Filippo Veltri ci parla di Maurizio Landini, segretario Cgil, e di come (secondo lui) sia proprio Landini il vero leader dell’opposizione di Governo.
Il segretario della Cgil Maurizio Landini non ha deluso le attese alla prima puntata dello sciopero generale del 17, in attesa delle altre manifestazioni già indette. Non che Landini abbia dimenticato la legge di bilancio «piena di porcherie» o «i condoni che sono già arrivati a 13». Però, come annunciato già alla vigilia, non si è fermato alla manovra e oppone all’intera politica economica del governo una visione totalmente alternativa. Poi però è andato oltre.
Ha parlato della precettazione come di «vero e proprio attacco alla democrazia» e di lì alla riforma costituzionale, dunque al referendum, il passo è brevissimo: «Quelli che oggi vogliono cambiare la Costituzione sono gli stessi che non hanno contribuito a costruirla e non permetteremo a nessuno di ridurre gli spazi di democrazia». Se avesse detto che i fascisti, dalla cui sconfitta nacque la Carta, stanno cercando la rivincita sarebbe stato, nella sostanza, più o meno lo stesso. È una battaglia che si combatterà nelle urne del referendum e la posta in gioco non sarà solo il quesito referendario. Solo che questo allargamento della sfida referendaria era proprio quel che Giorgia Meloni voleva evitare. La sua formula infatti è: «Volete decidere o far decidere ai partiti» ma è di facile presa solo se in ballo c’è davvero solo il quesito referendario.
Le cose sono destinate a diventare ben più difficili se in campo c’è molto di più: il modello di democrazia, il diritto di sciopero, i limiti del potere.
Per questo, molto più che per paura di una improbabile esplosione di conflittualità sociale, la premier cerca ogni giorno di sminuire la portata della precettazione e dunque dello scontro in atto. Lo ha fatto anche ora: «Non ho deciso io. Il governo ha avuto un ruolo marginale. Ma un’autorità indipendente ha stabilito che non c’erano i requisiti dello sciopero generale».
Quello della premier sarebbe a questo punto un tentativo disperato e inutile anche se non ci fosse di mezzo Salvini. Che peraltro c’è e non sceglie il basso profilo. L’altro giorno giubilava perché «20 milioni di cittadini possono circolare liberamente», ma aggiungendo un passaggio eloquente: «Il diritto di sciopero di una minoranza non può ledere il diritto al lavoro della maggioranza». Tanto per chiarire che non si sta affatto parlando solo di un regolamento da far burocraticamente rispettare.
Che oggi il segretario della Cgil sia, dunque, il vero leader della sinistra italiana (volente o nolente lo stesso Landini e ci scuseranno i volenterosi Schlein e Conte) ce lo indicano, del resto, altre circostanze che non sono affatto sfuggite ad alcuni osservatori: una su tutte (a parte ovviamente le riuscitissime manifestazioni di CGIL e UIL) è stata la piazza convocata dalla segretaria del PD l’ 11 novembre, un paio di sabati fa cioè in quel di Roma. Grande e’ stata la mobilitazione, non c’è dubbio, di tutte le strutture del suo partito democratico ma anche con un grande supporto della CGIL in tutti i suoi gangli, supporto esplicito e implicito. Qui non si tratta di cinghia di trasmissione, visto che è sparita da tempo sia la cinghia che la trasmissione ma di un aiuto vero e concreto per la piena riuscita di una manifestazione, quella sì, dichiaratamente politica contro il Governo e la Meloni. E’ ovvio che anche in periferia ci si aspetta ora che la più grande organizzazione di lavoratori (e pensionati) dia una mano (peraltro non richiesta) allo sforzo di una opposizione politica in Regione, abbastanza flebile in verità di suo ma che sta mostrando timidi segnali di risveglio negli ultimi tempi. Ma questo è un altro ragionamento e riguarda Pd e 5 Stelle, ancora alla ricerca di una strada comune.