Il 4 marzo scorso sono stata invitata, a Polistena, ad un convegno in memoria del professore Giuseppe Rechichi, vittima innocente della criminalità organizzata, ucciso durante lo svolgimento del suo servizio di Vicepreside, presso l’Istituto Magistrale di Polistena. Mi sono subito incuriosita e ho cercato notizie su quest’uomo e, grazie alla testimonianza della figlia Annarita, è stato possibile ricostruire la figura di un padre amorevole e di un professore lungimirante rispettato da tutti.
Giuseppe Rechichi nasce a Delianuova, il 5 agosto del 1939. A scuola si appassiona soprattutto alle materie scientifiche, per questo si iscrive dapprima al Liceo scientifico “Leonardo Da Vinci” di Reggio Calabria e poi, una volta conseguito il diploma, alla Facoltà di chimica dell’Università degli Studi di Messina, dove consegue la laurea il 2 marzo del 1966. In questo stesso anno inizia la sua carriera nella scuola con il primo incarico all’Istituto tecnico di Siderno, poi a Palmi, a Cittanova e Taurianova. Da un istituto a un altro, quindi, inseguendo il suo profondo amore e passione per l’insegnamento e l’educazione dei giovani.
Intanto, il 15 dicembre di quello stesso 1966, sposa Pasqualina Aurora Costanzo. Un matrimonio che porta alla nascita di tre figli: Mariacarmela, Annarita e Antonino. Dopo i primi anni di insegnamento in giro per la Piana, il primo ottobre 1974 porta Giuseppe a quella che sarebbe stata la sua destinazione definitiva. Proprio in quei giorni, infatti, l’Istituto Magistrale di Polistena era riuscito ad ottenere l’autonomia, sganciandosi dalle funzioni di sezione distaccata del “D’Annunzio” di Reggio Calabria. Giuseppe ottiene, così, l’incarico di titolare della cattedra di matematica e fisica.
Il suo impegno nell’ambiente scolastico è stato da sempre intenso. Aveva un carattere cordiale, capace di leggere le preoccupazioni dei giovani e quelle dei colleghi, sempre disponibile ad ascoltare, a comprendere, ad aiutare. Per lui, la scuola doveva diventare una comunità in cammino, fatta di relazioni sane e sincere, all’interno e all’esterno dell’istituto.
Grazie alla sua passione dimostrata verso il suo lavoro, già nell’anno scolastico 1976/1977, è chiamato a collaborare direttamente con il preside, diventandone vicario. Giuseppe sente forte il peso di questa responsabilità, che esercita con serietà, diventando un punto di riferimento per l’intera comunità scolastica.
La mattina del 4 marzo 1987, arriva a scuola con largo anticipo. Tocca a lui, infatti, organizzare la giornata scolastica, verificare le presenze, predisporre le eventuali sostituzioni per le classi scoperte. Alla scuola, da poco trasferitasi nella nuova sede di via Lombardi, manca la linea telefonica. Così, per telefonare ad un collega e chiedergli di anticipare il suo arrivo a scuola, Giuseppe deve uscire e raggiungere un locale a pochi metri dalla scuola, nei pressi dell’Ufficio Postale. Chiusa la telefonata, il vicepreside sta rientrando a scuola, erano le 8.10. Improvvisamente, si sentono alcuni colpi di arma da fuoco. Qualcuno vede un giovane col volto coperto da un casco sfrecciare a bordo di una moto. Si tratta di un’azione fulminea, il cui obiettivo era il direttore della Banca Popolare di Polistena, Vincenzo Luddeni, anch’egli tranquillamente diretto in ufficio. Luddeni però esce illeso da quell’agguato, seguito da diversi altri atti intimidatori di cui era stato fatto oggetto. Più lontano, a circa 150 metri di distanza, a terra cade il corpo senza vita di Giuseppe Rechichi, una pallottola lo aveva ucciso sul colpo. Aveva solo 47 anni.
Intervista Annarita Rechichi
Qual è l’ultimo ricordo che ha di suo padre?
Esattamente quella funesta mattina, prima di uscire per andare a scuola, mio papà venne a svegliarmi con un sorriso e un bacio, come faceva sempre per augurarmi una buona giornata scolastica e ricordarmi di svolgere bene il mio dovere di studentessa.
