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Intreccio tra democrazia, matematica e clientelismo

Galileo Violini                         

È forte la tentazione di commentare le ultime esternazioni e trovate dei politici della maggioranza. Impagabili quelle su famiglia e diritti dei bambini della ministra Roccella e del solitamente diplomatico ed equilibrato vicepresidente del Consiglio, onorevole Tajani, o l’esibizione alla cloche di un aereo della signora presidente del Consiglio.

Tonnerre verrebbe da esclamare, come il mitico Carmaux di Salgari, a conferma di una pervicace propensione al delitto di lesa italianità linguistica, quello che un simpatico gruppo di deputati di Fratelli d’Italia, leaderati dal Vicechairman (se forestierismo deve essere, forse meglio sarebbe Vicespeaker) della Camera dei deputati, ha proposto di introdurre nella nostra legislazione, punendolo con una modica multa. Da 5000 a 100000 euro, trenta volte di più nel minimo e 150 nel massimo di quella a chi passi col semaforo rosso, quantità di denaro che ben giustificherebbe esclamare con Cambronne: Merde!. Che ne penserà il ministro Salvini confrontandola con la multa di 10000 euro comminataun mese fa alla Geo Barents?

La proposta dovrebbe preoccupare Fratelli d’Italia, se dovesse essere considerato fattispecie di quel reato la propaganda elettorale in lingua straniera. Ma, come spesso accade in una maggioranza in cui il pollice della mano (destra ovviamente) non sa quanto accade al mignolo della stessa mano, gli effetti collaterali delle decisioni sono trascurati, salvo scoprirli successivamente e porre le toppe. Abbondano gli esempi. Nel passato, abolizione del reddito di cittadinanza, nel presente, la polemica sulla semplificazione degli appalti.

Tornando alla lingua, pur astraendo dall’art. 6 della Costituzione, qualora nelle nostre università si proibissero i corsi in lingua straniera, eccetto che per insegnarla (affinché i nostri giovani possano emigrare meglio, ragazzo mio, direbbe Perrault) se ne vanificherebbe la già limitata attrattività per studenti stranieri, per altro unica soluzione a questo aspetto della crisi demografica. Qualche tempo fa sottolineai che tra una decina d’anni se ne dovranno chiudere parecchie e le conseguenze per il sistema universitario della nostra regione, ma che importa?. Vogliamo disprezzare il sottile piacere di poter chiamare la leader del maggior partito d’opposizione Piccola invece di Schlein, o quello di proibire di qualificare il nostro Presidente del Senato, chiedo scusa, il Presidente del nostro Senato, unfit alla seconda magistratura della Repubblica nata dalla Resistenza, per la sua visione della Guerra di Liberazione?

Ma queste esternazioni sono state tanto ampiamente commentate che è meglio scrivere su un altro tema grazie al quale nei giorni scorsi la nostra regione è tornata all’attenzione della stampa nazionale.

Non per i suoi atavici problemi di economia o sanità, ma per un ricorso contro l’attribuzione nelle elezioni politiche di settembre, di un seggio uninominale, quello del collegio U02, all’onorevole Anna Laura Orrico, che per altro, in caso di raccoglimento del reclamo, risulterebbe comunque eletta nel collegio plurinominale, mentre il seggio sarebbe perso dal suo partito, M5S.

Questione di poco momento per gli equilibri parlamentari, che non sarenno certo scossi per un seggio perso dall’opposizione a favore della maggioranza.

Questa considerazione legittima il dubbio che la presentazione del caso come un blitz della maggioranza teso a sovvertire l’esito dell’elezioni, immagine che richiama alla mente il 6 gennaio di tre anni fa a Washington, sia realista, anche se comprensibile è l’interesse del M5S nel difendere il seggio attribuitogli.

Ciononostante, la questione, al di là dei tecnicismi giuridici, è interessante per le argomentazioni che ne stanno accompagnando la discussione, in quanto se ne trae l’impressione che si stia sottovalutando il rischio di offrire un efficace strumento a chi voglia utilizzarlo per voti di scambio o clientelari.

È doveroso sottolineare che questi rischi sono analizzati pensando alle future elezioni. Lungi da me il porli in relazione con il caso concreto.

