Michele Brambilla direttore del Secolo XIX, coglie lo spunto per criticare in modo superficiale la decisone del Sindaco Pietro Piciocchi di dichiarare un minuto di silenzio in concomitanza con l’ora del nefasto episodio. Gli risponde Matteo Lo Presti che scrive: A che giova il volto disfatto, i sospiri sconsolati, la voce querula, le vesti perennemente funebri”.Matteo Lo Presti
Il nuovo direttore del Secolo XIX Michele Brambilla ha da molto tempo l’abitudine di trasformare sue limitate valutazioni ed esperienza personali in arbitrarie leggi etiche universali.
Un giovane di ventuno anni dopo avere investito una compaesana nel traffico di una strada provinciale spinto da imperscrutabili valutazioni decise di togliersi la vita, Brambilla concludeva la sua scrittura sul tragico episodio con una generica affermazione nella quale pareva gioire per la ricomparsa nella nostra società del “Rimorso”. Dimentico di Cesare Pavese che prima di togliersi la vita ebbe a scrivere “Non fate troppi pettegolezzi”. Frase sulla quale non cadeva la parola “rimorso”. Oggi nel commentare la morte di una giovane genovese morta per esser stata schiacciata da una palma secolare che si abbattuta fuori dalla aiuola e che da anni era il preoccupato simbolo di una possibile tragedia, Brambilla coglie lo spunto per criticare in modo superficiale la decisone del Sindaco Pietro Piciocchi di dichiarare un minuto di silenzio in concomitanza con l’ora del nefasto episodio, le 14,23.
L’invito si intendeva rivolto all’intera città e non come sostiene il puntiglioso giornalista solo alla piazza dove era deceduta la sventurata cittadina. Lamenta il Brambilla che nella città la vita sia continuata normale “Tutto pieno -scrive- tutto il giorno, strade negozi bar e ristoranti shopping e aperitivi.”
Quanto diversa, ricorda ancora, la Milano del 6 agosto 1978 quando morì Papa Paolo VI “era lutto nazionale e tutti si adeguavano anche gli atei “Come avrà fatto ad identificare gli atei Brambilla? e prima ancora quando a Torino sul colle di Superga il 4 maggio 1949 si fracassò l’areo che portava a casa l’intera squadra del Torino e tutti i cittadini avvolti in “un sacro silenzio”. E Brambilla si commuove al ricordo dei funerali ad alba di Pietro figlio di Michele Ferrero fondatore della Nutella “In tutte le piazze un maxischermo”. Uomini in giacca e cravatta, le donne con il capo velato e silenzio. Non è questa una critica al Comune di Genova- avverte timoroso Brambilla- che non c’entra nulla, è una riflessione su come siamo cambiati. Consumiamo le ore storditi dal fare e dall’avere, la morte è un pensiero da rimuovere, il lutto è un silenzio troppo lungo che ormai non siamo più in grado di sopportare”.
Che dire di queste valutazioni dogmatiche della bontà dei funerali dei tempi antichi?
A Genova perché non ricordare i funerali del giudice Coco ammazzato sula strada di casa o di Guido Rossa, il valoroso operaio che ebbe l’omaggio e il ricordo costernato di tutta la città? E i morti del ponte Morandi, come dimenticare le bare di decine di vittime avvolte da fiori e dai pianti di migliaia di persone e i funerali di Don Gallo e quello di Fernanda Pivano? Ma Brambilla cosa cerca di dire? Che Genova, città medaglia d’oro della Resistenza non ha saputo o non sa onorare i propri morti? Non ha senso compiere graduatorie quantitative sul dolore toponomastico o lodare una espressione più contenuta di fronte ai morti, né sulla esibizione di lacrimatoi come usava Nerone.
Penso che il direttore Brambilla non conosca Remo Cantoni straordinario intellettuale che ebbe a scrivere “Oggi vi è la tendenza a dare una espressione più contenuta e sobria alle manifestazioni del lutto. Il dolore non è necessario esibirlo in forme vistose.” Il lutto ad oltranza sembra una maledizione della vita. La memoria dell’estinto deve vivere come una eredità spirituale che fruttifica nelle opere e nell’azione. A che giova il volto disfatto, i sospiri sconsolati, la voce querula, le vesti perennemente funebri”. Chissà se Brambilla conosce Giorgio Caproni che amava Genova con grande qualità di sentimenti che in morte della madre scrisse “Non mi cercate là dove non sono mai andata. Rimango sempre nei vostri cuori”. I buoni cristiani hanno chiesto di reagire alle inquietudini sociali quasi chiedendo sui vivi la protezione della scomparsa.