Il disegno di legge costituzionale n. 1917 presentato alla Camera dei Deputati il 13 giugno 2024 recante “norme in materia di ordinamento giurisdizionale e istituzione della Corte disciplinare” propone una riforma costituzionale che si concentra su tre aspetti fondamentali, in particolare sulla separazione delle carriere dei magistrati.
Ranieri Miniati (già Procuratore Aggiunto presso la Procura della Repubblica di Genova)
- la separazione delle carriere dei magistrati, con conseguente creazione di un doppio Consiglio Superiore della Magistratura, l’uno per la magistratura giudicante e l’altro per la magistratura requirente.
- la riforma del sistema elettorale dei due C.S.M.
- l’istituzione dell’Alta Corte disciplinare
Secondo la Relazione illustrativa la riforma costituzionale trae origine dal riconoscimento dei principi del giusto processo nel novellato articolo 111 della Costituzione, dall’evoluzione del sistema processuale penale italiano verso il modello accusatorio e da obiettivi di miglioramento della qualità della giurisdizione. La proposta di legge secondo il Governo si muove quindi sul solco di una naturale evoluzione del sistema. Per quello che concerne in particolare la separazione delle carriere, di cui il doppio Consiglio Superiore di Magistratura non è che un corollario, la modifica sarebbe collegata alla riscrittura dell’articolo 111 della Costituzione avvenuta nel 1999, e all’affermazione del modello accusatorio nel processo penale. Occorre tuttavia osservare che la Corte Costituzionale più volte si è pronunciata sul significato da attribuire ai principi contenuti nel nuovo testo dell’articolo 111 della Costituzione e l’analisi della giurisprudenza della Corte non consente affatto di ritenere che il principio della parità delle parti nel processo comporti la separazione delle carriere dei magistrati.
La Corte nella sentenza n. 34 del 2020 ha infatti precisato che il nuovo testo dell’articolo 111 nello stabilire che “ogni processo si svolge nel contraddittorio delle parti in condizioni di parità” ha dato veste autonoma ad un principio che era già insito nel precedente sistema dei valori costituzionali e ha ricordato che secondo la sua costante giurisprudenza, il principio di parità tra accusa e difesa non comporta l’identità tra i poteri processuali del Pubblico Ministero e quelli dell’imputato, essendo la disparità giustificata sia dalla posizione istituzionale del Pubblico Ministero, sia dalle funzioni allo stesso affidate. La Corte conclude ricordando che il processo penale è caratterizzato da “una asimmetria strutturale tra i due antagonisti principali” giustificata dai differenti interessi di cui le parti sono portatrici, “essendo l’una un organo pubblico che agisce nell’esercizio di un potere e a tutela di interessi collettivi e l’altro un soggetto privato che difende i suoi diritti fondamentali”. La separazione delle carriere dei magistrati non è certamente una logica conseguenza della riforma costituzionale del 1999 e del modello processuale penale di stampo accusatorio. L’attuale assetto costituzionale con l’articolo 104 sancisce l’autonomia e l’indipendenza della magistratura da ogni altro potere mentre il successivo articolo 107 estende al Pubblico Ministero le garanzie previste per i Giudici dall’ordinamento giudiziario, prima fra tutte l’inamovibilità.
L’articolo 109 prevede che l’Autorità giudiziaria disponga direttamente della Polizia Giudiziaria mentre l’articolo 112 afferma che il Pubblico Ministero ha l’obbligo di esercitare l’azione panale. La Costituzione nello stabilire che “le nomine dei magistrati hanno luogo per concorso” (articolo 106) fonda la legittimazione dell’ordine giudiziario sulla competenza tecnica in materia giuridica derivante dal superamento del concorso. In altri termini quindi il potere dei Giudici, secondo i Costituenti, trova il suo fondamento nella conoscenza della legge, cui infatti tutti i Giudici sono soggetti. La fonte della legittimazione del potere giudiziario è quindi la conoscenza ed il rispetto della legge, in altre parole la cultura della legalità, che ne giustifica l’autonomia e l’indipendenza da ogni altro potere (articolo 104); e ancora, la Costituzione vuole che i magistrati siano sottoposti “soltanto” alla legge secondo l’articolo 102, sottolineandone e ribadendone così l’autonomia. Il tratto essenziale del disegno di legge di riforma costituzionale consiste nella scelta di creare all’interno dell’ordine giudiziario due “sottosistemi” caratterizzati da una totale e reciproca autonomia non tanto e non solo perché la scelta tra funzione requirente e giudicante operata all’inizio della carriera diventerebbe irreversibile ma perché ogni decisione relativa ai due percorsi professionali sarà affidata a organi di governo separati e diversamente composti.
La riforma avrebbe ricadute negative sull’autonomia e sull’indipendenza del Pubblico Ministero con il rischio di un progressivo scivolamento della magistratura requirente nell’orbita dell’esecutivo. Sul punto si potrebbe obiettare che secondo la proposta di riforma il primo comma dell’articolo 104, così come novellato, prevederebbe che “la magistratura costituisce un ordine autonomo ed indipendente da ogni altro potere ed è composto dai magistrati della carriera giudicante e della carriera requirente”; la riforma quindi garantirebbe comunque i principi dell’autonomia e dell’indipendenza della magistratura nel suo complesso, tanto che nella Relazione illustrativa del disegno di legge costituzionale è affermato che “la separazione delle carriere non intende in alcun modo attrarre la magistratura requirente nella sfera di controllo (…) di altri poteri dello Stato”. Ma la comune appartenenza alla magistratura non è in sé sufficiente a garantire l’esigenza di tutela dell’indipendenza e dell’autonomia della Pubblica Accusa come conferma l’esperienza precostituzionale, nel corso della quale le norme dell’ordinamento giudiziario, contenute nel Regio Decreto n. 12 del 1941, riconducevano il Pubblico Ministero all’interno dell’ordine giudiziario ma lo inquadravano in un modello organizzativo fortemente gerarchizzato e lo ponevano sotto la direzione del Ministro di Grazia e Giustizia.