I criteri di validità dei voti erano stati indicati nelle “Istruzioni per le operazioni degli Uffici elettorali di sezione”, inviate dal Ministero dell’Interno. È poi di competenza della Giunta elezioni esaminare quei criteri per giudicare i ricorsi contro la loro applicazione da parte dei presidenti.

In occasione delle ultime elezioni politiche, il Ministero aveva indicato, in armonia con quanto fatto nel 2018, che, se nella parte plurinominale fossero votate più liste di una stessa coalizione, il voto sarebbe stato annullato, e, ciò anche qualora nella parte uninominale esso fosse stato espresso in favore del candidato di quella coalizione o mancasse. Di quelle Istruzioni è degna di nota la dettagliata precisione con cui per il Collegio Estero, nel quale sono previsti voti di preferenza, si indicavano tassativamente le forme di no preferenza non ammissibili. .

Lo scorso 7 marzo, la Giunta elezioni della Camera si è riunita per l’”esame dei criteri di validità o nullità dei voti”. L’argomento è stato introdotto dal presidente Fornaro che ha ricordato che sulla questione di un voto di lista plurimo esistono due interpretazioni, quella indicata dal Ministero, e fatta propria dalla Giunta elezioni delle precedente legislatura, e quella che, privilegiando il principio del favor voti, salvaguarderebbe una chiara e inoppugnabile manifestazione di volontà dell’elettore.

In un mondo ideale, sarebbe preferibile che i criteri siano noti in anticipo. E quindi sarebbe da auspicare che essi siano stabiliti con certezza una volta per tutte, cosicché in quel mondo ideale alla Giunta Elezioni non sarebbe devoluto il loro esame, ma unicamente la loro corretta applicazione nell’esame di ricorsi.

Ahimé!, il mondo reale non è quello immaginato da Leibniz, ma quello di Candide. E questo ci obbliga a seguire con interesse un dibattito che poco ha a che fare con la questione degli 805 voti annullati, che, se dichiarati validi, cambierebbero l’assegnazione del seggio uninominale del Collegio U02.

La maggioranza si è schierata a difesa del privilegiare il favor voti (latino, con buona pace dell’onorevole Rampelli). A sostegno, il suo portavoce più vivace, l’onorevole Pittalis, di Forza Italia, ha ricordato un’audizione della Giunta di un autorevole magistrato (mi incuriosisce sapere se altri abbiano espresso opinioni diverse. Certo considererei quanto meno sorprendente se, su un tema così delicato, la Giunta si fosse limitata ad audire un solo parere), tre precedenti, e una sentenza del Consiglio di Stato, la 1327 del 5.3.2018.

Strano che non sia stata rilevata, ma comprensibile in una riunione di solo   un’ora e quaranta, almeno nei commenti successivi, la forzatura del fare appello a quella sentenza, il cui oggetto principale furono 58 casi per i quali il ricorrente richiedeva l’annullamento del voto in quanto la modalità di espressione lo rendeva suscettibile di identificazione, vuoi per accidente, vuoi per volontà, o disponibilità, dell’elettore. In 57 casi la modalità concerneva il voto di preferenza e solo in uno consisteva nello sbarramento di due liste. Per di più la decisione relativa a questo fu contestualizzata nel meccanismo elettorale dei comuni di meno di 15000 abitanti, diverso da quello delle politiche.

Non è questo il solo motivo che imponga che quella sentenza sia letta con juicio, direbbe Manzoni. Il suo impianto considera che l’uso di differenti forme, ancorché inusuali, per esprimere un voto di preferenza non basta a provare inconfutabilmente la volontà del votante di essere identificato. La puntigliosa descrizione delle condizioni di validità del voto di preferenza nel Collegio Estero pare escludere che quell’impostazione del problema sia condivisa, almeno per quanto attiene alle elezioni politiche, dal Ministero dell’Interno.

