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La storia: Primo Maxi antimafia alla sbarra la cosca Ruga

In Calabria, il procedimento “Ruga+78”, per il quale si pronunciò il Tribunale di Locri il primo marzo 1985, costituì una delle prime applicazioni dell’articolo  416 bis. In questo processo, uomini di ‘ndrangheta avevano scelto di collaborare fornendo particolari importantissimi, ai fini di comporre processualmente un’associazione per delinquere di stampo mafioso, dedita ai sequestri di persona ed altro, che operava tra Monasterace e Reggio Calabria

 di Cosimo Sframeli

In Calabria, il procedimento “Ruga+78”, per il quale si pronunciò il Tribunale di Locri il primo marzo 1985, costituì una delle prime applicazioni dell’articolo 416 bis c.p. (la fase istruttoria del processo era iniziata qualche mese dopo l’entrata in vigore della nuova norma). Il Collegio giudicante era formato dai giudici Francesco Frammartino (Presidente), Rosalia Gaeta e Salvatore Rizza, con Ezio Arcadi, Pubblico Ministero. In questo processo, uomini di ‘ndrangheta avevano scelto di collaborare fornendo particolari importantissimi, ai fini di comporre processualmente un’associazione per delinquere di stampo mafioso, dedita ai sequestri di persona ed altro, che operava tra Monasterace e Reggio Calabria. In Aspromonte venivano condotti i sequestrati e incassati i riscatti in perfetto collegamento con persone che operavano nel nord dell’Italia. Come avvenne per Giuseppe Scriva, il Tribunale fu attento a suffragare ogni dichiarazione, ogni singola indicazione degli “Associati” che avevano scelto di collaborare, disponendo già di elementi probatori autonomi. I “Collaboratori di giustizia” (1), questa volta, erano Franco Brunero (2), Rocco Pipicella, Francesco Strangio (per il solo sequestro nella persona di Tullio Fattorusso). Era comprovato che questi facessero già parte di un’associazione mafiosa, ed era emerso che due sequestrati (Bartolotti e Gellini), rapiti al Nord Italia e trasferiti in Aspromonte, furono “Gestiti” dalla stessa cosca. Il telefonista aveva usato la medesima “Parola d’ordine” di riconoscimento inentrambi i rapimenti: “Gatto” e i soggetti coinvolti nelle indagini erano le persone già sospettate di pesanti indizi a loro carico. Un’importante e fortunata conferma alle rivelazioni di Brunero fu il rinvenimento, durante una perquisizione nella tasca di una giacca di Vincenzo Ruga, di una nota contenente nomi e cifre riferita alla spartizione di denaro proveniente dai sequestri di persona, nella misura di 50,100 e 200 milioni per ciascuno. Il Tribunale, al termine del giudizio, ebbe modo di rilevare che la partecipazione a un’associazione per delinquere doveva costituire “Adesione a un generico e indeterminato programma criminoso, che prescinde dalla consumazione dei singoli reati, checostituiscono il fine cui genericamente tende l’associazione”,reato già perfezionato per effetto del raggiunto accordo criminoso, prima e senza necessità che venisse consumato alcuno deireati fine.Più complesso era certamente affrontare la natura dell’articolo 416 bis c.p. introdotto poco prima dell’inizio del procedimento e del suo collegamento con la fattispecie prevista dallo stesso articolo 416 del c.p. La prima ipotesi penale integrava anch’essa un reato di pericolo, costituito dal particolare vincolo associativo che legava almeno tre persone, ma richiedeva altresì che gli associati si avvalessero, nella realizzazione del loro programma, della forza di intimidazione e della condizione di assoggettamento e di omertà che derivavano dal vincolo associativo: l’articolo 416 bis eranato per occuparsi, anzitutto, di quelle associazioni rientranti nel più vasto fenomeno, quello della mafia, nel quale gli elementi predetti costituivano le caratteristiche strutturali. La cornice dei reati di associazione semplice e di associazione di stampo mafioso era la stessa: l’articolo 416 c.p. richiedeva una stabile associazione costituita da tre o più persone e la nuova fattispecie dell’articolo 416 bis non intendeva colpire la mafia come tale, fenomeno troppo vasto e complesso, che sarebbe sfuggito a qualsiasi tentativo di tipizzazione e di concreta individuazione, ma perseguire più efficacemente e punire più severamente le associazioni di tipo mafioso. L’assoluta innovazione consisteva nell’aver introdotto, mediante la previsione del delitto di associazione per delinquere di tipo mafioso, un ampliamento della fattispecie, in particolare rispetto a quelle associazioni che non avevano come loro unico fine la consumazione di delitti, ma che tendevano, altresì, ad accaparrarsi fiorenti attività economiche,così come, in precedenza, avveniva soltanto per particolari ipotesi di estorsione (rientranti, a volte e con difficoltà, nell’articolo 629c.p.). L’imprenditorialità, propria della ‘ndrangheta, sbaragliava la concorrenza nell’accaparramento di attività economiche e appalti, sfruttando il clima di paura già instaurato, senza necessità di ulteriori condotte intimidatorie. Fu possibile colpire efficacemente le pericolose commistioni delle attività delittuose con le attività lecite, dietro le quali si nascondevano le associazioni mafiose e attraverso le quali potevano essere comodamente riciclati i proventi dei reati consumati. Questo sistema consentiva di prevalere sugli altri imprenditori, che non poterono contare su capitali illeciti o sulla forza intimidatrice né sul conseguente clima di omertà, permettendo alle associazioni mafiose di vincere qualsiasi forma di resistenza o concorrenziale. Il primo processo si concluse, in primo grado, al termine di una lunga e complessa fase dibattimentale, con la condanna degli imputati principali e con la sostanziale conferma dei gravami.

 

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