Al Masri, il torturatore ricercato dalla Corte Penale Internazionale che l’Italia ha liberato è considerato colpevole di crimini contro l’umanità. Nel suo rilascio le opposizioni sospettano un regalo del Governo alla Libia con la quale l’Italia tratta da anni, da quando fu firmato un Memorandum col governo Gentiloni.
Francesco Martino
Siamo abituati da sempre a perdonare i nostri amici, e siamo cattivi quando si tratta dei nostri “nemici”di altri paesi, che siano lontani o vicini. Parliamo dalle piccole notizie, che molti non leggono, come anche questa riflessione non avrà molti like, e di questo non mi cruccio. Se arriva una nave con profughi o migranti nelle nostre coste, una delle prime preoccupazioni è cercare il presunto scafista, cioè colui che ha guidato la barca. Ormai è accertato che alcuni di questi disperati riescono a viaggiare gratuitamente, se si occupano di prendere la guida o il comando della barca. Molti altri sono stati fermati perché qualcuno, quando sbarcato, ha accusato altri di essere scafista, i casi noti sono Maysoon Majidi, che è stata scarcerata dopo un anno, Marjan Jamali, ai domiciliari a Camini solo perché ha un figlio minore. Entrambe sotto accusa ma con un processo che non tiene in piedi.
Vedremo, alla fine di questo processo, le eventuali condanne.
All’improvviso un comandante libico, il generale Osama Al Masri Neem, viene arrestato in Italia, a Torino, per assistere a una partita della Juventus. Neem è attualmente ricercato dalla Corte Penale Internazionale, la quale ha emesso un ordine di arresto per crimini contro l’umanità e crimini di guerra (torture nel carcere libico di Mittiga, da lui diretto). Un santo uomo che per riposarsi, dopo aver girato tranquillamente in Europa, e con la benedizione di vari governi – visto che in Germania era stato fermato mentre viaggiava in auto, e subito rilasciato – voleva vedersi una partita di calcio della squadra del cuore. Molto probabilmente, causa lo stress nel torturare i carcerati, una partita era un toccasana. Liberato, e subito portato in Libia da un aereo, in quanto secondo il ministro Piantedosi: «Considerato che il cittadino libico era a piede libero in Italia e presentava un profilo di pericolosità sociale, come emerge dal mandato di arresto della Cpi, ho adottato un provvedimento di espulsione per motivi di sicurezza dello Stato.»
Molto probabilmente si può pensare che se arrestato e condannato, non avrebbe potuto continuato nella sua opera di assassinio in Libia o molto probabilmente, le milizie libiche, non avrebbero controllato la fuga dei disperati verso l’Italia. Di certo non si può arrestare un generale, che svolge un compito fondamentale per il rispetto degli accordi, tra l’Italia e la Libia, a cui abbiamo delegato il blocco delle partenze verso l’Europa dei senza diritti. Che finiscano nelle carceri, trasferiti nel deserto oppure morti e sepolti dal mare, causa naufragio, non ci riguarda.
Pugno di ferro contro gli ultimi, porte aperte e onorificenza con i nostri sodali, anche se sono torturatori. Non è il primo caso e non sarà l’ultimo.