La raccolta di firme avviata sulla piattaforma telematica Change.org formula un’ipotesi clamorosa: che l’Aeroporto internazionale di Lamezia Terme, cruciale e popoloso centro del Catanzarese, che fin dagli esordi s’è sempre chiamato così, venga intitolato a un grandissimo scrittore calabrese. Non catanzarese o della provincia di Catanzaro, però, ma reggino, anzi della Locride, anzi di San Luca: l’immenso Corrado Alvaro.
«Qualcuno è padrone di noi. Non materialmente, ma moralmente. Ha invaso i nostri sogni, i nostri pensieri, i nostri propositi e la nostra volontà…», scriveva nel 1938 Corrado Alvaro (L’uomo è forte). Chissà cosa e chi s’è impadronito dei calabresi da diversi decenni in qua… Probabilmente un virus sciovinista, foriero di mille micro guerre di campanile; anche con ragioni significative alle spalle, se si guarda ad esempio alla Rivolta di Reggio, all’opinabile attribuzione del capoluogo calabrese a Catanzaro, allo scempio del ‘pacchetto Colombo. Meno, se si guarda al morbo dell’autoeliminazione dal tableau in cui si decide del proprio futuro, di un’ignavia autodistruttiva che oscilla fra il record di neet e percettori di Reddito di cittadinanza e l’enorme astensionismo ad ogni competizione elettorale, anche se poi lo sport della raccomandazione politica continua a essere molto gettonato, per esempio sul fronte del lavoro.
In questa chiave, è sicuramente di grande proiezione la petizione online promossa dal giovane docente universitario de “La Sapienza” di Roma, ma dalle solide radici calabresi Gianluca Passarelli – di cui molto s’è parlato nei mesi scorsi quale possibile candidato alle Politiche per il Pd appunto in Calabria, scenario poi non verificatosi – e dal giornalista cosentino Paride Leporace, già direttore di Quotidiano della Calabria, Calabria Ora e Quotidiano della Basilicata, per 8 anni alla guida della Lucana Film Commission, cantore di una ‘certa’ Cosenza, dai fasti di Radio Ciroma al suo recente Cosangeles.
La raccolta di firme avviata sulla piattaforma telematica Change.org formula un’ipotesi clamorosa: che l’Aeroporto internazionale di Lamezia Terme, cruciale e popoloso centro del Catanzarese, che fin dagli esordi s’è sempre chiamato così, venga intitolato a un grandissimo scrittore calabrese. Non catanzarese o della provincia di Catanzaro, però, ma reggino, anzi della Locride, anzi di San Luca: l’immenso Corrado Alvaro, appunto.
Citando Marc Augé, evidenziano Leporace e Passarelli che «gli aeroporti, come le stazioni dei treni, sono spesso “non-luoghi”, dove lo spaesamento individuale è accentuato. In assenza di riferimenti storico-sociali-culturali definiti, identificati, riconosciuti e riconoscibili, l’a-spazialità accentua processi di depauperamento civico e sociale. L’àtopon, un luogo di ciò che è senza luogo, diventi toponimo di una comunità spaesata, ma che cerca riferimenti collettivi. Non si tratta di mera metonimia, di maquillage, di marketing dei luoghi. Viceversa, l’intento è proprio sottrarre al vuoto dei codici, delle etichette campaniliste o delle sigle fantasiose, quanto dovrebbe richiamare immediatamente, ossia senza intermediazioni e subito, il senso di appartenenza e la comune identità. Da rivendicare con orgoglio, senza chauvinismo, tanto più essa sia capace di “viaggiare nello spazio e nel tempo”».
Stralcio opportuno da un’argomentazione che fa presa; e in effetti sùbito sposata, tra gli altri, dall’ex segretario regionale del Pd e oggi leader calabrese di Italia Viva oltre che sindaco di Diamante, nel Cosentino, Ernesto Magorno, alla faccia della filosofia-dello-stai-sereno, dell’apologia delle ‘Calabrie’ tra loro poco compatibili, dei veti reciproci reiterati senza fine come frattali.
Una motivazione convincente per ciò che vi viene esplicitato. Ma soprattutto, ce lo consentiranno i due promotori, per ciò che non viene detto.
Abbiamo avuto modo di sottolinearlo in queste ore: attraverso un’intitolazione dell’hub aeroportuale regionale con robuste radici locali, ma scevre da scialbi campanilismi, attribuendo allo scalo sito in provincia di Catanzaro il nome di uno scrittore del territorio metropolitano di Reggio Calabria che, per inciso, è comunque lo scrittore calabrese più letto e conosciuto, dentro e fuori dai confini nazionali – finirebbe in qualche modo per realizzarsi, a oltre mezzo secolo dai Fatti di Reggio, l’esatta antitesi delle questioni divisive, tutt’altro che campate in aria, che portarono alla «rivolta urbana più lunga d’Europa». Non una polarizzazione, una divisione più o meno legittima, più o meno di campanile, ma una storica fusione: per un verso tra le comunità e le identità di Reggio Calabria e Catanzaro, per altro verso dell’intera ontologia calabra all’insegna della Cultura, che ne costituisce poi il Dna più autentico e remoto.
