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La programmazione, questa sconosciuta

Bruno Gemelli ci parla di Giorgio Ruffolo, l’uomo, il politico, l’economista.

Bruno Gemelli

Un politico della cosiddetta Prima Repubblica completamente dimenticato è Giorgio Ruffolo, morto l’anno scorso all’età di 97 anni.

Ruffolo è stato un valente economista, dirigente d’azienda, giornalista e saggista. È stato altresì parlamentare socialista nella sinistra lombardiana. È stato, infine, ministro dell’Ambiente dal 29/7/1987 al 28/6/1992 nei governi Goria, De Mita, Andreotti VI e VII.

A Siderno, negli anni ’70, presiedette un convegno economico organizzato da Giacomo Mancini. Il suo nome è stato sempre associato alla parola “programmazione”, che non è una parolaccia, ma declina il fallimento storico-economico dell’Italia moderna. Giorgio Ruffolo ricoprì la carica di segretario generale della Programmazione Economica presso l’allora ministero del Bilancio. Lì operò circondandosi di uomini del calibro di Giuseppe De Rita, Giuliano Amato, Paolo Sylos Labini, Pasquale Saraceno, Franco Archibugi, Vera Cao Pinna, Manin Carabba. Quest’ultimo, prima di morire, licenziando il saggio “Un ventennio di programmazione 1954-1974” (Laterza, 1977), scrisse: «Eravamo isolati nel mondo della burocrazia: ad esempio il tentativo di [Antonio] Giolitti di ripresentare il disegno di legge per portare la Ragioneria sotto il controllo del Ministero del Bilancio incontrò forti opposizioni. I nostri unici interlocutori erano figure vicine al nostro approccio, come Vincenzo Scotti, Sergio Zoppi, Giovanni Marongiu e Massimo Annesi, che costituivano lo staff del ministro per gli Interventi straordinari nel Mezzogiorno Giulio Pastore. Giorgio Ruffolo, che era un po’ il nostro capo, aveva un ottimo rapporto con [Pasquale] Saraceno. Io ed altri esponenti junior eravamo più legati a [Giorgio] Fuà e [Paolo] Sylos Labini (autori di quella che, rispetto al Rapporto Saraceno, si configurò come una relazione di minoranza, poi pubblicata in un volumetto a sé stante da Laterza). Pur riconoscendo in Saraceno un maestro, un punto di riferimento, come poco più tardi, quando sarebbe entrato nel comitato scientifico della programmazione, intrecciammo un dialogo con Beniamino Andreatta…».

Sul numero 188/2023 di Menabò (la rivista fondata a Torino nel 1959 da Elio Vittorini e Italo Calvino) l’economista Daniele Archibugi ricordò Giorgio Ruffolo esordendo così: «Ruffolo è stato un lucido e coerente esponente del socialismo riformista italiano, che ha legato il suo nome anche alla programmazione e all’ambiente, cui dedicò il proprio impegno già a partire dai primi anni ’80. Con Giorgio Ruffolo scompare uno degli ultimi e più lucidi esponenti del socialismo riformista italiano. Il riformismo da lui propugnato, di fatti e non di proclami, è stata una corrente politica sempre minoritaria in Italia, anche se è riuscita a dare un singolare impulso alla politica e alla politica economica italiana. E ha costituito nei successi, ma anche nei fallimenti, la coscienza critica migliore del nostro Paese. Lettore vorace e onnivoro, dotato di una penna brillante, non si è limitato ad essere un editorialista: ha anche scritto numerosi saggi di economia pubblicati da Laterza e da Einaudi, sempre in bilico tra il rigore accademico e il desiderio di interloquire con un vasto pubblico. […] Il mio ricordo di Giorgio Ruffolo sarebbe del tutto incompleto se non rammentassi anche il suo straordinario carattere: uomo gioviale, riusciva a combinare un generosissimo cuore calabrese con una intransigenza etica scandinava. Amico da sempre di mio padre e di mia madre, ho avuto il privilegio di conoscerlo bene e di essere amico fraterno dei suoi figli Marco e Silvia. Non posso dimenticare che quando Giorgio, la sua prima moglie Edda e i loro amici venivano a casa da noi, i miei fratelli ed io eravamo combattuti: sapevamo che nei cinema di quartiere impazzavano ottime commedie all’italiana, ma eravamo ugualmente consapevoli che lo spettacolo migliore lo avrebbero offerto Giorgio e i suoi amici. Sceneggiatori mancati perché troppo impegnati nell’arduo tentativo di migliorare almeno un po’ il nostro Paese, nella vita privata discutevano con passione civica delle vicende politiche, economiche, sociali e culturali dell’Italia. Tutto ciò senza alcuna pedanteria, ma al contrario condendo i resoconti con imitazioni alla pari con quelle di Alighiero Noschese e di Sabina Guzzanti. E così, noi ragazzi abbiamo avuto il privilegio di vedere sfilare per casa la sicumera di Amintore Fanfani, la prosopopea di Bettino Craxi, l’affettazione di Gianni Agnelli, la prostrazione di Francesco Cossiga, le sfuriate di Sandro Pertini e tanti altri personaggi.

Non si salvavano dal suo sarcasmo neppure le persone a lui più care ma il tutto sempre condito da quella sua gioiosa e incontenibile ilarità che rammentava a chi si prendeva troppo sul serio che, prima o poi, “una risata ci seppellirà”. Oggi, dopo una vita lunga e operosa, con grande dolore abbiamo dovuto seppellire Giorgio Ruffolo, ma il suo ricordo ci rammenta che è doveroso ogni giorno impegnarsi per una Italia più giusta».

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