Angela Maria Aieta è stata una donna di incredibile coraggio, che merita di essere conosciuta. Considerata una martire della libertà argentina, era di origine calabrese. Ha sempre camminato a testa alta, insegnando che nessun dolore fisico può spegnere la fiamma della giustizia.
Ci sono storie e storie, poi ci sono quelle che una volta lette ti rimangano dentro per tutta la vita. Questo è il caso di Angela Maria Aieta, donna di incredibile coraggio, che merita di essere conosciuta. Nata a Fuscaldo (C.S.) il 7 marzo 1920, giovanissima emigrò con la famiglia in Argentina, in cerca di un futuro migliore e in pieno periodo fascista. Nessuno avrebbe mai immaginato, che avrebbe incontrato una nuova dittatura a causa della quale avrebbe perso la vita. Si sposa con un compaesano, il sarto Umberto Gullo e mette al mondo quattro figli. Conduce una vita tranquilla fino a quando uno dei suoi figli, Dante, diventa attivista della “Gioventù Peronista”, proprio per questo nel 1975 sarà arrestato. A quel punto fa di tutto per andare a trovare suo figlio, denuncia la situazione a cui erano sottoposti i prigionieri politici, aiuta gli amici del figlio che cercavano rifugio da una morte certa. Da questo gruppo di parenti, dei prigionieri politici, nascerà l’organismo “Familiares”, con l’obiettivo di lottare contro la dittatura militare. Lei si batte per ottenere la liberazione del figlio, ma il suo amore materno le costerà caro. Il 5 agosto 1976, all’età di 56 anni, sarà prelevata dalla sua casa, da un comando di 15 militari e portata all’Esma, scuola di formazione ufficiali della marina argentina, ma diventato un centro di detenzione e di tortura, da dove non farà più ritorno dai suoi cari. Dalle testimonianze dei pochi sopravvissuti, è stato possibile ricostruire il modo in cui ha vissuto quei mesi: torturata, picchiata, con la pistola puntata alla tempia o in bocca, con un medico pronto a dire ai carcerieri quando potevano riprendere con la picana elettrica sul lettino di ferro. Tutto il giorno, le prigioniere, stavano sdraiate a terra, incappucciate e bendate, prese a calci se parlavano tra di loro, incatenate ai piedi e ammanettate anche quando dovevano mangiare. Ma non è finita qui, perché tutte le giovani donne venivano stuprate più volte, anche da più militari contemporaneamente. I carcerieri si divertivano a realizzare varie torture, come ustioni tramite sigarette, la rottura di alcune ossa, il ferimento ai piedi con oggetti appuntiti, immersione col viso in escrementi fino al soffocamento. Lo scopo era di uccidere prima del corpo, la loro anima. Quando Angela, ritornava stravolta, dopo le torture, riusciva a dare parole di conforto alle sue compagne di sventura: “Coraggio, siamo ancora vive”. La loro morte avveniva tramite fucilazione, oppure caricati su un aeroplano e gettati vivi nell’oceano. Dall’Esma sono passate più di 5000 persone, ma solo 500 ne sono uscite vive, di queste il 90% sono scomparsi: i desaparecido. Nei primi giorni di ottobre del 1976, toccò anche ad Angela andare incontro alla morte, per lei fu scelto il volo della morte. Caricata sull’aereo, fu gettata nell’oceano in pasto agli squali, attirati dai tagli sul suo corpo, provocate appositamente. Così la madre coraggio finì risucchiata tra le acque dell’oceano Atlantico, senza conoscere esattamente la data della sua morte. Stessa fine toccò al figlio Salvatore: fuggito a Fuscaldo, per evitare il pericolo, compì il terribile errore di ritornare in Argentina, fu rapito per strada e mai più ritrovato. Invece Dante riuscì a sopravvivere, negli anni ’80 entrò a far parte di una delle principali organizzazioni di tutela dei diritti umani, diventando in seguito deputato, del Fronte Vittoria, nel Parlamento argentino. La storia di Angela e di tutti i desaparecido si incrocia con quella di Ernesto Sabato, scrittore e politico argentino. Figlio di fuscaldesi, appena uscito di scena il regime, nel 1983, fu Promotore e Presidente della “Conedep”, la Commissione Nazionale per la scomparsa della persone, istituita dal primo Presidente post-dittaura Alfonsin e che rappresentò la pietra militare per il processo della giunta militare argentina. Processo che portò alla condanna all’ergastolo, in particolare, di Alfredo Astiz, ideatore dei voli della morte e della più atroci torture, soprannominato “L’angelo della morte”.
A questa donna è stata dedicata una piazzetta a Buenos Aires; mentre il Comune di Fuscaldo le ha intitolato la scuola elementare del paese.
Dona Maria, come veniva chiamata in Argentina, ha perso la vita, ma non la dignità, camminando sempre a testa alta insegnando, a quegli uomini senza onore, che nessun dolore fisico può spegnere la fiamma della giustizia.