Un imparziale lettore, e posso comprendere che tale possa non sembrare l’onorevole Pittalis, che certamente lo è (art. 67 dela Costituzione), avrebbe probabilmente notato il riferimento ad una precedente sentenza (la 4523) del Consiglio di Stato che, il 27 ottobre 2016, aveva affermato che “possono essere ritenuti segni di riconoscimento solo quelli eccedenti il modo normale di esprimere la volontà elettorale, e dunque una particolare anomalia nella compilazione della scheda che non si possa qualificare quale segno superfluo o incertezza grafica, ovvero non sia spiegabile con difficoltà di movimento o di vista dell’elettore, occorse nell’indicare un determinato simbolo”, delimitando così la definizione di normale. Questo spiega, ove ce ne fosse bisogno, perché la precedente Giunta elezioni abbia riconosciuto persino valido un voto in cui erano segnate liste contastanti, con uno dei due segni “appena accennato”.

Può essere considerato modo normale di esprimere il voto, votare più liste della coalizione? È stato sostenuto che sarebbe una maniera di manifestare una “volontà rafforzata”, forse misura quantitativa dell’intensità del sentimento del votante o della pulsione che lo spinge, in preda ad un raptus incontrollabile, a gridare il suo appoggio ad una coalizione. Comprendo che tale spiegazione sia stato proposta da un deputato della maggioranza, l’onorevole Gatta di Forza Italia. Chi crede a chi afferma che battere i pugni o gridare più forte rafforzi la difesa di presunti inviolabili diritti del nostro Paese, pardon Nazione, ha il DNA giusto per credere anche a questa teoria piuttosto bizzarra. Altri hanno fatto riferimento a casistiche relative all’elezione dei sindaci dei comuni di oltre 15000 abitanti, anche in questo caso glissando sulla differenza che in essa è possibile il voto disgiunto.

Certo, ammettere che istruzioni precise e, esse sì, di chiarezza inoppugnabile, del Ministero dell’Interno possano considerarsi scritte sull’acqua, potrebbe presentare qualche problema. Non è stato ad una direttiva del 2019 del Ministero dell’Interno (essendo allora ministro l’onorevole Salvini) il riferimento che ha permesso alla maggioranza di difendere l’indifendibile, riguardo al naufragio di Cutro? E alla signora presidente del Cnsiglio rassicurarci sullo stato della sua coscienza?, ma la coerenza non è richiesta ai politici, né mi sembra essere la caratteristica principale della coalizione che governa l’Italia.

Più preoccupante la possibilità che emergano casi analoghi. Quanti potrebbero essere?, si è chiesto intelligentemente un deputato della maggioranza, l’onorevole Sbardella, chissà temendo l’improbabile, ma pur sempre possible, evenienza che, per avere un terrun in più, sia pure in quella Calabria cara al suo leader per esservi stato eletto una volta senatore, si possano perdere seggi di lumbard nella più cara Lombardia? Potrebbe essere imbarazzante.

È un peccato per l’opposizione, che il problema sia sorto solamente adesso. Lo avesse immaginato, l’onorevole Letta avrebbe avuto un’eccellente freccia al suo arco, per una martellante propaganda antiastensione. Al mondo di sinistra, che si sta riavvicinando al PD, si sarebbe potuto proporre un voto di moderato supporto, graduabile. Ma, anche senza pensare agli astenuti, sento il dovere morale di dar voce a quelli tra i 28 milioni di connazionali che, nel votare una coalizione (e includo quella vincente), inconsapevoli del Pittalis-pensiero, non hanno potuto usufruire del diritto di manifestare il loro sostegno con diversi livelli di intensità.

Nel dibattito in Giunta elezioni, l’opposizione ha in prima istanza criticato, giustamente a mio avviso, il carattere retroattivo della proposta. Ha anche offerto, tramite la vicepresidente della Giunta elezioni, onorevole Auriemma, un ramoscello d’ulivo. Riconoscere il principio del favor voti, ma solamente a condizione che l’impulso dell’elettore si sia manifestato nella sua massima intensità, segnando tutte le liste della coalizione. Proposta che, se da un lato risolverebbe l’aspetto più nebuloso della proposta della maggioranza, e cioé l’attribuzione del voto nella plurinominale quando le votate siano solamente alcune delle liste della coalizione, d’altro canto salverebbe anche, molto probabilmente, il seggio calabrese del M5S, come sarà chiaro più avanti.

