Cristina Briguglio ricorda il padre Gaetano, ad undici anni dalla sua scomparsa. Gaetano Briguglio, di origini siciliane, aveva scelto la Calabria come atto d’amore verso una terra di non facile lettura, complessa, contraddittoria, ma senza farne una bandiera per il fanatismo meridionalista di stampo nostalgico o, peggio ancora, per un ostentato campanilismo
“Certamente non fanno cultura i falsi poeti e i falsi artisti, i retorici declamatori di conferenze, i pretenziosi organizzatori di poemi e di mostre, i pettegoli dirigenti di riviste e giornali […] che scambiano l’eventuale protezione politica con il merito”.
Questa idea di cultura, senz’altro accomunava Gaetano Briguglio, insegnante di filosofia al Liceo Classico di Locri, già sindaco di Bivongi, iscritto da sempre al PCI e intellettuale “Militante”, a Mario La Cava, scrittore, di Bovalino, tra i più lucidi e rigorosi del Novecento. Entrambi avevano sposato il Sud. Una postazione privilegiata da cui indagare la realtà e dare un, sia pur minimo, contributo all’elevazione culturale e umana della società.
Gaetano Briguglio, di origini siciliane, non si considerava un “Calabrese di mestiere”. Aveva scelto la Calabria o, forse, la Calabria aveva scelto lui, come atto d’amore verso una terra di non facile lettura, complessa, contraddittoria, ma senza farne una bandiera per il fanatismo meridionalista di stampo nostalgico o, peggio ancora, per un ostentato campanilismo.
Il suo lavoro di intellettuale e di studioso si è sviluppato in due direzioni. Quello che ha scritto: “Il carcere militare in Italia”, gli articoli sulla rivista “Filorosso”, i saggi su Alvaro e il cinema e quelli su Mario La Cava, le conferenze, gli scritti critici, gli appunti, ma anche tutto ciò che non ha scritto. E, quasi certamente, proprio questa seconda parte è quella più significativa.
E poi, la passione civile, mai sopita, nonostante le trasformazioni politiche a cui ha assistito, mai da spettatore passivo, dal PCI, al PDS, “Ai girotondi”, fino al PD, passando per l’impegno sindacale e per il volontariato. Tutto condensato con applicazione quotidiana nel lavoro di insegnante, svolto con grande senso di responsabilità, consapevole della delicatezza del compito, ma anche del privilegio di svolgere un lavoro nobile ed essenziale. “Faccio quello che mi piace e mi pagano per farlo”, amava dire. C’era in lui, che, pur avendo avuto altre importanti opportunità, ha insegnato per oltre trenta anni filosofia e storia al Liceo Classico di Locri, un’etica, ma soprattutto un’estetica della professione. Alcune delle sue passioni le ha innestate nel mondo della scuola, come quelle per il cinema e il teatro, promuovendo una conoscenza non autoreferenziale, ma capace di vivificare il mondo intorno.
L’insegnamento è stato per Briguglio, di fatto, una parte essenziale del suo impegno civile e della sua speculazione filosofica. Come molte testimonianze di ex-alunni lasciano trasparire, egli pensava davanti ai suoi allievi e, le volte che gli riusciva, con i suoi allievi. Le sue lezioni non erano un semplice mezzo per comunicare un pensiero già formato e concluso, ma costituivano un “Laboratorio” di idee, in cui ogni pensiero, sostenuto da un’argomentazione logica, aveva pieno diritto di cittadinanza. Convinto che la curiosità e l’intelligenza “Filosofica”siano doti sommamente democratiche, non credeva in una scuola classista o che consegni agli studenti esclusivamente abilità e competenze immediatamente utili al lavoro. Per lui la scuola doveva insegnare un “Metodo” per la vita, a “Conoscere se stessi” e a immaginare ciò che ancora non c’è. Un luogo che non trasmetta un sapere tassonomico o enciclopedico, ma che indichi una direzione per trovare ciò che si cerca.
Con onestà intellettuale, con ironia, non prendendosi troppo sul serio, ma prendendo ogni cosa sul serio, Gaetano Briguglio, insieme ad altri intellettuali di grande spessore, quali erano, solo per citarne alcuni, Carmelo Filocamo, Sisinio Zito, Pasquino Crupi, Ciccio Modafferi, ha inciso un segno nella storia del nostro territorio, se non altro per la passione, il rigore per lo studio, la necessità di vivere per porsi delle domande e non per confezionare risposte, che migliaia di alunni, oggi adulti, hanno ereditato da lui. “La verità non consiste forse nella sua ricerca?”, questo il suo mantra. Coltivare la libertà interiore e porsi degli interrogativi avevano una valenza “Politica”, antidoto ai totalitarismi e al malaffare.
A volte qualcuno lo fermava per strada per chiedergli, tra il serio e il faceto: “A cosa serve la filosofia? A cosa servono i filosofi?”. “Lo scopo della filosofia è la chiarificazione logica dei pensieri. La filosofia non è una teoria, ma un’attività”, rispondeva, citando Wittgenstein. Questa è stata la cifra del suo impegno instancabile, non solo in ambito politico.
Pur considerandosi, essenzialmente, una persona portata al pensiero astratto, non si è mai sottratto al confronto col reale.
Negli ultimi anni della sua vita, quando già era cosciente che forse non avrebbe fatto in tempo a vedere i frutti “Pratici” del suo lavoro, si è dedicato, con ancora più slancio, alla lettura, allo studio e alla ricerca, senza risparmiare energie, e con nessun altro scopo, se non quello della ricerca. “Solo ciò che è razionale è reale”, amava affermare Gaetano Briguglio, e non perdeva occasione di denunciare l’irrazionalità dell’apprensione che “Come tale va sempre sconfitta innanzitutto nella mente dell’interessato e solo in un secondo momento nella realtà effettuale”.
Ma poiché “Solo ciò che è vero può essere falsificabile”, quasi certamente Gaetano Briguglio, mio padre, non avrebbe del tutto apprezzato questo ricordo, a undici anni dalla sua scomparsa, e mi avrebbe rimproverato, che dobbiamo stare lontani da costrutti, tesi a definire princìpi assoluti, generalizzazioni e interpretazioni totalizzanti del reale, perchè “Nessuna cosa è tanto giusta da non essere anche un po’ sbagliata”.
Cristina Briguglio