Nel territorio di Gioia Tauro, il 10 luglio 1988, veniva assassinato in un agguato di matrice ndranghetista Pietro Ragno, giovanissimo carabiniere, mentre era di turno serale insieme al collega Giuseppe Spera, 32 anni, campano di San Cipriano Picentino, anche lui ferito nel corso della tragica vicenda. Entrambi erano sposati ed avevano figli.
Sono gli anni in cui la ndrangheta realizza una serie di atti intimidatori nei confronti degli uomini dello Stato e delle istituzioni; ad alimentare il potere delle ndrine è un tessuto sociale depauperato e in cui prosperavano omertà, clientelismo, traffico di droga e corruzione pubblica e privata.
Il Coordinamento Nazionale Docenti della disciplina dei Diritti Umani ha ricevuto nella giornata di oggi il testo della giovanissima studentessa Alessandra Riillo, della classe III sez. C, del Liceo scientifico Filolao di Crotone, che celebra l’alto valore civile di Pietro Ragno e il suo attaccamento alla divisa e al senso di responsabilità:
“Pietro Ragno, carabiniere ventottenne originario di Messina, in servizio nella compagnia di Gioia Tauro da soli tre anni, venne assassinato il 10 luglio del 1988 durante un agguato mentre Giuseppe Spera trentaduenne, suo collega sposato e padre di due bambini, rimase ferito. I due carabinieri poco dopo la mezzanotte dallo svincolo di Losarno imboccarono l’autostrada per fermarsi a fare rifornimento di benzina e rientrare in caserma per iniziare il turno di notte, ma quando stavano per ripartire a bassa velocità sulla Statale 111 che congiunge Gioia Tauro all’Aspromonte, sul versante ionico della provincia di Reggio Calabria, a ridosso di un cespuglio, degli sconosciuti cominciarono a sparare con fucili automatici calibro 12. Pietro Ragno, che era alla guida, riuscì a prendere la pistola in mano, ma morì prima di poterla usare, il suo compagno si salvò solamente perché si trovava chinato sull’apparecchio radio per avvertire la centrale operativa del loro rientro. Non si hanno informazioni certe sui motivi che spinsero la ‘ndrangheta a colpire i due giovani carabinieri; in seguito a numerose ricerche e intricate indagini, si arrivò alla conclusione che probabilmente l’obbiettivo non era colpire i due carabinieri, anche perchéé non avevano incarichi particolari, ma l’Arma, poiché nella piana di Gioia Tauro, magistratura, carabinieri e polizia erano impegnati in una grossa indagine sia contro il crimine organizzato, che contro i settori della pubblica amministrazione vicini alla criminalità.
Purtroppo ancora una volta parliamo di mafia che continua a causare vittime innocenti, in questo caso un giovane carabiniere che stava svolgendo il proprio lavoro, lasciando senza un padre una giovane bambina di 11 mesi e senza un marito una giovane donna. La criminalità organizzata colpendo le forze dell’ordine voleva colpire il cuore pulsante della legalità; molte sono le vittime innocenti fra le forze dell’ordine che con onestà e coraggio ogni giorno con il loro operato si impegnano per garantire a tutti i cittadini un società più giusta e libera dalle mafie.”
Sono passati ormai trentasei anni dall’omicidio di Pietro Ragno, in Calabria si avverte ancora oggi un senso di precarietà e incertezza diffuso.
L’emigrazione giovanile e la marginalizzazione di molti esponenti della classe intellettuale costretti a trovare impiego in altre regioni condannano la Calabria allo spopolamento.
Da qui dovrebbe partire una forte reazione in controtendenza rispetto ai fenomeni citati, in funzione di una concreta educazione al rispetto delle norme giuridiche perché dall’osservanza delle regole riparte lo sviluppo.
Ricordare Pietro Ragno nel 2024 significa accendere una luce di speranza per le future generazioni calabresi. Per quel assassinio nessuno è stato incolpato, nessun killer è stato arrestato eppure la speranza e il sogno che la realtà possa cambiare non devono mai venire meno.