Del resto, della Calabria, Corrado Alvaro è un grandissimo interprete (a partire dalla considerazione, talmente veritiera da apparire oggi un quoting scontatissimo, che «i calabresi vogliono essere parlati») e virtuale landmark culturale, una sorta di Parco letterario che comprende due milioni di residenti e decine di milioni di calabresi ‘della diaspora’. Mentre d’altro canto le comunità del Reggino e del Catanzarese, per ragioni storiche, appaiono a tutt’oggi bisognevoli di riconciliazione e sinergie perenni. Per non parlare di quanto bene farebbe a una ‘certa’ Locride – San Luca, è chiaro; ma per motivi autoevidenti possiamo pensare anche a Platì o ad Africo – l’idea che proprio il nome di un Grande di San Luca divenga il ‘biglietto da visita’ della Calabria per il mondo.
Peraltro, la petizione si arricchisce di una citazione preziosa dai racconti alvariani di Un treno nel Sud: «Ci trovavamo sul marciapiedi della stazione d’una linea secondaria, in attesa del treno, cioè dell’elettro treno, come si chiama. C’era qualche studente che tornava a casa dall’esame sbrigato presto, un prete, giovani professionisti, avvocati attempati e vecchi notai che andavano alle loro visite settimanali della clientela di provincia, qualche coppia di sposi, di cui una vestita di nero, la donna stretta in una guaina che faceva risaltare la pelle d’un bianco di camelia».
Alle 15,30 di venerdì 28 ottobre, già 386 cyber-lettori hanno aderito alla raccolta di firme online. Tra loro temiamo non ci sia il dinamico neosindaco di Catanzaro, docente universitario e scrittore a sua volta Nicola Fiorita…
Già, perché la questione dell’intitolazione dell’aeroporto lametino ‘comunque’ non nasce adesso e non nasce con la prestigiosa proposta di fargli portare il nome di Corrado Alvaro, ossia di uno scrittore, giornalista, intellettuale che non è un vanto per i reggini, ma per tutti gli italiani.
Nei mesi scorsi, anzi, proprio l’idea dell’intitolazione dello scalo di Lamezia Terme ha alimentato un dissing – direbbero i giovani cultori del rap – di proporzioni mastodontiche. Fiorita ha tirato fuori dal cappello l’idea che sia molto opportuno e intelligente lasciare l’intitolazione dell’hub aeroportuale calabrese nella poco felice ‘gabbia’ territoriale inflittagli fin qui, estendendola però al capoluogo di regione e declinandola dunque in aeroporto Lamezia-Catanzaro.
Inutile dire che in tanti – specialmente a Lamezia Terme, appunto: negarlo sarebbe sbagliato, sempre meglio attenersi ai fatti – hanno stroncato sul nascere quella ritenuta una «proposta incomprensibile», «propagandistica». Uno «scivolone» imperniato su «rigurgiti municipalistici» o, se preferite, un’ida intrisa di «un provincialismo fatto di pennacchi e demagogia». Persino il presidente del Consiglio regionale Filippo Mancuso aveva colto l’occasione di sottolineare come i problemi dello scalo (si spera bene che i calabresi non abbiano già dimenticato lo sfracello del ‘caso Sacal’) «non siano di tipo nominalistico, ma riguardino criticità concrete, che possono essere risolte puntando al suo ampliamento strutturale e funzionale» (detta alla Nereo Rocco: “Quando non sai che fare, butta il pallone in calcio d’angolo”).
Altri hanno acciuffato al volo l’infelice uscita del primo cittadino della città dei Tre Colli per mutuarne «una nuova veste dell’
Area vasta tra il Tirreno e lo Jonio, sotto forma di asse provinciale Catanzaro-Lamezia Terme» o addirittura chiedere ‘in cambio (sic!) che anche l’Azienda sanitaria provinciale (sic!!!) «si chiami Catanzaro-Lamezia e non soltanto di Asp Catanzaro».
Caro Augé, quanto ti eri sbagliato… I non-luoghi, a volte, anziché generare fervidi spunti verso il bene comune generano insidiosi ozi cerebrali…
E invece no. Se tantissimi aeroporti del nostro Paese, le cui materie prime si chiamano “giacimenti culturali”, sono intitolati a grandi figure e intellettuali del passato spesso remoto; se l’aeroporto più importante d’Italia si trova a Roma ma è intitolato a un genio fiorentino (Leonardo “da Vinci”, appunto, piccolo centro in provincia di Firenze), se l’aeroporto di Brescia porta il nome di un mirabolante scrittore di Pescara (Gabriele D’Annunzio, lo stesso che avrebbe appellato il Lungomare reggino “il più bel chilometro d’Italia”)… perché mai il più grande scrittore calabrese, Corrado Alvaro, potrebbe non andar bene per il maggior aeroporto della Calabria?
L’unica spiegazione che ci sovviene è il monito lanciato direttamente da lui, dallo struggente Corrado Alvaro di Quasi una vita: «L’uomo è il prodotto dei suoi errori.
Mario Meliadò