Tuttavia, considerare il problema come un problema di puro tecnicismo giuridico è, ancor prima che fuorviante, pericoloso per molteplici ragioni, che meritano essere considerati a prescindere dal caso in questione.

Ricondurre la riconoscibilità del voto all’analisi caso per caso è principio apparentemente rispettoso dei diritti dell’elettore, ma che può essere sostenuto solamente ignorando (o tappandosi gli occhi di fronte a) qualcosa che qualunque studente di ingegneria, fisica o matematica già ha appreso dopo tre mesi di università.

L’esame caso per caso rifiuta di considerare, se non in forma puramente ipotetica, che possa esservi correlazione tra voti espressi in modo non diciamo anormale, ma atipico. Eppure un illustre italiano ha ricevuto il Premio Nobel per i suoi studi di fenomeni collettivi.

Stupefacente che in un paese in cui una conoscenza elementare delle permutazioni che si possono eseguire utilizzando i nomi e la posizione in lista dei candidati, ha condotto a sacrificare la loro scelta diretta da parte dell’elettore, rimpiazzandola, nonostante molte critiche, con liste bloccate, sfuggano le possibilità offerte dalla teoria delle combinazioni, meno fina di quella delle permutazioni, ma non perció meno utile per il controllo dei voti.

Se l’interpretazione proposta oggi retroattivamente dovesse divenire quella dei futuri regolamenti elettorali, si aprirebbero sconcertanti possibilità di compra-vendita di voti.

Per chiarirlo, e illustrare la matematica della questione prendiamo come esempio di scuola la situazione calabrese. Non conosco con esattezza il numero delle sezioni elettorali in Calabria, se non per il 2013, quando furo 698. Assumendo che l’anno scorso fossero 700, il numero medio di voti a favore di una coalizione nelle ultime politiche sarebbe: 425 per quella di Centrodestra e 187 per il Centrosinistra. Nelle ultime elezioni, le due principali coalizioni presentarono quattro liste ciascuna.

Quattro liste in una coalizione offrono all’elettore che, per motivi nobili o meno nobili, senta il bisogno di mostrare l’intensità della sua scelta, molteplici possibilità. Può votare il candidato nell’uninominale non indicando alcuna lista, indicandone una (quattro possibilità), due (in sei possibili modi), tre (di nuovo quattro possibilità) o, propter furorem favoris voti, tutte e quattro. Ovviamente potrebbe confermare, in altrettante maniere, la forza del suo voto votando esplicitamente il candidato nell’uninominale.

Trentuno modi possibili di votare. E questo con solamente quattro liste collegate. Metodo poco accurato, ma comunque sufficiente per controllare la fedeltà di un elettore o di un gruppo di votanti, e comunque perfezionabile con una o due liste in più fino a potere in teoria controllare tutti i voti di una sezione. Impaliidisce il confronto con la segretezza del voto in un’elezione plebiscitaria di circa un secolo fa.

Non è necessario chedersi  chi potrebbe avere interesse a condizionare il voto, correnti di partito? Clientele politiche? Interessi economici? Mafia nazionale o internazionale? Potenze straniere? Italiani all’estero?, come si potrebbe pensare temano al Ministero per le Istruzioni menzionate.

Ciò che è innegabile è che un eventuale compratore di voti cui il meccanusmo del tagliando di controllo ha sottratto quello della scheda prevotata rotante, si vedrebbe offerto un altro, fully guaranteed dalla matematica.

Non so che deciderà questo mercoledì la Giunta elezioni, né il caso specifico mi interessa più di tanto.

Spero però che non si dia all’estero l’impressione che il nostro Paese, mi scusi presidente Meloni se propio non riesco a chiamarlo Nazione, non sia fidabile nei suoi processi elettorali.

Non modifichiamo i regolamenti a posteriori. La certezza del diritto ha molte declinazioni. E soprattutto non diamo, per un rispetto di diritti formali, armi di massa che permettano violare dirtti sostanziali. Negli Stati Uniti il mito del Secondo Emendamento continua a mietere vittime. Quello della salvaguardia della volontà dell’elettore ha qualcosa in comune.

E perché non usare il voto elettronico? Tutti saremmo più tranquilli.

 

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