Un’altra leggenda metropolitana che il Governo Meloni-Salvini sta facendo circolare è quella sulla presunta invasione ‘’senza precedenti’’ dei migranti, quando anche i bambini della scuola materna sanno che trattasi di un problema antico e strutturale e non dunque emergenziale. E, invece, una settimana fa Meloni e Salvini hanno lanciato lo stato di emergenza per sei mesi come se fosse possibile fermare la fuga di milioni di persone da fame e guerre sol perchè ora Palazzo Chigi fa la voce grossa!
La strage del mare a Cutro del 25 di febbraio e le successive mosse del governo Meloni nelle scorse ore, stanno in verità confermando come il tema altamente simbolico degli arrivi dal mare sia il terreno scelto dalle forze oggi al potere per marcare la propria identità politica e comunicare agli elettori un messaggio di coerenza con le proprie promesse elettorali: una coerenza difficilmente rintracciabile su altri dossier.
Due sono le premesse più volte ribadite, ma entrambe infondate, come ha ampiamente documentato Maurizio Ambrosini su uno degli ultimi numeri della Rivista Il Mulino.
La prima leggenda è quella dell’Italia “Campo profughi d’Europa”. I dati Eurostat raccontano un’altra storia: nel 2022 la Germania ha ricevuto 218 mila richieste d’asilo, la Francia 137 mila, la Spagna 116 mila, l’Italia 77 mila. I richiedenti asilo non arrivano soltanto dal mare, ma entrano con mezzi e modalità diverse, da svariati punti d’ingresso.
La seconda premessa è quella di definire gli arrivi “Un’emergenza senza precedenti”. La premier specula sulla poca memoria dell’opinione pubblica e sulla paura nei confronti degli arrivi indesiderati. Dopo avere chiesto più volte le dimissioni della ministra Lamorgese sotto i precedenti governi, perché colpevole di non fermare gli sbarchi e dopo avere criminalizzato le Ong (responsabili l’anno scorso del 12% scarso degli sbarchi in Italia), deve fare i conti con arrivi dal mare triplicati in questo primo scorcio dell’anno e con le Ong quasi del tutto allontanate dalle zone operative.
In realtà, però, nel 2015 e 2016 nell’Ue le richieste di asilo avevano superato il milione, a causa soprattutto della guerra in Siria e anche in Italia gli sbarchi avevano sfiorato quota 200 mila all’anno.
In un momento in cui ritorna in primo piano la chiusura nei confronti degli sbarchi dal mare, assistiamo ad almeno tre diversi trattamenti dei nuovi arrivati. Il primo approccio riguarda i profughi ucraini, a oltre un anno dall’invasione russa. L’Italia ne ha accolti circa 170 mila, senza porre limitazioni numeriche, né vincoli relativi alla loro circolazione, all’accesso al mercato del lavoro, alla fruizione dei vari servizi sanitari, sociali ed educativi. Il governo ha anche erogato contributi affinché potessero cercare autonomamente un alloggio. Roma ha applicato una direttiva dell’Ue, ma è rimarchevole il fatto che l’accoglienza non ha suscitato polemiche politiche né resistenze sociali, né speculazioni mediatiche. Sarebbe difficile sostenere che i profughi ucraini non pesino sul sistema di Welfare, eppure – fortunatamente – nessuno ha eccepito. Coloro che sono fuggiti dall’invasione russa non sono nemmeno definiti nel discorso pubblico come rifugiati o immigrati.
Il secondo caso scaturisce direttamente dalle disposizioni governative prima ricordate, che hanno abbozzato una sorta di nuovo schema delle politiche migratorie dopo il disastro di Cutro. Sono morte in mare persone che fuggivano da guerre e repressioni, e l’esecutivo Meloni ha annunciato un aumento delle opportunità d’ingresso per lavoro, che coinvolgerà Paesi diversi da quelli da cui partivano i naufraghi di Cutro, quasi tutti afghani. Il governo ha in realtà risposto alle pressioni dei datori di lavoro, stretti tra carenza di manodopera e procedure bizantine per i nuovi ingressi, tanto che finora i decreti-flussi sono serviti sostanzialmente a regolarizzare lavoratori già entrati in Italia e privi di documenti idonei per l’assunzione.
Ambrosini sottolinea come nell’ultimo decennio, a partire soprattutto dalle «primavere arabe» del 2011, si è verificata non una «crisi dei rifugiati», ma una crisi dell’accoglienza dei rifugiati, segnatamente nell’Ue. Si è accelerato un deterioramento dell’immagine dei rifugiati, sul piano culturale e politico: anche quando non ha motivazioni politiche esplicite, la solidarietà verso i rifugiati assume valenze politiche, ha un significato implicito di contestazione delle chiusure sovraniste. Chi cerca di bloccarla, e persino di criminalizzarla, lo ha compreso benissimo.
Il provvedimento di martedì è ancora più pericoloso: c’è solo da sperare che lo stato d’emergenza non serva a coprire qualche nuova, infame misura volta a rendere la vita più difficile ai migranti che arrivano in Italia. Sarà bene vigilare, dunque, ma con la consapevolezza che comunque i tempi e i modi in cui questo singolare stato d’emergenza antibarconi è stato apparecchiato in tavola agli italiani ha un fortissimo, e sgradevole, sapore di propaganda. Un ennesimo specchietto per le allodole per coprire politiche che non ci sono o, quando ci sono, sono sbagliate.