Dopo che l’Argentina ha vinto il mondiale in Quatar, mi tornano alla mente immagini di un altro mondiale, quello del 2006 in Germania, che l’Italia vinse nella finale contro la Francia. Io quel mondiale lo seguii proprio appresso alla nazionale argentina, per un mese intero, dai primi di giugno fino al 30 giugno. E quella esperienza mi è servita ancor di più per capire cosa rappresenti l’albiceleste per un’intera nazione. Con la sconfitta ai quarti di finale contro la Germania, il ritorno dell’Argentina al ritiro vicino Norimberga quella notte, del 30 giugno 2006, fu un funerale senza bara. Domenica scorsa, all’ennesima lotteria dei rigori contro la Francia, qualcuno avrà ripensato a quella notte così amara.
Ora che lentamente si stanno spegnendo le luci sul Mondiale di calcio in Quatar vinto dall’ Argentina, mi tornano alla mente immagini e luoghi di un altro mondiale, quello del 2006 in Germania che l’Italia vinse, come è noto, nella finale contro la Francia.
Io quel mondiale lo seguii proprio appresso alla nazionale argentina, per un mese intero, dai primi di giugno fino al 30 giugno. E quella esperienza mi è servita ancor di più per capire cosa rappresenti l’albiceleste per un’intera nazione.
Ero all’epoca inviato dell’Agenzia Ansa, ed il compito era quello di seguire una delle candidate alla vittoria finale. All’epoca sulla panchina argentina sedeva Jose’ Petermann e decise per un mini-ritiro in Italia, dalle parti di Salerno.
Lì feci conoscenza con una parte del mondo argentino, decine anzi centinaia di cronisti al seguito, ma non era ancora nulla in confronto a quello che dovevo vedere. In quella nazionale c’era già il giovanissimo Messi, ma non giocò molto e fu uno dei motivi della polemica. Dopo un’amichevole allo stadio di Salerno, la seleccion volò in Germania. E io con loro.
Andammo non lontano da Norimberga, nel distretto della Media Franconia in Baviera, in una pittoresca cittadina dall’aspetto affascinante, con le vie centrali lastricate di ciottoli: Herzogenaurach, famosa per essere la sede dei due storici marchi rivali Adidas e Puma.
Qui, infatti, dalla scissione dell’azienda familiare di scarpe Gebrüder Dassler Schuhfabrik nacquero i due colossi delle sneakers, la Puma a nord del fiume Aurach, mentre la Adidas a Sud, rivali come i due fratelli che diedero loro vita. La maggior parte degli abitanti iniziò a lavorare (e tuttora lavora) per le due aziende e, nel tempo, vennero a crearsi due “fazioni” cittadine, una fedele ad Adidas e una a Puma. Persino le due squadre del borgo rappresentavano rispettivamente i due brand. La rivalità divenne così sentita che Herzogenaurach ottenne la nomina di “città dei colli piegati“: le persone prima di salutare e iniziare una conversazione con qualcuno, controllavano quali scarpe avesse addosso.
Poco più di 20 mila abitanti, sede tranquilla e ideale per preparare il mondiale. Partitelle, allenamenti, conferenze stampa: tutti i giorni in un mare di cronisti che non ho mai visto in vita mia per un avvenimento. Accreditati qualcosa come 500 tra giornalisti e tecnici tv. Dirette con l’Argentina ad ogni ora del giorno, tenendo conto del fuso orario (4 ore indietro nel Sudamerica). Una follia permanente.
Poi un pomeriggio arrivò nel ritiro addirittura Diego Armando Maradona, con moglie e figli. Non è descrivibile quello che accadde. Diego volle poi andare al punto vendita dell’Adidas e si scatenò, a quel punto, una rincorsa di decine e decine di auto al seguito. Dopo tre giorni, iniziò il Mondiale con le partite vere. Nel girone eliminatorio non ci furono problemi, grandi vittorie, una memorabile 4-1 contro la Serbia. Poi gli ottavi. A Gelsenkirchen contro il Messico non fu facile, ma gli albicelesti passarono, 2 a 1. Ma ora arrivava il bello, con i quarti di finale a Berlino contro la Germania. Era il 30 giugno. Ero con loro da un mese, mi sentivo pure io un argentino. La tragedia era in arrivo: 1 a 1 dopo tempi regolamentari e supplementari. Rigori anche stavolta, come ad Italia ’90 e come domenica scorsa. Quel giorno, sbagliarono dal dischetto Ayala ed Esteban Cambiasso. Albiceleste fuori e Germania in semifinale, dove poi gli azzurri di Lippi la liquidarono per raggiungere la finale vittoriosa.
Il ritorno dell’Argentina al ritiro vicino Norimberga quella notte del 30 giugno 2006 fu un funerale senza bara. Lunghissimo, dal Nord al Sud della Germania. In piena notte cronisti e familiari prepararono valige e pacchi, mentre la squadra cercava un perché’ a quella eliminazione così ingiusta, a quella lotteria dei rigori che ancora una volta li penalizzava come 14 anni prima alla finale di Italia ’90, sempre contro la Germania.
Domenica scorsa all’ennesima lotteria dei rigori contro la Francia, qualcuno avrà ripensato a quella notte così amara. Poi ci hanno pensato Messi e Martinez per fare di nuovo impazzire un’intera nazione, come fu nel 1978 e nel 1986.