Filippo Veltri ci accompagna in un’analisi asettica e realistica sulla crisi della Sinistra in Europa e sulla nuova forma di società in essere.
La prima ragione che mette fuori gioco i partiti della sinistra europea è riconducibile, alla fine del così detto secolo breve, al definitivo superamento del modello di produzione fordista, centrato sulla fabbrica, intesa anche come spazio di socializzazione politica per una “moltitudine” di persone, che perveniva ad una coscienza collettiva, in grado di dare luogo a un nuovo soggetto politico (la classe di Marx), protagonista tra Otto-Novecento della condizione di emancipazione del proletariato internazionale, di cui socialisti e comunisti si facevano interpreti e interlocutori.
Strettamente connessa alla prima, la seconda ragione che può spiegare la crisi strutturale della sinistra in età contemporanea è attribuibile alla forte accelerazione del cosiddetto processo di individualizzazione sociale, capace di separare il destino dei singoli individui da quello dei propri gruppi di appartenenza, siano questi i lignaggi, le caste, i ceti, o le classi sociali, fondando così il primato dell’individuo sulla società e rendendo allo stesso tempo quest’ultimo più libero delle proprie scelte, ma anche più solo (se non isolato) all’interno della trama delle relazioni sociali che nel corso del Novecento aveva funzionato sia come strumento di protezione sociale sia come mezzo di emancipazione e lotta politica.
La terza ragione è riconducibile al contraccolpo culturale: cioè i processi di globalismo e di globalizzazione internazionale hanno determinato una diffusa insicurezza sociale (di ordine individuale e collettivo), causata dalle innovazioni avviate soprattutto in campo economico e finanziario. Tali rinnovate condizioni di partenza contribuiscono, in quest’ottica, a definire i presupposti del successo di una minoranza di persone preparate a immettere le loro competenze all’interno del processo internazionale di produzione capitalistico, e il simultaneo forte contraccolpo di un’ampia fetta di persone, incapaci di stare con successo all’interno dei processi di trasformazione imposti dal proprio tempo. È in questo contesto che viene a determinarsi una reazione immediata volta per lo più a premiare proposte difensiviste e/o protezioniste, in luogo di quelle più complesse a carattere trasformativo.
La quarta e ultima ragione della crisi della sinistra in Europa è legata alla rivoluzione informatica e tecnologica, che ha finito con il ridurre le potenzialità di azione del soggetto-partito, protagonista della fase precedente, rivoluzionando l’assetto nazionale e sovranazionale del sistema dei media e imponendo un processo di personalizzazione della politica (legato anche al fenomeno dell’individualizzazione sociale di cui sopra), che la sinistra e i partiti della sinistra radicale non hanno saputo interpretare né hanno saputo utilizzare a loro vantaggio.
Una crisi senza precedenti, capace di descrivere una sconfitta epocale dei partiti della sinistra (tutta), che hanno smesso d’interpretare un progetto di cambiamento politico. La combinazione di tutti questi elementi ha finito col produrre una crisi senza precedenti, capace di descrivere una sconfitta epocale dei partiti della sinistra (tutta), che – indipendentemente dalle condizioni contingenti di volta in volta determinate in corrispondenza di distinti scenari nazionali – hanno smesso d’interpretare un progetto di cambiamento politico, in grado di mettere in campo un programma culturale e d’azione alternativo a quello dominante, sussunto nel frame egemonico del neoliberismo. Trovare gli strumenti utili a contrastare la crisi e per cercare di mettere in campo un progetto in grado d’invertire la rotta è compito che spetta alla politica e agli attori politici coinvolti e più interessati. Al di là di ciò che è stata, la sinistra in Europa non può non ripartire dalle questioni che interrogano il conseguimento di più ampie condizioni di eguaglianza sostanziale a favore di tutti i soggetti che compongono e che contribuiscono a realizzare una medesima comunità politica.
Per continuare a essere protagonista dei processi di trasformazione in atto, i partiti della sinistra (tutti) non possono non tornare a porsi con assillante preoccupazione la sfida dell’eguaglianza, nel tentativo di “rendere più eguali i diseguali”. Se la sinistra smetterà di svolgere questo compito non solo vedrà svalutata la propria funzione, ma andrà anche incontro a esiti non scontati quanto alla propria sopravvivenza.
(Ampi stralci di un’analisi apparsa sul Mulino dei giorni scorsi ma anche su ‘’Questioni sociali e nuova sinistra’’ uscito lo scorso anno ad ottobre per opera del sottoscritto e di Massimo Tigani).