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La mia la Riviera con quel la minuscolo

Ventitré anni de la Riviera nel racconto di Ercole Macrì. Ecco com’è nato il settimanale della Locride e un ricordo di Nicola Zitara, Pasquino Crupi, Antonio Delfino, Franco Guglielmelli e molti altri maestri che hanno collaborato alla crescita di questo progetto

Due capolavori con l’articolo  “la” hanno segnato la mia vita di prima: La Chiave  con  Stefania Sandrelli nel 1983, la Riviera di Rosario V. Condarcuri nel 1999. Oggi vi parlerò di quest’ultima, non solo perché il mio rapporto con quell’adolescenza rampante anni 80 è ormai irrecuperabile, ma  perché, scherzi a parte, voglio salutare con gioia il nuovo sito web del giornale meno miope della storia calabrese, meno accademico e, miracolosamente, meno giornalistico.

Nell’agosto del 1999, dopo aver disertato  dal cantiere romano del Giubileo2000, temporeggiai attorno alla tarda estate sidernese per organizzare Rivierapub, una festa della Birra simil Fest che, nei titoli di coda, mi presentò un bilancio ambiguo:  511 fusti (quindicimila litri di birra) venduti in quattro  giorni e una denuncia per aver inondato d’alcol filo tedesco la gioventù dei nuovi gelsomini.

Se sono fiori fioriranno e se son cachi, mi chiesi allora, ventidue anni fa, rubando una battuta al mitico Bombolo.

Furono fiori. La denuncia da un lato mi  ammorbò la voglia di organizzare eventi nell’ultima provincia d’Italia e dall’altro mi trasmise quella di commentare la puzza sotto il naso delle dame da salotto paesane, la retorica dei salvatori della patria da capo Bruzzano a Punta Stilo, la cattiveria dei miglioratori del mondo nel culo del primo mondo, il fantomatico paradiso degli illuministi della Magna Grecia, i mantelli neri e bucati dei briganti mascherati elevati a eroi e qualcos’altro di più cliccato, quando invece dei click spopolavano i balli latino americani e quella Yahoo Incontri che mi presentò dianaefeso77: io colonne22, lei, appunto, dianaefeso77, con cui, a differenza di quella lunghissima con la Riviera, ebbi una storia svelta.

Da allora entrai, senza arte né parte, nella mia  redazione con quel la minuscolo.

Pian piano e in scioltezza imparai grazie a maestri immensi: Nicola Zitara (stile amalfitano), Franco Guglielmelli (saper stare al mondo), Mario Nirta (l’ironia illuminata in persona),  Pasquino Crupi (penna inestimabile), Ciccio Barbaro (bontà d’animo), Antonio Delfino (il più grande incipit d’Aspromonte dopo Alvaro), Antonio Orlando (cultura a tonnellate). A loro devo tanto, e anche a Filippo Todaro che mi ha insegnato quell’abc trascurata a scuola, come a Rocco Ritorto per l’Antifascismo vero e a Paolo Catalano per il racconto popolare colto.

Tutti contenuti masculi in un contenitore fimmina?

Unico grande limite di un marchio, la Riviera, che, rossa e di qualità, sta alla Locride come la cipolla a Tropea.

Puoi fare la più bella cipolla a Briatico e la più dolce a Zambrone, il miglior servizio su Telemia e un super editoriale su Ciavula, ma Tropea è Tropea e Riviera è stata la Riviera, lo è stata e spero lo rimanga in un territorio né libero né fondato sullo stato di diritto, dove in nome del popolo italiano assistiamo ai colpi di stato striscianti dello Stato stesso. Non ci bastava la ‘ndrangheta immonda, quell’ibrido di bestia con ali membranose e zanne devote.

Ad Eleonora Aragona e Francesca Frascà, supportate dagli effetti speciali di Tony Silipo e dalla resistenza biblica (chapeau) di Rosario Condarcuri, Paola D’Orsa, Francesca Bono ed Eugenio Fimognari vanno i miei ringraziamenti sinceri e la mia ammirazione.

Alla Locride e alla Calabria serve ancora il giornalismo di Riviera, un giornalismo biologico, artigianale, una Rivieraweb che, in gloria alla sua storia straordinaria, alzi ancora la zampa posteriore e marchi un territorio in forte ritardo di sviluppo e d’occupazione.

Tutto è ancora possibile, realizzabile, traducibile in azione quotidiana, basta una condizione e per chi scrive anche  una chiave che apra un portone sul  mondo che va e che sa.

Andiamo per ordine e concludiamo.

Condizione: la centralità del lettore.

La chiave: entrare in un contesto più grande, moderno, senza farsi mai più incantare dal revisionismo del terrone.

Ercole Macrì

 

 

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