In realtà è forte il rischio che nella dinamica ordinamentale, come ha osservato il Consiglio Superiore della Magistratura nel parere dell’8 gennaio 2025, si possa determinare un affievolimento dell’indipendenza del Pubblico Ministero rispetto agli altri poteri dello Stato. Infatti lo sdoppiamento del potere giudiziario in due distinti sottordini determinerebbe una novità nell’assetto costituzionale e darebbe vita ad un potere inquisitorio scisso dalla tipica funzione giudiziaria di tutela dei diritti mediante lo “ius dicere” e non sussumibile nell’alveo della responsabilità e del controllo di nessuno dei tre poteri. Sino ad oggi l’unicità dell’ordinamento è stata idonea a contrastare nella magistratura controspinte autoreferenziali ma la previsione di un potere separato potrebbe assumere profili molto critici.
Invero la separazione delle carriere e la contestuale istituzione di un autonomo organo di autogoverno composto esclusivamente da magistrati requirenti porterebbe di fatto alla creazione di un corpo, appunto separato, di funzionari pubblici numericamente ridotto ed altamente specializzato, cui sarebbero demandate le funzioni di esercitare l’azione penale e di dirigere la polizia giudiziaria; un corpo essenzialmente autoreferenziale in quanto sottratto a qualsiasi forma di confronto e di controllo con la magistratura giudicante; un secondo ed autonomo potere giudiziario indipendente da ogni altro potere dello Stato; secondo Alessandro Pizzorusso “il potere dello Stato più forte che si sia mai avuto in alcun ordinamento costituzionale dell’epoca contemporanea”.
Separare il Pubblico Ministero dal Giudice significa creare un ufficio isolato, necessariamente destinato ad allontanarsi progressivamente dalla giurisdizione sempre più autoreferenziale e sempre più lontano dalla cultura della legalità e quindi dall’unica fonte di legittimazione del suo potere. Un tale potere o ritorna nell’alveo dell’unico potere giudiziario ovvero sarà ineluttabile che di esso assuma il controllo il potere esecutivo con evidente lesione del principio di indipendenza del potere giudiziario che deve concretizzarsi non solo nell’indipendenza del Giudice ma anche in quella del Pubblico Ministero nella prospettiva della tutela dei diritti. Ma la separazione delle carriere nuocerà anche ai cittadini che vedranno diminuire le loro garanzie a fronte della pretesa penale dello Stato. Il vigente codice di procedura penale infatti nella fase delle indagini preliminari affida al Pubblico Ministero non soltanto attività inquirenti di ricerca e formazione della prova ma anche funzioni di garanzia. Il Pubblico Ministero infatti deve: valutare se ricorrano i presupposti per convalidare le perquisizioni (art. 352cpp) ed i sequestri ( art. 354 cpp) eseguiti d’iniziativa dalla Polizia Giudiziaria, delibare se ricorrano le condizioni per chiedere al Giudice la convalida dell’arresto in flagranza e del fermo operati dalla Polizia Giudiziaria o se, al contrario, debba essere ordinata la liberazione dell’arrestato o del fermato (artt. 389 e 390 cpp e 121 disp. att. cpp) e, alla fine delle indagini, decidere se il materiale probatorio acquisito giustifichi la promozione dell’azione penale ovvero se, non essendovi prognosi di condanna, debba essere richiesta al Giudice l’archiviazione (artt 408 cpp e 125 disp.att. cpp).
Quest’ultima norma in particolare, recentemente modificata dal D.L.vo 150/2023 (c.d. “riforma Cartabia”) indubbiamente proietta il Pubblico Ministero verso la dimensione giudiziaria. Infatti la regola di giudizio che il Pubblico Ministero deve utilizzare per valutare, alla fine delle indagini, se gli elementi raccolti conducano alla richiesta di rinvio a giudizio della persona sottoposta alle indagini ovvero, non essendo prevedibile la condanna, debba essere formulata richiesta di archiviazione coincide con quella prevista per il Giudice dell’udienza preliminare in caso di sentenza di non luogo a procedere. V’è quindi vicinanza se non addirittura coincidenza tra i principi che devono governare le decisioni del Pubblico Ministero e quelli sottesi all’agire del Giudice penale. Il riferimento ad una comune “cultura della giurisdizione” esprime quindi l’idea che, nel quadro di quella “asimmetria strutturale” che caratterizza il processo penale, richiamata dalla Corte Costituzionale, la funzione requirente debba fondarsi su principi e regole comuni a quelli cui si ispira il Giudice.
La separazione delle carriere, oltre a non incidere minimamente sui reali problemi che affliggono la giustizia, primo fra tutti la terribile carenza quantitativa del personale amministrativo, determinerebbe l’isolamento e l’indebolimento del Pubblico Ministero, che, separato dal Giudice, progressivamente finirebbe con l’allontanarsi dalla cultura della giurisdizione con conseguente perdita di efficacia delle sue funzioni di garanzia nel procedimento penale in vista della tutela dei diritti ed, in ultima analisi, del principio di uguaglianza.