibilità da un lato e l’altro dell’Atlantico? Parrebbe, ma anche diversa quella tra le due donne emergenti della politica italiana del XXI secolo.

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