Che impatto ha avuto su voi figli perdere un padre così all’improvviso e in modo così tragico?
La tragica morte di papà ha completamente sconvolto le nostre giovani vite. Siamo stati catapultati in una realtà che non era la nostra, in un tempo che non era il nostro. Ha lasciato un vuoto incolmabile, una ferita che non si rimargina neanche a distanza di anni e di cui ci portiamo dietro ancora il segno. Perdere un padre per colpa di mano altrui è duro da accettare, è stato destabilizzante per noi e per l’intera comunità scolastica.
Quali sono gli insegnamenti di suo padre che ha portato avanti?
In assoluto vivere in modo autentico e con umiltà, impegnarsi civilmente conservando quella capacità di dialogo e il rispetto che tanto lo distinguevano. Nella nostra vita abbiamo cercato di portare avanti quei valori in cui e per cui papà si è speso: la solidarietà, l’amore per il prossimo e il senso di amicizia.
Dalle testimonianze dei suoi ex studenti, secondo lei, che professore è stato?
È stato descritto dai suoi alunni come il “Professore con il sorriso”. Il Professore dalla battuta facile, cordiale e fraterno, il Professore che, guardandoti negli occhi, ti leggeva le ansie, le incertezze che poi sapeva colmare col suo ineffabile sorriso. Per i suoi alunni è stato più di un professore, era un punto di riferimento non solo scolastico, ma nella vita di tutti i giorni, un confidente ed una guida presente e discreta. A distanza di tanti anni riceviamo ancora testimonianze di affetto e gratitudine. Sapere che papà ha lasciato un così grande patrimonio umano ci colma di gioia ed è per noi fonte di consolazione.
C’è qualcosa che voleva cambiare della scuola?
Innovativo nel modo di fare scuola a 360°, papà aveva una visione aperta e lungimirante. Ci teneva che si garantisse il diritto allo studio a tutti, che la scuola fosse capace di preparare alla vita e trampolino di lancio per ognuno dei suoi allievi.
Invece, che padre è stato per il poco tempo che ha potuto farlo?
È stato un padre amorevole, sempre presente nella nostra vita per ogni attività che eravamo chiamati a svolgere, insegnandoci a farlo con serietà e impegno. Era buono, dolce e paziente e riversava su di noi un amore infinito. Con lui ci sentivamo protetti, ma non soffocati, pronto al dialogo e al confronto costruttivo.
In che modo, come famiglia, tenete vivo il suo ricordo?
Ancora oggi come famiglia ci impegniamo a portare avanti i suoi ideali di civiltà, giustizia, onestà e lotta verso ogni forma di sopraffazione e violenza. Ogni anno, nella settimana del 4 marzo, in occasione della commemorazione della sua morte, insieme all’ “Associazione Culturale Antimafia Giuseppe Rechichi” organizziamo momenti di formazione e riflessione su tematiche di attualità e cittadinanza attiva. Viene proposto agli studenti delle superiori del comprensorio un concorso a tema che termina con la consegna di Premi di studio. In particolare agli alunni del Liceo Statale “G. Rechichi” che si sono dimostrati più meritevoli nel corso dell’anno scolastico precedente vengono assegnate alcune Borse di studio. Quindici anni fa, ad Oppido Mamertina, nacque l’Orchestra giovanile di fiati “G. Rechichi” che mantiene vivo il ricordo di papà anche attraverso la musica. A Modena, dove viviamo adesso, non mancano occasioni che ci vedono protagoniste con testimonianze nelle scuole e nei gruppi associativi, come gruppi parrocchiali e scout.
Se potesse vedere suo padre per un solo minuto cosa vorrebbe dirgli?
Vorrei abbracciarlo e dirgli “Ti voglio bene. Mi manchi così tanto da togliere il respiro”.
La tragica storia di questo professore mi ha commosso molto, immagino il vuoto che una perdita così improvvisa abbia lascito nella famiglia e nell’ambiente scolastico. Ma i valori che ha manifestato e la passione che ha trasmesso nel suo lavoro sono ancora vivi e, sono loro, a renderlo immortale.